2 ottobre 2010

Tancredi presenta: Margaret Mazzantini e l'amore come condizione imprescindibile dell'essere umano

«Chi ti ama c'è sempre, c'è prima di te, prima di conoscerti.»


Vita

Margaret Mazzantini nasce nel 1961 a Dublino, da padre italiano scrittore e madre irlandese pittrice. Durante la giovinezza prende la strada del teatro, diplomandosi all’inizio degli anni ’80 presso l'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica. Negli anni seguenti si esibisce come attrice di teatro, ma anche di cinema e televisione. Il 1994 è l’anno del suo esordio letterario: con Il catino di zinco vince il premio Opera Prima Rapallo-Carige e il premio Selezione Campiello. Margaret Mazzantini comincia così ad alternare il palcoscenico con il calamaio, finendo con l’intrecciare spesso le due attività.

E’ sposata dal 1987 con l’attore e regista Sergio Castellitto, dal quale ha avuto quattro figli. Vive a Roma con la famiglia. Nel 2003, su iniziativa del Presidente della Repubblica, è stata onorata del titolo di Cavaliere Ordine al merito della Repubblica Italiana.



Opere

Sempre a metà tra il teatro e la letteratura, la scrittura di Margaret Mazzantini non si può facilmente classificare con delle etichette precise, grazie all’evidente tendenza alla sperimentazione di generi e stile narrativo.

Il breve romanzo d’esordio, Il catino di zinco, è stato accolto positivamente dalla critica per l’audacia del suo stile: lessico ricchissimo, spesso infarcito di espressioni desuete, tono solenne, profondo lirismo e persino un monologo finale che sfocia nel flusso di coscienza joyciano, sono gli elementi stilistici perfetti per un racconto che non è altro che la rievocazione nostalgica ed affezionata di una nonna da parte della nipote. La cura nei dettagli è massima, così nella ricostruzione di un’ ambientazione lontana nel tempo, come nella resa dei personaggi: Antenora, la nonna rievocata, è un’eroina inconsapevole, che agisce in un ristrettissimo spazio domestico, il cui tempo è scandito da ripetitivi riti quotidiani. E tra le trame della storia stanno imprigionate tutte le complicanze dei rapporti femminili, le contraddizioni proprie dell’animo della donna, perennemente in bilico tra il suo essere moglie e madre.

Tanto ai suoi simpatizzanti quanto ai suoi detrattori, quella compiuta dalla Mazzantini nel suo romanzo d’esordio appare una scelta stilistica ben precisa, e che viene sorprendentemente smentita dal romanzo successivo, Manola, con il quale abbandona tra l’altro Marsilio in favore di Mondadori. Con Manola l’autrice spiazza tutti, mandando a sbattere i suoi lettori contro una solida parete di non-sense ed allegoria insieme. La trama e l’ambientazione sono quanto di più lontano possibile dal suo romanzo d’esordio: Manola è il racconto a due voci di due gemelle opposte, Ortensia ed Anemone, che si raccontano in prima persona all’oscura, mai accertata persona di Manola, psicologa, guru e sciamana. Così la Mazzantini abbandona il suo stile raffinato ed il flusso di coscienza per appropriarsi degli strumenti propri del surreale e dell’allegorico, imbastendo un romanzo che ha il sol scopo di immergersi nelle profondità dell’animo femminile, così confusamente sdoppiato nelle gemelle protagoniste che si raccontano, sostenute da una galleria di personaggi improbabili e situazioni al limite dell’assurdo. Con questo romanzo, inoltre, la Mazzantini recupera la sua primaria vocazione teatrale: Manola, oltre che romanzo, è anche una piece che vede l’autrice stessa protagonista insieme all’amica attrice Nancy Brilli.

