30 settembre 2010

Intervista a Roberta Borsani, autrice di "Sangue del suo sangue"

L'autrice

Roberta Borsani è nata nel 1959 a Rho, nella provincia di Milano, dove vive e insegna. I suoi interessi vertono da tempo sul folclore religioso, la fiaba, il simbolismo.
Ha esordito nel 2009 presso la casa editrice Fara con la raccolta poetica Il rosaio d’inverno. Nel 2010 è uscito il suo romanzo Sangue del suo sangue (ed. Alacran). Due racconti sono presenti nelle antologie di Lama e Trama (2009 e 2010). La rivista Le voci della luna ha pubblicato di recente alcune sue poesie.




Il libro

Ad Alice sono spuntati segni di catene alle caviglie, come stimmate. Eppure nessuno l'ha incatenata. Come puo' essere? Per simpatia, dice qualcuno: una cosa che capita spesso ai gemelli. Ma questo significa che Gretel, la sorellina rapita mesi prima e da tutti data per morta, è ancora viva. Per un mistero come questo, la polizia non basta. Ci vuole qualcuno che sia iniziato a cogliere le percezioni oscure, le tracce che gli eventi affidano agli spiriti dell'aria. Qualcuno come Manuela, la sensitiva.



L'intervista



Ciao Roberta, innanzi tutto grazie per la tua disponibilità.

Grazie a te piuttosto per avermi dato la possibilità di parlare del mio romanzo.


1. Vorrei iniziare l’intervista facendoti i complimenti per Sangue del suo sangue. Scrivere un libro in cui sono presenti molti riferimenti alla psicologia e alla percezione soprannaturale degli eventi così come colpi di scena, personaggi complessi e interessanti e riferimenti religiosi non deve essere stata un’impresa facile. Puoi raccontarci come è nata l’idea del romanzo e il personaggio di Manuela O’Connor?

Ho pensato che una donna dotata di virtù medianiche, posta un po’ al confine tra il soprannaturale e la realtà, poteva manifestare la natura profonda dell’anima femminile (che non si identifica necessariamente con la donna) che conosce e comprende la realtà utilizzando delle antenne diverse da quelle del senso comune e della scienza. Portatrice insomma di una conoscenza e di un giudizio che non uccidono né la meraviglia né la pietà.


2. Si dice che per riuscire a creare un personaggio riuscito come quello di Manuela, dotato di un’autentica personalità, capace di definirsi da solo, sia necessaria una forma di immedesimazione, vedere coi suoi occhi, reagire con il suo istinto e con la somma delle sue esperienze. Come è stata per te questa esperienza?

Immedesimazione sì, c’è stata, anche se io non sono una sensitiva. Però ho capito attraverso la lettura e la scrittura che si intuiscono le verità profonde in uno stato “alterato”, quasi di trance. Ho sentito magicamente Manuela e lei in cambio mi ha fatto sentire quanto di miracoloso si annida nella normalità.


3. “Il Corvo” è un uomo tormentato da un segreto che non osa confidare neppure a se’ stesso. Uomo rispettabile in superficie, abisso di incubi e di follia nel profondo. Eppure, leggendo Sangue del suo Sangue, ho avuto l’impressione di percepire un momento in cui la sua infanzia colpisce il lettore, suscitando un motto di commiserazione per il figlio di una “madre nera”. Quanto, secondo te, le sue sofferenze infantili possono spiegare, senza in alcun modo giustificare, le sue azioni da adulto?

Penso che certe follie nel loro abisso siano in parte incomprensibili. Però le pressioni subite dall’ambiente familiare sono importantissime, soprattutto se l’abbandono e la solitudine non permettono di elaborarle positivamente. La solitudine, diceva un filosofo, è dei matti e dei santi. Il Corvo è il matto che sogna la santità.


4. “Il Corvo” si mette spontaneamente in contatto con Manuela. E’ un motto di narcisismo oppure, inconsciamente, desidera essere scoperto?

Per fortuna la sua è una pazzia che chiede ancora di essere capita e condivisa, altrimenti non ci sarebbe nessuno svolgimento nella vicenda. Certo il Corvo vede in Manuela l’archetipo di una madre buona, non giudicante, e per questo con lei trova un canale comunicativo comunque positivo.


5. “Il Corvo” dice di cercare la purezza. Che cosa cerca in realtà?

Il potere, il controllo assoluto, raggiungibile attraverso il controllo del corpo. Deve far fronte a un tale caos emotivo, dentro, che solo la totale negazione delle pulsioni e degli istinti lo rassicura a sufficienza.


6. I riferimenti al soprannaturale e allo sciamanesimo sono molto interessanti. Come ti sei avvicinata a questo lato del sentire?

Il simbolismo e il folclore sono le mie grandi passioni. Amo molto le mitologie nordiche, non tanto quella germanica quanto quella celtica e finlandese. Una lettura straordinaria è stato per me ad esempio il Kalevala, un’opera di magia. Anche il cristianesimo ha le sue figure magiche. Le grandi sante del passato credo fossero donne dotate di potere sciamanico, a cui troppo spesso si chiedeva di dimostrare l’origine “celeste” (e non diabolica) delle loro facoltà.


7. Leone, ispettore di polizia, è un uomo straordinarimente sensibile, determinato e rispettoso. L’uomo che una donna vorrebbe incontrare.

Sì, perché spero che uomini così esistano. Di poliziotti cinici e/o depressi, amareggiati, sentimentalmente falliti, la letteratura italiana pullula. Io volevo un poliziotto diverso.


8. Il matrimonio di Manuela è finito. Suo marito è caduto nella trappola narcisistica della donna più giovane. Si dice che sia un fenomeno in aumento, nonostante esista da sempre. Persone che voltano le spalle all’affetto e al calore della propria famiglia per inseguire una dimensione che non potranno mai possedere. Quale illusione si cerca, secondo te, in qualcuno più giovane di noi?

Di poter sempre ricominciare, di non invecchiare, di non morire. Gli uomini hanno il terrore della morte. Più delle donne. E poi questa è una generazione di maschi Peter Pan.


9. Manuela, da bambina, ha passato parecchi guai a causa del suo “dono”. Leggendo il tuo libro mi sono chiesta se oltre al suo “dono” assolutamente unico Manuela-bambina rappresenta anche tutti bambini dotati di una sensibilità e di un’intelligenza superiore alla media...

Sì, ne sono convinta. La sensibilità, che è anche un aspetto dell’intelligenza, espone brutalmente all’insensibilità altrui e alla banalità dei giudizi. Credo che molti ragazzi “finiscano male” per non aver trovato davanti a sé adulti all’altezza del loro sentire.


10. Nel libro vi sono vari riferimenti agli uccelli, sia come messaggeri simbolici che come presenze incombenti e spesso poco gradite. Come è nata questa l’idea?

Dalle mie letture sul simbolismo, in particolare dai bei libri di Alfredo Cattabian ma anche dalle fiabe. E la cosa è strana. Pensavo al significato dei corvi e poi leggendo alcune agiografie mi sono imbattuta in Santa Agnese di Montepulciano, aggredita si dice dai corvi nel luogo in cui sorgeva un bordello. Molti aspetti della sua vita ne facevano la santa ideale per il mio romanzo che propone l’immagine di una catena al femminile: Agnese, Ines, Manuela. Tre gradi del sovrannaturale.


11. Alice e Gretel sono gemelle. Gretel sembra possedere la capacità di mettersi in contatto con gli spiriti dell’aria per guidare Manuela fino a sé. Alice percepisce e manifesta fisicamente i dolori patiti da sua sorella. Nei paesi del nord si parlava del fenomeno della “seconda vista” ovvero la capacità di vedere cose che accadevano molto lontano da noi. Che cos’è per te il soprannaturale?

Quello che le leggi di natura, per come le conosciamo noi, non possono spiegare. E’ un modo di sentire, e quindi anche di vedere le cose, secondo i segreti legami che Baudelaire chiama “Corrispondenze”. Purtroppo l’Occidente ha abbandonato troppo presto la via delle “Corrispondenze”, privilegiando il pensiero deduttivo e la spiegazione causalistica dei fenomeni a discapito di quella che da voi chiamano “seconda vista”, ed è una bella espressione perché mi riporta alla poesia , alla bellezza del narrare: Omero, come molti “runoia” della tradizione nordica, era cieco.


