20 novembre 2010

Necrophylia - Francesco Scardone

Un viaggio nella mente malata di un uomo qualunque. Potrebbe essere il tuo compagno di banco, un tuo collega, un vicino, comunque uno nascosto dietro la maschera della normalità. Potrebbe essere il riflesso che ti osserva dallo specchio quando ti fai la barba. A cavallo tra la più nera follia e la più irrequieta lucidità. Un'immagine quotidiana vissuta tra vita e morte. Si ha sempre l'impressione di non vivere ma di sudare l'esistenza. Un romanzo che mostra le due facce della stessa medaglia.


Recensione di Sakura

Forse che, uomo e natura, non siano altro che un immenso agglomerato uniforme con il quale qualche mano creatrice si diverte a giocare?

Uomo, trent'anni. Giochiamo un po’ con questo grottesco patto narrativo, e caliamoci nei panni di un protagonista senza nome che lavora in un obitorio. Un uomo privo di interessi e di amici, fortemente ossessionato dall’idea della morte. Un uomo il cui unico legame affettivo è quello che lo unisce alla nonna ottantenne con cui vive. Un uomo che riesce a provare eccitazione e desiderio fisico soltanto nei confronti di un asciutto cadavere. Un necrofilo, insomma.

L’io narrante ci immergerà sempre più nelle sozzure di un animo deviato, un mare nero e torbido che ci accompagnerà per centosettantapagine senza lasciare respiro. Il titolo è già chiaro, il lettore è già avvertito: non si parlerà di api e di fiori. Per cui, chi volesse avventurarsi nella lettura di Necrophylia, tenga bene a mente che si tratterà di un’avventura sordida, di un’esperienza disturbante non nelle corde di tutti. Non mancheranno esplicite descrizioni di atti sessuali estremamente deviati, non mancheranno giudizi assai poco lusinghieri nei confronti di quella macchina di carne che è il corpo umano. Non mancheranno, in sostanza, elementi sgraditi alla maggior parte dei lettori, specie a quelli non avvezzi a una letteratura più borderline.

Decisamente sconsigliato, in definitiva, a coloro che confondono l’aderenza al buongusto e la volontà di lanciare messaggi positivi con il valore letterario di un’opera. Mi appello al buon vecchio Wilde, mio affezionato cavallo di battaglia: Non esistono libri morali e immorali, ma solo libri scritti bene o libri scritti male.

Sono anni, probabilmente dalla comparsa del terribile Cento colpi di spazzola -che ha scatenato i media alla ricerca dell’intellettuale che la sparava più grossa sull’interpretazione di un romanzetto scadente che non aveva proprio nulla da interpretare-, che si assiste alla proliferazione di romanzi a sfondo sessuale privi di una trama e di un qualsivoglia significato. Romanzi nati per stupire con la loro trasgressione, cloni più uguali degli Imperiali e più noiosi dell’omelia in chiesa.
Il romanzo di Francesco Scardone, in un certo senso, non fa eccezione, se non nel fatto che va ancora oltre: esaurita la novità del sesso prematrimoniale e delle orge, lui opta per la necrofilia. Il tema è coraggioso: c’è spesso un limite oltre il quale l’autore più trasgressivo non riesce ad andare, e Scardone, a soli vent’anni –o forse proprio perché ha vent’anni- è riuscito a superarlo.

Necrophylia, in realtà, manca di un’organizzazione narrativa: l’intento del narratore, fin dalle prime righe, è giustificarsi, convincere il pubblico cui si rivolge (ma più se stesso) che ciò che è e che fa non è meno perverso e grottesco della norma. A questo scopo, disordinatamente –come se fosse il libro di memorie di uno squilibrato, o gli atti di una lunga seduta di psicanalisi-, il protagonista analizza momenti della sua vita, dall’infanzia all’età adulta, tali da fondare la sua mania. Verso metà l'andamento dell'analisi psicologica subisce una svolta, e l'io narrante procede su una strada che lo conduce barcollante verso un accenno di ‘normalità’. Ma può un animo così anomalo, una personalità così alienata dalle più comuni convenzioni, accostarsi alla norma? L’epilogo toglie ogni dubbio al riguardo.

