4 novembre 2010

L'isola dei naufraghi - Natsuo Kirino

Kiyoko e il marito Takashi finiscono su un'isola disabitata al largo di Taiwan e delle Filippine in seguito a un naufragio. Dopo sei mesi di desolata sopravvivenza vengono raggiunti da ventitré giovani maschi giapponesi, anch'essi naufraghi, e poi da undici cinesi, abbandonati lungo la tratta dei clandestini verso il Giappone. L'isola in cui vivono, che hanno scelto di chiamare l'Isola di Tokyo, è un paradiso tropicale, ricco di cibo e vegetazione. Cinesi e giapponesi hanno occupato parti diverse dell'isola, e affrontano in modi differenti la propria condizione. Gli hongkong si sono subito ambientati. Apparentemente rozzi e selvaggi, girano nudi come animali selvatici, fanno i loro bisogni ovunque e gettano i rifiuti dappertutto, ma al tempo stesso essiccano il cibo, allevano ogni tipo di animale, producono sale di ottima qualità e sono capaci di cucinare pietanze dal profumo squisito. I giapponesi invece patiscono la noia e, nel tentativo di combatterla, cedono a ogni genere di mania: adorano tatuarsi le braccia o indossare le mutande alla rovescia. È in questa società che regna Kiyoko, l'unica Regina, l'unica donna da tutti desiderata. Una lotteria ogni due anni decide chi diventerà "il marito", regalando il titolo più conteso. Un romanzo che combina suspense ed erotismo alle atmosfere della serie Lost, creando un mondo in cui le ossessioni, i personaggi folli e crudeli, vengono illuminati dalla profondità psicologia e letteraria di una maestra del racconto contemporaneo.

Recensione

Premessa: ho molto amato Natsuo Kirino nel primo libro che ho letto di quest’autrice nipponica famosa e apprezzata anche all'estero (Le quattro casalinghe di Tokyo). Adesso mi trovo tra le mani l’ultima fatica dell’autrice, per l’appunto, L’isola dei naufraghi (2010), con le labbra imbronciate e senza sapere che pesci prendere. Sarei quasi propensa a sospendere giudizio e voto, ma non lo farò.

Nota: la recensione conterrà molto poco in più di quanto rivelato dalla seconda di copertina.

Iniziamo proprio dalle informazioni fornite dalla Giano, oltremodo ingannevoli: la seconda di copertina riporta gli antefatti del romanzo e non ciò di cui tratterà effettivamente.
Trentacinque uomini e una donna: Kiyoko, sbarcata con il marito Takahashi su un’isola deserta del Pacifico in seguito al naufragio della loro barca a vela; ventitré giapponesi, fuggiti dal massacrante lavoro sull’isola in cui erano stati relegati e sbattuti da una tempesta sulle coste della stessa isola; e infine dodici cinesi, probabilmente clandestini in viaggio, sbarcati a viva forza.
La stessa seconda di copertina anticipa che i naufraghi sopravvivranno diversi anni sull’isola, e già qui il lettore accorto (io non lo sono stata) dovrebbe aggrottare le sopracciglia: tre gruppi di naufraghi sbarcano casualmente sulla stessa isola nell’arco di pochi mesi, e nessuna nave che possa prestare soccorso solca l’orizzonte per anni? Accettiamo pure il patto narrativo di Natsuo Kirino, e andiamo avanti. Ma siamo già avvisati.

Il romanzo inizia già diversi anni dopo gli avvenimenti anticipati, ai quali si fa riferimento superficialmente e frammentariamente: Kiyoko sta infatti per sposarsi per la quarta volta. Dopo la morte del vero marito, Kiyoko ne ha preso un altro, e defunto anche questo per cause misteriose che non verranno mai svelate –patto narrativo- si è deciso di ricorrere a un sorteggio mediante cui ogni due anni ne verrà scelto uno nuovo. Non è certo la disponibilità sessuale della donna che si mette in gioco (quella è già alla portata di tutti), ma i suoi averi recuperati dalla barca a vela, la sua capanna e il suo titolo di moglie. Anche questo elemento anticipato dalla seconda di copertina si rivelerà di nessun conto: di sorteggio ne vedremo solo uno, quello iniziale, e prima d’esso ne è avvenuto solo un altro.

Kirino ben descrive l’isola, a forma di rene, con una costa abitata dagli hongkong, i più abili nella sopravvivenza ma anche i più bestiali –almeno inizialmente-, un’altra zona in cui risiedono, divisi in coppie o gruppetti, i tokyesi (scelta di traduzione a mio parere semplicemente cacofonica), il capo Sayonara (così chiamato perché vi sono stati gettati i cadaveri e non solo loro) e una meravigliosa spiaggia in cui è stato ‘esiliato’ per motivi incomprensibili –patto narrativo- Watanabe, giapponese non meno disgustoso di ogni singolo personaggio di questo romanzo. La spiaggia in questione è evitata per un motivo ben preciso: vi sono stati abbandonati contenitori con ogni probabilità radioattivi (che però –patto narrativo- non avranno alcun effetto dannoso nemmeno quando qualcuno deciderà di aprirli, farne un riparo o una barca). Watanabe, in ogni caso, adirato con i tokyesi si unirà agli hongkong per tentare una fuga –scoprirà di conoscere il cinese: patto narrativo-, ma verrà abbandonato sulla spiaggia perché gli preferiranno Kiyoko (da poco sposata a G.M, tokyese che ha perduto la memoria).