12. Nel tuo libro si parla di Sant’Agnese e dei suoi miracoli. Sant’Angese è anche uno dei simboli che portano Manuela verso Gretel. Anche la religione e ciò che essa rappresenta hanno un ruolo di primo piano?

Sì, anche se della fede religiosa ho trattato l’aspetto poetico, creativo, con cui poteva relazionarsi una donna come Manuela.


13. Puoi dirci se nella figura della Manuela O’Connor c’è qualche elemento che rispecchia qualche cosa di te?

La sua adolescenza somiglia decisamente alla mia, in effetti. E anch’io da adulta ho dovuto lottare contro la depressione e la sensazione di non valere niente, e credo che gli altri, non per cattiveria ma per superficialità, ne abbiano approfittato.


14. Manuela ama la buona cucina. Sei anche tu una buongustaia?

Non mangio molto ma mi piace variare e mangiare cose preparate con cura. La buona tavola è un piacere ma anche una forma di civiltà. Attualmente, poi, la cucina è la sola cosa di cui si possa andare fieri di essere italiani.


15. Si dice che la scrittura sia un viaggio introspettivo. Qual è il tuo rapporto con la scrittura?

Una scoperta. Non priva di incertezze e con la paura di non farcela.


16. Quali libri ti hanno ispirata di più, contribuendo alla tua formazione come scrittrice?

“Dolci le tue parole” di Nancy Richler, un bel libro al femminile. “Fantasma d’amore” di Mino Milani, “Voci” di Dacia Maraini, “Dei ed Eroi” di Lady Augusta Gregory. Adoro Dostoevskij e ETA Hoffmann, le fiabe popolari.


17. Hai in programma un altro libro? Puoi anticiparci qualche cosa?

Sì, l’ho già scritto, è in esame presso alcuni editori. Sette individui potenti e corrotti organizzano un gioco perverso che prevede una sorta di caccia all’uomo. Sto ora invece scrivendo una sorta di saggio poetico sull’iniziazione femminile attraverso la fiaba.


18. Hai un bellissimo blog in cui tratti argomenti di attualità, scrivi racconti, coinvolgi il lettore. Desideri lasciare un messaggio per i tuoi lettori?

Quello che ho scritto nel post di benvenuto, citando un verso non mio, nella speranza che il mio blog aiuti a superare i pregiudizi e ad aprire la mente: “rovesciate i mantelli! Questa è terra è di fate”.


Grazie, Roberta. Ancora complimenti per Sangue del suo Sangue e in bocca al lupo per i tuoi prossimi lavori!

Grazie a te Vittoria e a chiunque abbia seguito la tua intervista.

Il fasciocomunista - Antonio Pennacchi

Accio Benassi, incazzato, ribelle, attaccabrighe, goffo, innamorato, illuso, ingenuo, arrogante, disubbidiente, sentimentale. E' lui il protagonista del Fasciocomunista, la sua storia è quella di un ragazzo di Latina che frequenta in rapida successione il seminario, l'MSI, il movimento studentesco, i giovani maoisti... Il suo percorso è esemplare di una generazione e dei temi che quella generazione ha affrontato riflettendo sul proprio percorso. Ma in realtà Accio è uno straordinario eroe che dà vita a una storia nuova perché veramente anomalo è il suo sguardo, il suo punto di vista: non puramente, astrattamente intellettuale e ideologico, ma anche istintivo, concreto, picaresco. L'eroe quasi ottocentesco di un romanzo assolutamente contemporaneo nella struttura, nelle intemperanze, nella nervosa tensione della scrittura.

Recensione

Accio Benassi è lo specchio dell'Italia dagli '50 agli anni '70: sognatore, sbruffone, ribelle, randagio, impaurito, violento. Diviso tra clericalismo, rigurgiti fascisti e illusioni comuniste, la sua storia comprende quel ventennio di ideali, politica, amore libero, musica, viaggi in autostop e genitori repressi e repressivi che non accettano il cambiamento. Un ventennio che finì con le bombe in piazza e le siringhe nel braccio, la fine dei sogni di una gioventù che voleva cambiare il mondo. Accio è uno di questi ragazzi, un personaggio che cambia mille volte, come tanti in quel periodo, per poi tornare al punto di partenza, però con una consapevolezza completamente opposta della vita.

Il racconto è un flusso di coscienza raccontato in prima persona ma messo sul piano narrativo del ricordo. Pennacchi non sta tanto a guardare la grammatica, alle regole, proprio come il suo protagonista. Questa scelta rende il racconto coinvolgente e accattivante, ma alla lunga i continui cambi di situazione e le frasi sconnesse mi hanno spazientito. Troppa carne al fuoco, con molti momenti che potevano anche essere tralasciati senza che il racconto ne risentisse. Il risultato finale è infatti una storia eccessivamente spezzettata e sovraccarica. I personaggi sono invece ben delineati e si vede che Pennacchi sa come trattare una materia scottante come gli anni delle rivolte studentesche, dando in più uno sguardo nuovo, dall'interno, ad un tema fin troppo abusato da intellettuali e revisionisti. In particolare è appassionante la figura di Manrico, il fratello maggiore, il cocco di mamma, alternativamente amico fraterno e nemesi di Accio.

In definitiva, si vede che Pennacchi ha scritto il libro con passione e cognizione di causa, mettendo in Accio, antieroe e antagonista, tutti i caratteri positivi e negativi di una generazione che aveva almeno provato a cambiare. Dal libro è stato tratto il film "Mio fratello è figlio unico", più asciutto, ma anche più furbo e meno sentito del romanzo.

Giudizio:

+3stelle+ (e mezzo)

Dettagli del libro

  • Titolo: Il fasciocomunista
  • Autore: Antonio Pennacchi
  • Editore: Mondadori
  • Data di Pubblicazione: 2010
  • Collana: Contemporanea
  • ISBN-13: 9788804603047
  • Pagine: 336
  • Formato - Prezzo: Brossura - 9.50 Euro

28 settembre 2010

Intervista a Paola Sironi, autrice di Bevo Grappa

L'autrice

Paola Sironi è nata nel 1966 a Milano. Vive con il marito e la figlia in un paese dell’hinterland milanese. Ha lavorato come consulente informatico per diverse aziende e attualmente è capo progetto presso una società di credito. Scrive nel tempo libero per passione e “Bevo grappa” è il suo primo romanzo.






Il libro:

Flaminia Malesani abita nel benestante nord Italia e ogni giorno si mescola alla folla dei pendolari brianzoli che si riversano nella produttiva città, si confonde come numero anonimo tra gli impiegati del terziario avanzato, si muove consona ai frenetici ritmi milanesi. E’ una ragazza dalla vita comune, disincanta come i suoi coetanei, specchio di una generazione schiacciata in prospettive limitate. Eppure, Flaminia Malesani, nella sua vivace tensione emotiva, ci racconta una società molto più articolata e meno banale delle comuni semplificazioni, sviscerandone peculiarità e contraddizioni. E’ lei la voce narrante di “Bevo Grappa” e ogni vicenda del romanzo ci arriva solo attraverso il suo sguardo.
Orfana di entrambi i genitori, Flaminia abita con i tre fratelli in una casa popolare. Alterna una vita sociale e familiare, intensa e scombinata, alla regolarità dei ritmi lavorativi e alla stabilità della relazione sentimentale con il fidanzato Milo. Ama la letteratura, il cinema, la musica, frequenta centri sociali, termina ogni cena con uno o più bicchieri di grappa. Si concede svaghi intellettuali e più frivoli vizi. Emancipata e combattiva, sa adattarsi con consapevole ironia ai compromessi del quotidiano e dell’impegnativa convivenza con i tre fratelli, dalle personalità divergenti.
A lei si contrappone la figura Massimo, il più estroso e impudente dei quattro fratelli Malesani: presunto detective, con tanto di agenzia investigativa di facciata, è in realtà adescatore di ricche mogli tradite. Ed è solo una casualità a portare nella sua attività di seduttore e mantenuto un incarico da vero detective.
Massimo inizia a seguire il caso con impegno. Indaga sui retroscena che possono nascondersi dietro la morte violenta di Mirco e Arianna, i due giovani apparentemente trucidati per fatalità nel corso di una rapina. Ma agli occhi di Flaminia, riluttante ad offrirgli aiuto nell’indagine, il fratello è spinto da un capriccio narcisista e solo quando l’avvicendarsi di personaggi e sviluppi entra di prepotenza nella sfera personale di Flaminia, i due fratelli si ritrovano complici nella ricerca della verità. Il rapporto conflittuale tra Flaminia e Massimo diventa filo conduttore della narrazione, contrapponendo all’egocentrismo dominante di Massimo lo spirito pratico e razionale di Flaminia. Ma niente è troppo scontato: le caratteristiche di ciascun personaggio si delineano nel corso della storia, rivelando difetti e virtù meno evidenti, fino alla soluzione finale.