Che Francesco Scardone volesse parlare propriamente della necrofilia, o che il tema sia solo l’ennesimo –discutibile- pretesto per parlare del millenario connubio tra amore e morte, il risultato non cambia: i flussi di coscienza del personaggio sono puntuali e profondi, coadiuvati nella loro scorrevolezza dalla mancanza di una divisione in capitoli. Un’analisi, in definitiva, veramente ben riuscita, indipendentemente poi dal contenuto del romanzo in sé.

Come preannunciato, nessun messaggio positivo scaturisce da questo romanzo: e, come altrettanto preannunciato, a me non poteva fregar meno: l'autore ha un'ottima penna, fortemente penalizzata da un editing distratto o del tutto assente. Qualunque editor o correttore di bozze che sappia fare decentemente il suo lavoro sa che deve correggere un autore che evidentemente non conosce il francese e scrive ripetutamente pandanne invece di pendant, e non è l’unico errore ripetuto. Mi spiace seriamente che un autore con potenzialità così evidenti (a soli vent'anni Scardone ha una profondità e una padronanza della lingua che molti suoi 'nonni' pubblicati da grandi case editrici possono solo sognarsi) si sia affidato a uno staff che, per mancanza di mezzi o di voglia, non ha dato il giusto peso al suo lavoro.

Se posso permettermi, nonostante la mia età non si discosti molto da quella dell’autore, ho due consigli per lui: il primo, sempre che non ci abbia già pensato da solo, è di ignorare i lettori incapaci di scindere la moralità dalla letteratura, e considerare soltanto quelli che da offrirgli hanno opinioni relative alla seconda. Il secondo, in seguito all’augurio rivolto a me stessa di poter rileggere presto qualcosa di suo -magari di tema diverso e con una costruzione narrativa migliore-, è quello di ricercare la pubblicazione presso una casa editrice che curi di più i suoi interessi.

Giudizio:

+3stelle+

Recensione di Tancredi

Il titolo di questo romanzo non lascia dubbi: Necrophylia è indubbiamente l'attenta, rivoltante e mai banale discesa nell'animo di un uomo affetto da necrofilia.

A leggere il risvolto di copertina e le prime righe si potrebbe pensare di esser di fronte ad un romanzo-provocazione, senza una particolare struttura narrativa, che ruota attorno ad un protagonista anonimo e dunque ancora più cliché: un uomo indefinito di trent'anni, senza volto, che lavora in un obitorio ed intrattiene rapporti con i cadaveri delle donne che gli capitano tra le mani, che siano giovani o più mature, intatte o terribilmente trasfigurate.

Ma basta proseguire la lettura per accorgersi che, innanzitutto, l'apparente intento provocatore è comunque ben compensato da una bellissima scrittura, precisa, mai banale, che vanta una straordinaria ricchezza lessicale (soprattutto a considerare la giovane età dell'autore) ed una altrettanto ottima padronanza linguistica.

Terminata, poi, la prima scena "classica", in cui si consuma il primo rapporto con il primo cadavere (il primo di una lunga serie: e la cura dell'autore si ritrova pure nella "personalizzazione" che il protagonista vi opera), ritroviamo il protagonista fuori dall'obitorio, nella sua vita quotidiana, apparentemente normale, a casa, nel suo rapporto con l'emblematica nonna e con i problemi quotidiani. Sorprendentemente è questo, più dell'obitorio, il contesto ideale per l'azione del protagonista: un'azione, però, tutta mentale. Il romanzo è sprovvisto di suddivisione in capitoli, si tratta di un lungo e ininterrotto monologo del protagonista, che a tratti sfiora il flusso di coscienza, in cui pensieri e osservazioni casuali si fondono con digressioni e riflessioni dal sapore esistenzialista. Sin dall'inizio, a ben vedere, il protagonista, che narra in prima persona, al presente, e si rivolge continuamente ai lettori, non fa altro che tentare di convincerci che egli non è solo un pazzo, un malato, un mero deviato sessuale: insomma, pare la rivendicazione, da parte dell'autore, del tema trattato non come mera provocazione ma come mezzo di riflessione. Così ripete, più e più volte:

Non sono un malato. Traccio solo il mio solco nel mondo.