Due anni dopo pubblica il suo terzo romanzo, Non ti muovere, che in breve diviene un vero e proprio caso letterario, riuscendo a vincere il Premio Strega. Un altro cambiamento, un’altra rottura con il passato: per la prima volta la Mazzantini abbandona l’intimo ambiente femminile per passare ad una voce maschile. Lo stile e la narrazione mutano allo stesso modo, dando vita ad un romanzo molto più corposo, dallo stile denso e ricco. Anche la trama vede una novità: è la prima volta che la Mazzantini sdoppia la narrazione, raccontando due vicende, una passata ed una presente, inestricabilmente collegate. Tutto ruota attorno al personaggio di Timoteo, padre marito e medico, che in seguito ad uno sfortunato evento – l’incidente automobilistico che coinvolge la figlia – rievoca il ricordo di un amore clandestino, selvaggio ma inevitabilmente autentico, stretto con una donna di umile condizione sociale incontrata per caso. Anche questa è una prova, che, a giudizio mio e dei suoi sostenitori, è riuscita: la caratterizzazione del protagonista, scolpita da una efficace narrazione in prima persona, è convincente e plausibile, il ritratto onestissimo di un uomo innamorato e spaventato, profondamente corroso dal senso di colpa. Non ti muovere è, per certi versi, l’approdo di un percorso narrativo che ha portato la Mazzantini in lidi alquanto singolari: il suo stile si affina, fino a fissarsi, mentre emergono ormai inevitabilmente quelli che sono i temi cari, a cominciare dall’intimo, quasi ossessivo, rapporto genitore-figlio. Dal romanzo è tratto un film, diretto dal marito Sergio Castellitto (che ha anche il ruolo di protagonista), e che vanta la partecipazione di un’azzeccata Penelope Cruz.

Tre anni dopo il suo più grande successo letterario, la Mazzantini torna a muoversi tra teatro e narrativa, pubblicando un monologo originariamente designato per il palcoscenico: si tratta di Zorro. Un eremita sul marciapiede, conferma della direzione presa dalla scrittrice.

Del 2008 è il suo più recente romanzo: Venuto al mondo, altro caso letterario, vincitore dell’edizione 2009 del Premio Campiello. Venuto al mondo è, in un certo senso, il gemello di Non ti muovere, se non addirittura la sua prosecuzione ideale: questa volta tocca ad una donna affrontare se stessa nel suo doppio ruolo di moglie e madre, di amante e genitore. Gemma, una madre apparentemente qualunque dei nostri giorni, improvvisamente rompe la sua quotidianità tornando nei luoghi che hanno segnato la sua vita, la Sarajevo della guerra in Bosnia dei primi anni ’90, trascinando con sé il figlio sedicenne, Pietro, in un viaggio che è spaziale ma anche temporale. Ben presto la narrazione si biforca in due canali che rimangono sempre inevitabilmente connessi: l’amore di Gemma per Diego, il defunto marito, sullo sfondo della Sarajevo dei Giochi olimpici invernali del 1984 e successivamente della guerra jugoslava, e il viaggio insieme al figlio in una terra diversa da quella passata, ma che reca con sé le cicatrici della storia. E’ un romanzo immenso, non soltanto per le dimensioni, è immenso perché l’autrice riesce ad inserirvi di tutto: l’amore, la guerra, la maternità. Queste le tre grandi tematiche. Soprattutto la terza. E’ un romanzo sulla maternità, finanche allegorica: dalla maternità fisica di Gemma, agognata ma negata, alla maternità allegorica di Sarajevo, città-madre. Quest’ultimo romanzo, dunque, si presenta come conferma dello stile, ormai fissato, della scrittrice, e delle sue tematiche, ma anche della sua ormai innegabile capacità letteraria.



Commento

Poche, ultime, ma significative parole su Margaret Mazzantini: tanto osannata quanto denigrata, è innegabile sia una delle poche voci interessanti della narrativa italiana di questi tempi. In tempi in cui la scrittura è stata mutilata da una progressiva e a più campi mercificazione, Margaret Mazzantini splende come uno degli ultimi esemplari di autentico scrittore: uno di quelli che non ama parlare di sé, che rilascia interviste con riluttanza, che parla della scrittura non come una vocazione né come un talento, ma solo come un profondissimo bisogno. Margaret Mazzantini è davvero una delle poche scrittrici capaci di immedesimarsi totalmente nei suoi personaggi, al punto da scorgere nei suoi romanzi uno specchio della sua realtà (è soprattutto il caso di Venuto al mondo, dove, per sua stessa ammissione, Pietro è finito con l’essere in effetti l’omonimo figlio della scrittrice). E’ la differenza che passa tra un bravo scrittore ed un ottimo scrittore, tra chi riesce a donare dei sentimenti ai suoi personaggi, e chi invece quei sentimenti li prova, insieme ai suoi personaggi stessi.

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