L'intervista



1. Ciao Paola, innanzittutto grazie per la tua disponibilità.

Ciao e grazie a voi per l’ospitalità.


2. Inizio facendoti i complimenti per Bevo Grappa, un noir che ci porta a Milano e nella Brianza. Come è nata l’ispirazione?

Innanzitutto dall’osservazione del contesto sociale in cui vivo, tra la Brianza e Milano appunto. Io abito nell’hinterland nord, una terra di mezzo tra la provincia e la città, con una discreta esperienza di entrambe le realtà. E sono una pendolare, come Flaminia, la protagonista di Bevo Grappa. Ma l’intenzione non è mai stata autobiografica, più un desiderio di cogliere qualche personalità in mezzo alla massa che si muove all’inizio del libro verso la città e di far risaltare una volta tanto le soggettività meno uniformate e mediaticamente meno visibili. Mi ha sempre attratto la dissonanza di alcuni soggetti reali con i soggetti statistici che ci vengono proposti, per non dire imposti. Elementi discordanti, a volte un po’ grotteschi, eppure ingranaggi essenziali. Ne conosco tanti e credo che meritino attenzione.
In secondo luogo, mi piaceva l’idea di un caso poliziesco affrontato da dilettanti nelle difficoltà del quotidiano. Oltre a tutti gli spunti umoristici che offre, è anche più facile che il lettore instauri un rapporto identificativo con i personaggi. Lo dico da lettrice.
Da ultimo mi interessava far emergere la convivenza tra una realtà produttiva frenetica, anche alienante, ma integra e una realtà più sottaciuta, che si muove al di fuori delle regole. Perché, anche se se ne parla poco, il nord Italia non ne è esente.


3. Flaminia e i suoi fratelli sono una famiglia inusuale, vitale, allegra. Leggendo il tuo libro mi sono trovata a desiderare una famiglia cosí. Qual è l’origine di questi personaggi?

Di base l’origine è la fantasia. Io sono cresciuta in una famiglia borghese assolutamente regolare, molto diversa dalla famiglia Malesani. Né posso dire di aver mai conosciuto famiglie così particolari. E’ ovvio però che l’immaginazione attinge anche al proprio vissuto, prima di trasformarlo a suo piacimento. Qualunque riferimento specifico sarebbe riduttivo, le esperienze personali che hanno contribuito a caratterizzare i quattro fratelli Malesani sono veramente tante, ma penso che la mia infanzia, trascorsa in buona parte in compagnia di fratelli, cugini, amici di famiglia rigorosamente tutti maschi, abbia avuto una discreta influenza. Era decisamente un contesto vivace e scanzonato.


4. Flaminia è forte, curiosa, determinata ma, nel contempo, desidera stabilità affettiva e professionale. Qual è la fascinazione che la spinge a continuare a contribuire alle indagini sull’omicidio di Arianna e Mirco?

Come in ogni buon giallo, Flaminia vuole la verità. E’ spinta inizialmente dall’empatia con Blanka, ma non concede ai propri coinvolgimenti emotivi la distorsione dei fatti: è abituata a sforzarsi di guardare oltre le manipolazioni e si ostina ad associare giustizia e verità in maniera indissolubile. Con tutta la rigidità che le è caratteristica.


5. Massimo è un giovane uomo bello, intelligente, egoista e sicuro di poter ottenere tutto grazie al proprio fascino. Che cosa lo spinge ad interessarsi a una donna come Blanka?

Nient’altro che un calcolo vantaggioso. Con una capacità, quasi fastidiosa, di sapere cogliere le debolezze delle donne che usa e accontentarne i desideri, al solo scopo di manovrarle a suo comodo.


6. Blanka, a modo suo, è una delle vittime di questa vicenda. Anche lei giovane e bella, tenta di sopravvivere come può. Verso di lei si prova un affetto particolare. Qual è il messaggio di questo personaggio contemporaneamente coraggioso e fragile?

Blanka è uno dei personaggi a cui anch’io sono maggiormente affezionata. Blanka ha tutto il coraggio della sopravvivenza femminile. Non è abbastanza forte e sentimentalmente emancipata da riuscire a sottrarsi al ruolo di vittima predestinata. Eppure non affonda, credo sia questo il messaggio.


7. Stefania è una donna oscura. Vuoi parlarci di lei?

Stefania e suo marito Cesare fanno parte di quella realtà produttiva al confine tra legalità e illegalità, cui accennavo prima. Sono arroganti, sprezzanti delle regole, interessati solo al loro benessere edonistico, prepotenti nel loro delirio di piccolo potere economico. Vuoti. Però Stefania è anche una donna molto pragmatica ed è decisamente molto più adulta della maggior parte dei personaggi della storia.


8. Cesare è innamorato oppure insegue un’illusione che sconfina nel narcisismo?

La seconda che hai detto, dal mio punto di vista. Il confine però è labile. Ogni lettore si può fare la sua idea. Del resto nessun personaggio è delineato in maniera assoluta, ciascuno ha la sua complessità psicologica e una buone dose di contraddizioni.


9. Nel tuo romanzo viene descritta la vita in una casa dell’edilizia comunale, con il suo microcosmo, le sue leggi, le sue contraddizioni. Non si legge spesso di come si svolge la vita in questo tipo di abitazioni eppure, chiunque vi abbia abitato, ne prova una certa fascinazione. Come è nata l’idea di ambientarvi parte del romanzo?

Prima sono nati i personaggi e poi il contesto dove farli vivere. Mi sembrava appropriato. Nel mio amore per i contrasti, la socialità, a volte anche obbligata, della vita dei quattro fratelli si contrappone volutamente a una certa tendenza a chiudersi nel proprio infimo universo, abbastanza tipica della Brianza. Nel bene e nel male, ne emerge un’esistenza più piena e anche più attraente. Almeno per me e dalla tua domanda deduco di non essere la sola. Non tutti la pensano così.


10. Leggere il tuo romanzo spinge ad amare Milano e la sua provincia. Com’è il tuo rapporto con la città?

Domanda difficile. Milano è la città dove ho studiato, dove ho sempre lavorato e dove si è svolta la quasi totalità della mia vita sociale giovanile. Mi ha offerto molto, sia a livello formativo, sia come opportunità di svago e professionali. Ma parliamo di circa trent’anni di vita in cui io sono cambiata molto e la città ha conosciuto diversi momenti storici, trasformandosi di conseguenza. Non sempre siamo state in sintonia. Come molti quarantenni ho una certa nostalgia della vivacità culturale e ideologica che le ho visto in altri tempi. Quando ideologia ancora non era una parolaccia. Ne soffro la persistente insufficienza strutturale, pur essendo oggettivamente ben integrata nel suo affanno quotidiano. Però Milano continua a essere la miglior visuale sulle evoluzioni sociali, politiche ed economiche del Paese. Non ci rinuncerei facilmente.


11. Flaminia e Blanka sanno arrivare al cuore del lettore. Che cosa le rende così comunicative?

Sono entrambe donne schiette e dirette. Dicono e fanno quello che pensano. Qualità piuttosto rara e non solo nelle donne, come da luogo comune.