Proprio lui, che è un necrofilo ossessionato e tormentato da visioni di morte, diviene il punto di vista ideale per un'osservazione inedita, cruda e letale, ma finanche liberatoria, della condizione dell'essere umano. Quasi nella veste di un novello Zeno, il più pazzo tra i pazzi, e per questo, forse, più umano tra gli umani e dunque il miglior candidato a mettere e nudo la natura umana, afferma ancora:

E' quel che fa ognuno di noi: cercare di cambiare le cose senza che in fondo cambino sul serio, né in bene né in male, ma sapere, allo stesso tempo, che le cose sono andate avanti.

Andando avanti, oltrepassando l'apparente punto di non ritorno in cui il protagonista prova una radicale inversione di rotta, diviene però evidentissima la contraddizione. Parallela alla contraddizione di un malato che si traveste idealmente da persona comune e normale, cercando di convincere innanzitutto se stesso, c'è la contraddizione di un necrofilo che cerca di apparire plausibile mentre pronuncia le sue letali verità sull'essere umano. Questo è, credo, il punto debole e allo stesso tempo punto di forza del romanzo: perché, se da un lato redime la scelta della provocazione, dall'altro lato pone una stridente ed irrisolvibile contraddizione. Quanto siamo disposti, in parole povere, a prendere per vero tutto quel che dice il protagonista deviato? Se si potesse prescindere da questo dettaglio, le riflessioni apparirebbero ineccepibili: davvero dietro al romanzo sta una cinica, cruda, ma plausibile visione del mondo e della vita, ma metterla in bocca ad un necrofilo che continua a ripetere "ma io non sono malato" invalida lo sforzo, che pure è apprezzabile.

Non mancano altre stonature, compensate, ma fino ad un certo punto, dagli innegabili pregi. Partiamo da questi ultimi: si è già detto dello straordinario linguaggio, sul quale viene costruita una magistrale caratterizzazione del protagonista malato, con allegato un profilo psicologico veramente freudiano (ricorrono in maniera ossessiva non solo le visioni truculente di morte, ma anche una paranoica attenzione verso il corpo e quanto di sporco e rivoltante vi sia). D'altra parte, manca un preciso impianto narrativo, una direzione che dia senso alla trama: il monologo non basta, soprattutto non regge il peso di oltre cento pagine. Forse il racconto sarebbe stato un contenitore migliore. A tutto questo si aggiungono talvolta delle scelte narrative discutibili, a cominciare dalla surreale figura della nonna che, inspiegabilmente, condivide fino a un certo punto la devianza sessuale del protagonista, con allegata una giustificazione affrettata e poco plausibile. Ciliegina sulla torta, la scarsa cura nella revisione e nell'editing, che macchia irremediabilmente (ed è davvero un peccato!) il notevole apparato linguistico e stilistico.

Insomma, dopo un siffatto esame si afferma il giudizio, forse un po' semplicistico, che con questo materiale narrativo e con queste solide idee si poteva fare di meglio, limare il testo, rivedere qualche scelta narrativa, magari accorciarne la lunghezza. C'è del talento, insomma: il mio augurio è che in futuro gli si possa rendere giustizia.

Giudizio:

+3stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Necrophylia
  • Autore: Francesco Scardone
  • Editore: Mjm Editore
  • Data di Pubblicazione: 2009
  • ISBN-13: 9788896696064
  • Pagine: 172
  • Formato - Prezzo: Brossura - 12,00 Euro

0 Commenti a “Necrophylia - Francesco Scardone”

Posta un commento

 

La Stamberga dei Lettori Copyright © 2011 | Template design by O Pregador | Powered by Blogger Templates