Potrei proseguire in questo modo per pagine, continuando a elencarvi patti narrativi per cui persone recuperano la memoria d’improvviso, altre raccontano di essere sopravvissute a 'trenta giorni senza mangiare né bere’ (sic!), altre ancora soffrono di sdoppiamenti della personalità molto concreti. A colui che ha scritto la quarta di copertina è piaciuto nominare Lost per far presa, ma avrebbe dovuto aggiungere che questo romanzo possiede più buchi della nota serie televisiva, come se la Kirino non si curasse della nostra realtà e preferisse sorvolare su conseguenze che intaccherebbero il suo idilliaco mondo narrativo.

La stessa introspezione psicologica, che tanto mi aveva colpita ne Le quattro casalinghe, viene meno. Qui il termine ‘alienazione’, che avevo usato per descrivere i personaggi del precedente romanzo, non basta più: si susseguono pensieri e reazioni ai limiti del buongusto e della credibilità, in un crescendo di abbrutimento e follia che si ricompone solo nell’epilogo.
Kiyoko, da moglie giapponese sottomessa quale la ricordano i diari del marito Takahashi, solleticata nel suo narcisismo dall’essere l’oggetto del desiderio dell’intera isola si trasforma in donna prepotente, dispotica, superba e aggressiva. Il marito Takahashi, prima altolocato uomo d’affari, si rivela –per propria voce nei suoi stessi diari o nei ricordi della moglie- totalmente inadeguato alla vita sull’isola. Coloro che avevano manifestato interessi culturali o filosofici rapidamente li perdono. Chi apparteneva ai ceti più bassi della società, invece, abituato a non avere nulla, sarà il più adatto a una vita senza nulla.
La vita ordinaria diviene ben presto un miraggio, un ricordo: nonostante ci si sforzi in tutti i modi di imitare il Giappone, chiamando l’isola Tokyojima e dando alle capanne in cui i diversi gruppi si sono rifugiati i nomi dei quartieri di Tokyo, o ancora sforzandosi di recuperare la religione, tutto si trasfigura rapidamente, ogni piano fallisce, e qualunque modo di vita si tenti di adottare (e lunaticamente se ne tentano molti, dall’anarchia a una pallida imitazione di monarchia a una sorta di governo) è destinato a soccombere al prevalere degli istinti più animali dell’uomo.

Il signore delle mosche adattato agli adulti, insomma, con una critica feroce al perbenismo giapponese: è questo l’unico elemento che mi sento di salvare del romanzo (oltre al suo stile, che tuttavia non tocca i livelli de Le quattro casalinghe). Natsuo Kirino mette infatti in campo la leziosità della cultura giapponese, del tutto inadatta alla sopravvivenza su un’isola deserta, nonché le discriminazioni razziali verso i cinesi, che si rivelano al contrario più abili, previdenti e creativi.

Un romanzo decisamente eccessivo in ogni suo aspetto, di cui non posso dire di averlo apprezzato molto né che non mi sia piaciuto per nulla. Per fortuna, l’epilogo risolleva una narrazione che da parecchio sembrava promettere aria fritta.

Giudizio:

+3stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: L'isola dei naufraghi
  • Titolo originale: Tokyo-jima
  • Autore: Natsuo Kirino
  • Traduttore: Cici G.
  • Editore: Giano
  • Data di Pubblicazione: 2010
  • Collana: Blugiano
  • ISBN-13: 9788862510806
  • Pagine: 330
  • Formato - Prezzo: Brossura - 17,00 Euro

3 Commenti a “L'isola dei naufraghi - Natsuo Kirino”

  • 5 novembre 2010 alle ore 11:59
    let says:

    Concordo su tutta la linea... Io l'ho finito da qualche ora e ci sto rimuginando sopra, indecisa tra il 'mi è piaciuto' e il 'non mi è piaciuto'.

  • 5 novembre 2010 alle ore 12:12
    sakura87 says:

    Troppe illogicità. Quando m'imbatto in frasi come 'restammo trenta giorni senza mangiare né bere' mi sento folle io: come si può far passare in un romanzo con tanta naturalezza una frase del genere?
    Però ripensandoci non mi sento di dire che non mi sia piaciuto. Sicuramente si è rivelato una delusione. Riproverò con 'Morbide guance' e 'Grotesque'.

  • 14 dicembre 2010 alle ore 12:07
    Anonimo says:

    Più che altro, scritto davvero male, con una prosa di una ingenuità imbarazzante. Sconsigliato!

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