12. Flaminia ama la buona cucina e la grappa. Sei anche tu una buongustaia?

Di più. Sono anche vorace e refrattaria alle rinunce del palato. Non sono una salutista e, giusto per rendermi un po’ antipatica, approfitto senza scrupoli del mio metabolismo annientatore che mi consente di mantenere pressoché inalterati i miei cinquantadue chili.


13. Qual è il tuo rapporto con la scrittura?

Grafomane. Tendo a scrivere tutto. Sul lavoro mi aggiro sempre con un blocco e una matita in mano, sono l’unico tecnico informatico a cui nessuno chiede di documentare quello che ha fatto, perchè è scontato che io lo abbia documentato, in genere ancora prima di farlo. Quando posso, documento anche i lavori degli altri. La scrittura è la forma di comunicazione che prediligo perché consente la riflessione e la revisione. Appaga il mio perfezionismo e compensa la mia smemoratezza.


14. Quali libri e autori ti hanno ispirata di più?

Questa è un’altra domanda a cui fatico sempre a rispondere. Non c’è un genere preciso o un libro o un autore a cui mi sento di far riferimento. Tanti libri, tanti autori, tanti generi e anche tanti film e una buona musica di sottofondo. Provo a citarne qualcuno. Parto dal cinema: “Rosetta” dei fratelli Dardenne, con particolare riferimento alla tecnica della telecamera che scruta dentro la protagonista, ha avuto un’influenza importante sullo stile.
Libri e autori, limitandomi al contemporaneo: “Ti prendo e ti porto” di Niccolò Ammaniti, tutti i Montalbano di Andrea Camilleri, “La famiglia Winshaw” di Jonathan Coe, tutti i Malaussène di Daniel Pennac, Georges Simenon, Massimo Carlotto, Santo Piazzese e via dicendo. Sono molto diversi tra di loro, come puoi vedere e non hanno una relazione immediata con il mio libro.
Da non dimenticare: il punk-rock a tutto volume quando scrivo, mi fa muovere le dita più veloci sulla tastiera.


15. Quali sono i tuo progetti letterari per il futuro?

Sto lavorando al secondo romanzo, stessi protagonisti, cauto silenzio sul resto.


Grazie Paola. Ancora tanti complimenti per Bevo Grappa e in bocca al lupo per i tuoi futuri lavori!

27 settembre 2010

La chimera - Sebastiano Vassalli

In un villaggio padano del Seicento, cancellato dalla storia, si consuma la tragica vita di Antonia, strega di Zardino. Dalla nebbia del passato riemergono situazioni e personaggi a volte comici e persino grotteschi, a volte colmi di tristezza.






Recensione

"[...] nessun inquisitore del Sant'Uffizio, in nessuna città, avrebbe accettato di considerare come risolutiva, in un processo d'eresia, una verità così volgare e grossolana da coincidere con l'evidenza stessa delle cose; e a Novara meno che altrove."

Novara, 1590: una neonata scura d’occhi e di capelli viene esposta sul torno della Casa di Carità di San Michele. La bambina, chiamata Antonia Renata Giuditta Spagnolini, viene cresciuta dalle suore e, anni dopo, adottata da una coppia di contadini della bassa (la campagna intorno a Novara) che la cresce come una figlia naturale.
Il mondo cristiano del Seicento si erge in tutta la sua brutalità: la bellezza di Antonia, le sue escursioni notturne per incontrarsi con il moroso, le maldicenze, la siccità, e infine un inquisitore ansioso di mettersi in mostra, fanno sì che la ragazza -a soli vent'anni- venga denunciata, imprigionata, torturata e stuprata, e infine bruciata sul rogo come strega.

Con La chimera Sebastiano Vassalli si è aggiudicato il Premio Strega nel 1990. A torto o a ragione non posso dirlo, non conoscendo gli altri contendenti, ma sicuramente è un romanzo storico accuratissimo che vale la pena di leggere. Il lessico di Vassalli è ricercato e perfettamente mimetico: se il narratore non s’introducesse spesso con commenti che rimandano ai giorni nostri, paragonando questa o quell’usanza al mondo moderno, potrebbe quasi sembrare un romanzo dell’epoca.

Il limite (o il punto di forza, è un elemento molto soggettivo) di questo libro è che non è la storia di, ma un romanzo su: Antonia ne è fulcro, ma non protagonista; che è invece il Novarese a cavallo tra il sedicesimo e il diciassettesimo secolo: e in particolare Zardino, una piccola società di campagna con tutto ciò che ne consegue –la lotta tra le superstizioni contadine e quelle religiose, i pettegolezzi, le invidie e le faide tra vicini, le imposte al prete, i risaroli costretti a vivere in condizioni insalubri e miserevoli, le grida dei reggenti spagnoli, le invasioni di lanzichenecchi, …

Antonia è il pretesto per un’analisi storica dettagliata del periodo in cui la violenza della fede cristiana ha mietuto più vittime, fede cristiana scissa nelle sue due forme dell’epoca: quella pagano-medievale, ancorata ai riti contadini, e quella scolastica, ferocemente repressiva.

Il narratore onnisciente, lungi dal seguire Antonia da vicino, è continuamente presente nel riportare grida, documenti, atti di processo, fare un salto avanti per mostrare come un determinato episodio inciderà negli eventi futuri, digredire su personaggi che rappresentano i caratteri più rappresentativi dell’epoca: le monache del convento delle esposte, l’esposta tornata al convento dopo essere stata venduta ed essersi ridotta alla prostituzione, il vescovo in lotta con il papa, il quistone (prete senza licenza) che alleva in chiesa bigatti per sbarcare il lunario, il nuovo prete giunto dalla città e deciso a riportare la comunità sulla retta via attraverso il terrore, le comari, il vecchio camparo a riposo, il don che si fa abbindolare con una falsa vendita di corpi santi, l’inquisitore con i suoi aiutanti, il boia, e poi lei, la bella Antonia, capro espiatorio delle paure di un’intera, malata società.

In realtà, del processo che ha portato la comunità a sospettare che Antonia fosse una stria, a partire da coincidenze casuali, si dice ben poco. E pochi sono gli episodi che riguardano Antonia in prima persona, almeno finché il romanzo non tocca il climax con la narrazione degli interrogatori preliminari al processo. L’ultimo capitolo, subito prima dell’epilogo, con tinte fosche dipinge splendidamente il viaggio di Antonia verso la Zardino in cui ha trascorso la sua breve vita e in cui essa avrà fine, quella stessa Zardino che l’ha cresciuta e che adesso grida la sua morte: un capitolo lirico nella sua semplicità e tristezza.

Per concludere: un libro non semplice da leggere, né scorrevole, ma che illumina su una barbara superstizione che solitamente, nell’immaginario comune e nella letteratura, viene attribuita principalmente alla Francia prerivoluzionaria, alla Spagna dell’Inquisizione, all’America puritana, ma che, senza scomodarci troppo, è appartenuta anche al nostro paese.

Giudizio:

+4stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: La chimera
  • Autore: Sebastiano Vassalli
  • Editore: Einaudi
  • Data di Pubblicazione: 2005
  • Collana: Einaudi Tascabili
  • ISBN-13: 9788806129378
  • Pagine: 308
  • Formato - Prezzo: Brossura - 11.00 Euro

26 settembre 2010

Ubik - Philip K. Dick

Glen Runciter comunica con la moglie defunta per avere i suoi consigli dall'aldilà. Joe Chip scompare dal mondo del 1992 e si ritrova nell'America degli anni Trenta, mentre riceve misteriosi e cupi messaggi. Una trappola mortale sembra aver annientato i migliori precognitivi del sistema solare. È in corso una lotta per scrutare il futuro nel corso di un'impossibile dissoluzione del presente; mondi e tempi diversi vivono e fluiscono contemporaneamente, la vita si scambia con la morte. In Ubik Philip K. Dick affronta con grande ispirazione alcuni dei suoi temi più profondi: l'illusione che chiamiamo realtà, la mancanza di un tessuto connettivo e di un principio unificatore al di sotto dell'apparenza delle cose, il mistero di un Dio che tiene i dadi della vita e della morte.

Recensione

Ubik è costantemente, almeno da quando ho cominciato a leggere Dick, presentato come il suo miglior romanzo, il suo gioiello più prezioso. A me di Dick sono piaciuti ben altri romanzi ed ho già trovati quelli che, per me, sono i suoi capolavori. E questo Ubik non vi rientra.
E' senz'altro un bel romanzo, gli ingredienti giusti ci sono tutti: fantascienza visionaria e originale, mescolanza di immagini e tematiche diverse (dagli esper alla semi-vita ai viaggi spaziali!), stile tipicamente dickiano, ovvero confuso e frammentario, ed il tutto condito da un altrettanto tipicamente dickiano humor particolarmente nero.
Gli ingredienti ci sono, è vero, ma il risultato non è esattamente un capolavoro. Da quando ho iniziato a leggere fino a quando non ho letto l'ultima pagine non è andata via la sensazione che, sì, si poteva fare di meglio. Che con tutti questi ingredienti si poteva scrivere un romanzo lungo almeno il doppio, molto più approfondito.
Le carenze ci sono, soprattutto nella resa dei personaggi, la cui caratterizzazione è appena accennata. Joe Chips è un protagonista che non convince proprio, ben lontano dagli altri classici personaggi alienati di Dick. Gli altri personaggi, poi, riesci appena a ricordarti chi siano. L'ambientazione è curata, ma alla fine anche questa risulta accennata. Come se Dick si fosse impegnato a costruire un'ambientazione molto ricca e particolareggiata, con questa società che ha conosciuto la sospensione della morte e l'impiego a fini meramente commerciali dei poteri paranormali, ma poi si sia "dimenticato" di inserire tutti i dettagli, lasciando il tutto fin troppo vago.

Ubik, dunque, non è un capolavoro, spiace dirlo. Nondimeno è un gran bel romanzo, soprattutto se si sta a guardare unicamente allo sviluppo dell'assurda trama: da un colpo di scena all'altro, il lettore vede la realtà della storia esser fatta a pezzi colpo dopo colpo, finché sopraggiunge un finale assolutamente mozzafiato, un epilogo perfetto per la dissoluzione della trama.

Giudizio:

+4stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Ubik
  • Titolo originale: Ubik
  • Autore: Philip K. Dick
  • Traduttore: Carlo Pagetti
  • Editore: Fanucci
  • Data di Pubblicazione: 2007
  • Collana: Collezione immaginario Dick
  • ISBN-13: 9788834712658
  • Pagine: 240
  • Formato - Prezzo: Rilegato, sovraccoperta - 11,90 Euro

24 settembre 2010

Intervista a Marco Valenti, autore di "Cometa e Bugie"

L'autore

Marco Valenti, architetto, è nato nel 1960 a Roma, dove vive e lavora. Vive di altro ma ha scritto e scrive diverse cose. Passioni semplici: la lettura, la buona cucina (se la cava bene), il buon bere e la buona musica, gli amici selezionati, la Vespa, qualche viaggio, lo sport. Piccole manie le sue collezioni di tartarughe e di tazze formato mug. Gestisce un Blog che vale la pena visitare del nome esemplificativo “LeCoseSonoComeSono” (www.lecosesonocomesono-mv.blogspot.com) in cui parla di argomenti diversi con tono sereno dando prova anche lì di saper raccontare storie. “Un senso alle cose”, il suo primo romanzo, è stato scritto a quattro mani, e due teste, con Paolo Scatarzi che è uno dei suoi amici più cari; “Cinque canti di separazione” è una breve raccolta di racconti; entrambi i libri sono stati pubblicati da Boopen (www.boopen.it). A giugno è uscito “Cometa e bugie”.



Il libro

C'è chi sostiene che eventi eccezionali come il passaggio di una cometa scombussolino equilibri emotivi già labili, senza bisogno di ulteriori spinte. A maggior ragione, se a scorrere in cielo è l'enigmatica Hale Bopp, con la sua coda bifida. È solamente una tesi, ed è priva di riscontri oggettivi scientifici. Il passaggio di Hale Bopp, nella primavera dell'anno millenovecentonovantasette, fu comunque un evento di fine millennio. Ci fu chi mentì sapendo di mentire e chi pensò di dire la verità. Chi iniziò e chi finì. Ci fu chi restò e chi andò via... Tre bugie.
...Per colpa della cometa del marzo millenovecentonovantasette. Le cose con cui fare i conti sono quelle importanti. Le cose importanti non sono mai urgenti. Ed è vero, come è vero, quel che è vero. Quando ci arrivi e ci fai i conti, fino in fondo, ci può anche stare che ti fai male.



L'intervista



Ciao Marco, complimenti per il tuo romanzo Cometa e Bugie.

Grazie Vittoria. È una scommessa che spero di vincere. È un libro autoprodotto con ilmiolibro.it, del Gruppo Repubblica/L’Espresso, e ha solo il passaparola. Può essere ordinato presso tutti i punti vendita Feltrinelli oppure acquistato on line, su Lafeltrinelli.it al link che riporto:
http://www.lafeltrinelli.it/products/2120004496499/cometa_e_bugie/Marco_Valenti.html?aut=927044&cat1=1
Si compone di un romanzo e tre racconti in appendice.


1. Come è nata l’ispirazione che ti ha portato a scrivere Cometa e Bugie?

Volevo rappresentare varie incongruenze del cuore: raccontare storie di faticosa presa di coscienza che, come recita il mio blog, le cose sono come sono. Spesso le persone, magari in buona fede, si raccontano bugie, si rappresentano come non sono e, così facendo, giocano con i sentimenti e con il cuore. Credo che serva prendere le cose per un oggettivo verso e rappresentarsi con coraggio la realtà dei propri sentimenti. L’idea della Cometa è un pretesto ed è chiaro fin da subito. Anzi: l’unico episodio vero è quello dei suicidi di rancho Santa Fe. L’unica cosa di cronaca nel libro. Veramente ci fu un suicidio collettivo commesso dagli adepti di una setta in nome della cometa Hale Bopp. Assolutamente incredibile!


2. Nel tuo romanzo si intrecciano vite, passioni, illusioni, delusioni e desideri narrati con sapienza, delicatezza ma anche molta sincerità. Chi sono per te questi personaggi?

Sono stereotipi di atteggiamenti che, troppo spesso, si vedono in giro.


3. Mi domandavo, leggendo il romanzo, se ognuno di loro rappresenta un lato di te. Come avviene per te l’identificazione.

È una domanda un po’ complessa. Non è un romanzo autobiografico, sia chiaro, ma cerco di respirare con loro, di sentire quel che sentono, di immedesimarmi e, se posso, perdonare i loro grossolani errori: chi non ne commette? Ho provato anche a scrivere in modo diverso quando “in scena” c’era un personaggio piuttosto che un altro, tenendo un tono più lieve quando parlavo di Paola e Pietro.


4. In Cometa e Bugie si parla di amore nel senso più ampio, più vero e anche più brutale. Perché, secondo te, si tende a fuggire, che cosa ci spaventa di più?

Potrei dire, in una parola, che si sfugge dall’impegno. Ci si accontenta, magari, di un piano B. Resta un senso diffuso di inadeguatezza e sentimenti ed emozioni vengono sacrificate alla convenienza.


5. La cometa passa lasciando una scia di emozioni. Qual è, per te, la forma più vera e duratura dell’amore?

Ti ringrazio per la complessità immensa della tua domanda che giro a chiunque abbia la gentilezza di leggerci. L’amore è. Non conosce declinazioni né suggestioni. Non fa prigionieri. Se non è totale non è amore ma altro. Magari calcolo e convenienza, forse pulsione, ma non amore.


6. Luisa e Guido, Agnese e Mario. Che cos’è per te il coraggio e che cosa, a volte, lo fa venire meno nell’animo delle persone?

Quello che ho provato a raccontare è, più che il coraggio, la presa di coscienza. I personaggi sono tutti verosimili. Potrebbero essere i nostri vicini di casa.


7. Pietro e Paola. Le aspettative e il bisogno di condivisione. Forse Pietro cercava una congiunzione mentre Paola una vita da controllare. L’incomunicabilità li ha divisi. Qual è la tua esperienza con l’introspezione e la condivisione?

La vita lascia motivi adeguati per essere introspettivi. Credo di esserlo. Ho imparato sulla mia pelle ad essere introspettivo e a ragionare: a volte ci riesco. Ho un carattere per cui sento molto forte il bisogno di condividere le mie cose, i miei stati d’animo e i miei pensieri. Tornando ai personaggi che hai richiamato, Pietro decide, senza saperlo fino in fondo, che è tempo di mettere su famiglia; Paola va a coronare col matrimonio un suo disegno, forse anche inconscio. Entrambi prendono un abbaglio. Va da sé che la passione abbia un’altra grammatica. Quello che tu dici è vero, e ti ringrazio, ma in realtà non sono tanto diversi: entrambi si raccontano una storia e, almeno all’inizio, ci credono con convinzione. Che lei sia maniaca dell’ordine mentre lui è un “farfallone amoroso” non è poi così importante: non credi?


8. Nel tuo libro si incontrano alcuni personaggi che non riescono a reagire a ciò che accade nelle loro vite. Rimangono soggiogati dal peso degli eventi. Altri invece trovano il coraggio di risollevarsi. Che cos’è, secondo te, la più forte pulsione esistenziale?

Un giorno, ormai parecchio tempo fa, un amico mi ha detto: “Ciascuno ha il dovere di perseguire la propria felicità”. Ecco. Credo che la molla sia provare a realizzare i propri obbiettivi di crescita e di gioia.


9. I tuoi personaggi sono talmente reali e dotati di una sfera psicologica completa da rendere possible un’immedesimazione nelle loro vicissitudini. Qual è il tuo messaggio per i tuoi lettori?

Sono persone che fanno i conti con l’amore, con la passione, con la vita nel bene e nel male: credo che questo aiuti i lettori a voler loro bene. Dalla quarta di copertina: Le cose con cui fare i conti sono quelle importanti. Le cose importanti non sono mai urgenti. Ed è vero, come è vero, quel che è vero.


10. Quali sono i tuoi progetti letterari per il futuro?

Sto per terminare una raccolta di racconti sul tema della parola, del parlare, del comunicare e del negarlo. Molto appagante. Sto anche lavorando ad un evento di presentazione di Cometa e bugie a Roma e credo sia una cosa interessante che superi l’immagine, paludata, della presentazione letteraria (non prendete impegni per l’11 dicembre e tenetevi in contatto, se potete). Spero, anzi, che mi darai una mano a diffondere l’appuntamento. Oltre ci sono un paio di romanzi nuovi, e faticosi, che prenderanno forma. Ce ne è.

23 settembre 2010

Il divo Claudio - Robert Graves

"Lo storico non ha il diritto di interrompere il racconto nel punto culminante di interesse. Avevo il dovere assoluto di proseguirlo, e di descrivere, per lo meno, ciò che il resto dell'esercito pensò di quell'atto prettamente anticostituzionale compiuto dalla Guardia di Palazzo; e ciò che ne pensò dal canto suo il Senato." Claudio è un uomo affabile, un uomo mite, è uno studioso la cui vita cambia improvvisamente e inaspettatamente quando viene acclamato imperatore dai pretoriani. Circondato ma non travolto dagli intrighi di corte, dalle passioni, dai tradimenti che falcidano sia la sua famiglia sia i suoi avversari, riuscendo quasi involontariamente a rimanere a margine delle lotte di potere, Claudio giunge a passo regolare e misurato verso l'apice del successo. Ma la sua vita, sino a ora e da ora in poi, non è una vita facile, non è neppure felice, né tantomento gloriosa: è la vita di un riformatore prudente, calunniato e temuto come tiranno capriccioso e sanguinario. Attorno a lui si muovono le ambizioni sfrenate delle sue donne, come Messalina, la giovanissima e sfrenatamente ambiziosa moglie, o Agrippina, che, forse, fu responsabile della sua morte prematura. Di questo straordinario itinerario umano narra Robert Graves, secondo la fortunata formula della fiction storica.

Recensione

All'inizio degli anni Trenta del Novecento Robert Graves decide di accantonare la poesia e scrivere qualcosa che gli frutti una gran quantità di lettori, e quindi di denaro, con il quale intende pagare i suoi debiti e "tornare a camminare a testa alta", come dice lui stesso in una lettera. È così che nascono Io Claudio che racconta i primi cinquant'anni di vita del futuro imperatore e Il divo Claudio che prende il là dall'ascesa di Claudio al seggio imperiale.

Tacito, Svetonio, Seneca, Flavio Giuseppe sono le fonti che l'autore consulta con grande attenzione per ripercorrere la vita del quarto princeps romano: da ognuno di essi prende un pettegolezzo, un aneddoto, un piccolo particolare. Queste le materie prime che vengono lavorate con ingegno e immaginazione e messe in bocca, o sarebbe meglio dire "nella penna", di Claudio stesso. Leggendo degli intrighi di palazzo, delle congiure, delle morti per avvelenamento che costellano il romanzo ci si trova spesso a chiedersi quanto ci sia di storico e quanto invece appartenga alla fantasia dell'autore. In realtà Graves inventa ben poco, i fatti raccontati sono attestati storicamente, è alle motivazioni, alla costruzione dei caratteri, alla psicologia dei personaggi che egli conferisce il suo tocco personale. Lo stesso Claudio non ci viene presentato certo come lo stupido dipinto fin troppo spesso dai libri di storia. Il Claudio di Graves non è uno sciocco ma facendosi credere tale riesce a sopravvivere a buona parte della sua famiglia, è un uomo colto, uno storico che nel momento in cui viene proclamato imperatore non ha altro pensiero che quello di poter finalmente leggere le sue opere davanti a un vasto uditorio. Talvolta, allo scopo di presentare l'imperatore estraneo ai crimini e alle ingiuste condanne che pur fecero parte del suo regno, Graves ne esagera l’ingenuità e la semplicità d’animo. Tuttavia egli evita di ritrarlo come lo strumento attraverso il quale le sue donne e i suoi ministri possono esercitare il potere. È inesperto, fiducioso ma non è un burattino né è uno stupido: sa quel che fa, l’unico errore di cui lo si può imputare è la sua scarsa capacità di giudicare le persone di cui si circonda.

Ma in fondo Graves, seppur tenta di riabilitare l’immagine del suo protagonista, è consapevole che egli non fu un personaggio coraggioso. Esita, tentenna, torna sui suoi passi, convinto sostenitore della Repubblica proprio nel momento in cui sta per ripristinarla decide di fare marcia indietro abbandonando la guida dello Stato alla sua ultima moglie Agrippina. Claudio si arrende, è uno che rinuncia.

Dopotutto, lo stesso Graves, dopo l’esperienza della guerra, aveva preferito abbandonare il mondo civilizzato e rifugiarsi in un paesino sperduto sull'isola di Maiorca.

Giudizio:

+4stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Il divo Claudio
  • Titolo originale: Claudius the God and His Wife Messalina
  • Autore: Robert Graves
  • Traduttore: C. Coardi
  • Editore: Corbaccio
  • Data di Pubblicazione: 2010
  • ISBN-13: 9788863800593
  • Pagine: 389
  • Formato - Prezzo: Rilegato - Euro 19,60

FantaBorgo - Giornata Fantasy a Borgo di Minozzo

Hai bisogno di una buona dose di fantasia?


Domenica 3 ottobre a Minozzo (RE) dalle ore 14.00 si terrà la seconda edizione del FantaBorgo, organizzata dalla ProLoco di Minozzo e dall’autrice fantasy Chiara Guidarini.

Tra bancarelle, musica, editori e librerie, servizio trucco per bambini, combattimenti in costume, noleggio costumi medievali, alcuni autori presenteranno i loro libri:

Francesco Barbi, autore de L’acchiapparatti – Baldini Castoldi Dalai

Paola Poggioli, autrice de La Maschera – Fedelo’s editore

Giuseppe Pasquali, autore de Lunar memories – Linee Infinite Edizioni



Non saranno senz'altro gli unici ospiti della manifestazione: al salotto letterario che seguirà parteciperanno Federica Ramponi, Silvano Scaruffi, Antonio Cinti, Alessio Gallerani, Simone Draghetti, MP Black, Vincenzo Malara, Enrico Matteazzi, Armido Malvolti, Eugenio Saguatti e Chiara Guidarini, moderati da Andrea Ferrari, titolare della libreria Liberamente di Langhirano.

Tra i musicisti si esibiranno “Fabio e Fede Pianobar”, mentre tra gli illustratori saranno presenti Fabio Porfidia, Mauro Moretti e Ilaria Trombi. I più piccoli, invece, potranno usufruire della Corte dei Balocchi, uno spazio tutto per loro, mentre i più grandicelli potranno partecipare alla caccia al tesoro delle fiabe nascoste nei castelli di Matilde. Combattimenti a cura delle Tre Emme di Maranello.

E' gradita, così recita la locandina, la partecipazione in costume medievale: alla fine della manifestazione verrà premiato il migliore. In caso di maltempo l’evento si terrà presso l’Albergo 2 Pini di Minozzo.


22 settembre 2010

Intervista a Marilù Oliva, autrice di "Tu la Pagaras!"

L'autrice

Marilù Oliva è nata e vive a Bologna dove insegna lettere alle superiori. Prima di laurearsi ha fatto l'insegnante di salsa, l'autista di autobus e l'impiegata. Ha inoltre lavorato per diverse redazioni ed e' stata direttrice artistica di una rivista di musica e cultura latinoamericana e ha coordinato e presentato un programma televisivo per una rete locale, Rete8. Le sue passioni sono la salsa cubana e portoricana, sia in musica che in ballo, l' America Latina, Gabriel Garcia Márquez, Dante Alighieri, Catullo, i Borgia, cinema, fumetti, storia antica e contemporanea, letteratura noir (e non solo), giornalismo, web, criminologia. Marilù scrive narrativa e saggistica e legge tantissimo.



Il libro

Bologna. È quasi finita la notte quando, in una sala da ballo di salsa e merengue, viene ritrovato il cadavere del barista del locale, Thomàs Delgado. Molti sono i potenziali indiziati, prima tra tutti la Guerrera, fidanzata di Thomàs. Disincantata, scanzonata, impulsiva, un po’ vanitosa, un po’ maschiaccio, vera salsera, spirito combattivo, la Guerrera lavora presso una sorta di redazione-garage per un giornale diretto da un becero individuo. È guerriera di capoeira, l’arte marziale brasiliana nascosta sotto forma di danza, e oltre alla salsa ha due grandi passioni: Dante Alighieri e le patatine fritte. Vive con Catalina, l’amica cartomante, appassionata come lei di balli latinoamericani e santeria. Le indagini vengono condotte dall’ispettore Gabriele Basilica e si incrociano con quelle della Guerrera, che lo introduce nel mondo della salsa, svelandogliene fascino e incoerenze, verità e mistero. La ragazza a volte si contraddice, tanto che i sospetti cadono a più riprese su di lei. Infatti, avrebbe avuto molte buone ragioni per farla pagare a Thomàs, inguaribile sciupafemmine. Nel frattempo un altro cadavere viene ritrovato nella campagna emiliana: anche in questo caso la vittima è legata all’ambiente dei locali di salsa e merengue. E così, tra insegnanti di danza, animatori pugliesi che si spacciano per latinoamericani, ballerine bellissime e signore rifatte, esibizionisti, rituali religiosi affascinanti e arcani, storie di sesso torbido, gelosie e superstizioni, l’ispettore Basilica si trova catapultato in un mondo per lui inedito e pressoché incomprensibile. Però proprio dagli orishas, gli dei della santeria cubana, quando tutte le piste sembrano condurre solo a un vicolo cieco, verrà un aiuto inaspettato che porterà Basilica di fronte a una verità sorprendente...



L'intervista



1. Ciao Marilù, complimenti per “Tu la pagaras”, veramente bellissimo. Il tuo romanzo ci porta lontano, nella bellezza misteriosa di Cuba e dei suoi rituali. Da dove è nato questo interesse?

Grazie, Vittoria. L’interesse per Cuba e per la sua religione è puramente antropologico ed è nato quando all’università diedi un esame sul sincretismo religioso delle civiltà post-colombiane. Ciò che mi affascina di più del pantheon religioso cubano sono le caratteristiche degli orishas (sorti dall’incrocio tra i santi cattolici, le divinità africane degli schiavi yoruba e quelle degli autoctoni lucumì), che molto hanno in comune con le antiche divinità greche o romane: provano emozioni molto simili a quelle degli uomini: invidia, rabbia, amore.


2. La storia si svolge a Bologna, ma gli eventi si susseguono nel mondo delle danze caraibiche. Qual è stata la tua esperienza con il ballo?

È stata un’esperienza molto intensa che mi ha letteralmente rapita e che è inscindibile da quella musicale. Io ballo spesso e ascolto salsa quasi tutti i giorni.


3. Elisa “La Guerrera” è la protagonista. Che rapporto hai con lei? Ti somiglia?

Sì, mi assomiglia anche se siamo molto diverse. Fisicamente è piccolina come ma mentre io sono molto chiara (carnagione, occhi, etc), lei è scura. Ha gli occhi arabi e neri, i capelli scuri lunghissimi e il viso un po’ rovinato. Caratterialmente è l’esasperazione di quello che ero io a vent’anni, quando andavo a ballare la salsa: impulsiva, arrabbiata con un mondo non sempre giusto, azzardatrice. Lei regge l’alcol molto meglio di me e soprattutto è una vera guerriera di capoeira! Con lei ho in questo periodo un rapporto ossessivo perché sono alla stesura del secondo romanzo della serie appunto de “La Guerrera”: la penso spesso, la leggo spesso, delle volte pretendo da lei più del dovuto.


4. Elisa è forte e determinata ma anche profondamente umana, dolce, sensibile, con una spiccata propensione a mettersi nei pasticci. Raccontaci come è nato questo personaggio che si farà sicuramente amare sia dal pubblico femminile che da quello maschile.

Elisa Guerra esisteva già in un manoscritto risalente a un decennio fa. Un mistery di quattro amiche (esisteva anche il personaggio di Catalina) che non ho mai pubblicato. Ho deciso di estrapolare questi due personaggi perché secondo me erano i più forti, narrativamente parlando. La Guerrera, come hai sottolineato, presenta diverse ambivalenze: è profondamente umana ma anche cinica, dice di non credere in nulla ma si lascia suggestionare dai tarocchi di Catalina, fa il maschiaccio ma è vanitosa. La contraddizione è la metafora delle verità mancate: qui nessuno –figuriamoci io!- ha una verità da sbandierare.


5. Il tuo romanzo presenta una galleria di personaggi unici e interessantissimi, con dei soprannomi che riassumono una vita intera. Parlaci un po’ di loro.

I soprannomi sono tipici dell’ambiente latino. C’è chi se li sceglie con cura e con un pizzico di vanità, come El Tigròn dj. C’è chi invece se li trova suo malgrado appioppati, come il personaggio di El Pony. Lui è un dj strafottente, ignorante e irascibile che, credendo di fare una scelta ganza, aveva anni prima deciso di battezzarsi El Bonny. Ma, data la sua conformazione tracagnotta e la sua lunga testa equina, il suo nome è stato storpiato in El Pony appunto. È un personaggio molto buffo che si porta appresso nella console di ogni discoteca una pedanina sopraelevante, di quelle che usano gli atleti di ginnastica artistica. Poi c’è Princesa, ballerina venezuelana: portamento regale, bellezza ambrata frutto di secoli di incroci ben riusciti: una vera principessa, esteriormente, come dice il soprannome. El Cubano è un barese che si spaccia per cubano e io trovo questo individuo molto realistico: quante persone conosciamo, che fingono di essere quello che non sono? Quanti si rivestino di qualità o dettagli che non possiedono e si sentono davvero vivi solo quando portano avanti la loro pantomima?


6. L'ispettore-capo Basilica è un uomo tutto d’un pezzo che però, grazie alla protagonista, nel corso del romanzo inizierà a porsi delle domande sulla propria felicità. Nei tuoi libri la componente psicologica è sempre molto forte. Che cosa spinge Basilica a dubitare delle proprie scelte? Quanto incide, secondo te, la passione nella vita delle persone?

Incide molto se uno si lascia andare alla passione. Basilica si è ritrovato, verso i trentacinque anni, sposato con una moglie che non ama, cui si è unito per forza d’inerzia. Il lato negativo di Basilica è che è troppo dedito al dovere e questo gli ha fatto spostare l’attenzione da questioni molto importanti come l’amore o la soddisfazione personale. L’incontro con La Guerrera sarà sconvolgente, in questo senso, e salutare: lui almeno comincerà a porsi delle domande. Non è detto che arriveranno subito le risposte, però.


7. Può una passione cambiare il corso di una vita?

Come no! Non solo può cambiare il corso della vita, ma contribuisce a renderla molto, molto più piacevole.


8. Dante Durante è sempre presente, come una voce di fondo, a sottolineare, con la sua saggezza, che da sempre le vicende umane seguono dei percorsi quasi obbligati. E la musica delle salsa, in sottofondo, scandisce il ritmo di amori, illusioni, delusioni, speranze, malinconie, desideri. Un connubio perfetto. Da dove è nata l’ispirazione?

Dante è una mia grandissima passione fin dai tempi del liceo. All’università scelsi di sostenere due esami in filologia dantesca col professor Pazzaglia, esimio dantista. E oggi, grazie al cielo, ho modo di leggerlo spesso grazie al mio lavoro (sono insegnante di lettere). Nel romanzo Dante ha una funzione precisa: rappresenta la cultura seria, densa di umanità, costruttiva versus la cultura nozionistica di cui si ammantano alcune categorie di intellettuali/personaggi. Elisa è stata costretta a imparare la Commedia a mente, ma ha trasformato questa acquisizione puramente mnemonica in un alleato prezioso: ora Dante è sempre con lei, pronto a uscire, attraverso il suo pensiero, con qualche verso che le funge da farmaco in situazioni difficili. Alcuni passi di Inferno, Paradiso e Purgatorio sono per lei occasione di ricevere una pacca sulla spalla, un consiglio, di fare un sorriso.


9. Catalina è un personaggio chiave. Legge le carte, cucina divinamente e soprattutto conosce profondamente il cuore delle persone. Tutti noi vorremmo un’amica come lei. Come nasce questo personaggio.

Catalina esiste ed è inventata allo stesso tempo. Nasce, come ti ho sopra detto, in un precedente manoscritto e ha il nome spagnoleggiato della persona a cui mi sono realmente ispirata: Caterina. Della sua diretta ispiratrice Catalina ha diversi aspetti: tutto ciò che riguarda il rapporto col cielo e col soprannaturale l’ho ripreso dalla realtà. La mia amica fa i tarocchi (e non sbaglia mai, ma per me è tutto un caso!), è esperta di astrologia e alchimia, è grande interprete degli eventi e ha gli occhi turchesi. Ma non sa cucinare come la Catalina del romanzo e di diverso ha altri particolari che non posso svelare!


10. Catalina legge le carte. Qual è il tuo rapporto con l’esoterismo?

Mi affascina ma fondamentalmente sono un’agnostica.


11. Cosa mi risponderebbe la Guerra se la salutassi dicendo “a presto, anzi, alla prossima avventura?”

Stasera ti porto a ballare!


12. Cosa prevedono le carte di Catalina sulle future vicende della sua più cara amica?

La Guerrera non si farà fare le carte tanto facilmente. Lei non crede in niente. Ma se Catalina la prendesse a tradimento e gliele facesse, allora uscirebbero i tarocchi del sole, delle stelle e del diavolo. In sintesi: fuoco, fuoco, fuoco.


Grazie Marilù, un fortissimo abbraccio.

Un abbraccio a te, carissima. E grazie mille per le tue belle domande.

21 settembre 2010

Le interviste (im)possibili: Agatha Christie

Articolo di Polyfilo

Le interviste impossibili

Le interviste impossibili furono un esperimento radiofonico che andò in onda su Radio Rai dal 1974 al 1975. Questo esperimento ebbe un grande successo, ed un notevole seguito. Le interviste impossibili sono dialoghi fantasiosi con uomini del passato o personaggi letterari. A tale progetto parteciparono i più grandi intellettuali del tempo, i dialoghi venivano recitati da attori famosi. E fu così che Umberto Eco intervistò Beatrice, Muzio Scevola e Pitagora, Italo Calvino dialogò con l'uomo di Neanderthal e Montezuma, e Manganelli ebbe l'onore di parlare con Tutankamon, Marco Polo e Nostradamus. Furono intervistati anche Attila, D'Annunzio, Cleopatra, Freud, Jack lo squartatore, Guglielmo Tell, e tenti altri personaggi realmente esistiti o nati dalla penna di qualche famoso scrittore per un totale di 82 interviste d'autore. Ancora oggi vengono proposte iniziative per ricordare quelle interviste impossibili o ne vengono proposte di nuove. Anche noi del Ghetto abbiamo deciso di intervistare nel nostro piccolo alcuni personaggi d'autore, non siamo di certo giornalisti o grandi intellettuali, ma siamo convinti che questa iniziativa potrebbe rivelarsi interessante e piacevole.



Il personaggio

Per la serie delle interviste impossibili, abbiamo di recente avuto l'onore di essere ospitati per il tè nientemeno che da una Dama dell'Impero di Sua Maestà, Lady Agatha Mallowan Christie, in occasione del 120esimo anniversario, da poco trascorso, della sua nascita, il 15 settembre 1890.
L'infaticabile creatrice di trame criminose, le cui opere rivaleggiano per diffusione con la Bibbia e i drammi del grande bardo, ha invitato il Ghetto dei Lettori nella sua residenza londinese di Mayfair. Alle cinque in punto ci presentiamo davanti alla porta di una villa in stile neogotico, circondata da un giardino un po' trascurato e con il prato bisognoso di una sistemata.br Dopo qualche minuto di attesa e rumori di passi concitati dall'interno l'ingresso ci viene aperto dalla padrona di casa in persona, concitata, vestita di un impeccabile e pesante completo di tweed verdone con la spessa gonna sotto le ginocchia, un comodo golfino beige e una spilla di foggia orientale, scarpe nere basse e un curioso capellino in bilico su una massa di riccioli candidi tirati in alto.
Un sorriso tipicamente inglese incornicia il volto insieme a una pesante montatura di occhiali in tartaruga, sul punto di cadere dal naso.



L'intervista



A.C. Oh, povera me - il respiro appena affannato, una mano poggiata sul petto -, spero non abbiate aspettato molto, ma sapete, mi ero proprio dimenticata che oggi è il giorno di libertà della ragazza, Gladys, e la cuoca dalla cucina non vuol venire a rispondere al campanello, sa com'è difficile trattare con la servitù, e poi Elspeth è una così brava cuoca, assaggerete i suoi pasticcini e i tramezzini, e devo assolutamente tenerla da conto, io poi sono appena rientrata, sa, c'era una svendita del bianco da Harrods, gli strofinacci per asciugare i bicchieri non sono mai abbastanza, ma intanto prego, entrate pure, ho fatto servire il tè in biblioteca. Sapete, trovo che sia il luogo più adatto per il tè - poi aggiunge con un sorriso sornione - oltre che per mettere in scena il ritrovamento di un cadavere...

Si gira e ci precede per un corridoio piuttosto scuro, alla fine del quale entriamo nella biblioteca pesanti librerie in legno scuro stracariche di edizioni di classici, tappeti iraniani, la fiamma del caminetto accesa per rischiarare un ambiente che le grandi porte finestre non bastano a illuminare, visto che ormai è già quasi il tramonto. La padrona tira le tende di broccato rosso scuro e si accomoda, invitandoci a fare altrettanto con un gesto accompagnato da un sorriso, su una poltrona chippendale a righe, sovrastata dal ritratto di un'arcigna gentildonna in abiti vittoriani. Un grosso gatto certosino grigio alza pigramente lo sguardo verso di noi, restando acciambellato con aria annoiata sulla mensola del camino.


A.C. Gradite una tazza di tè?

P. Se non le spiace, Lady Agatha, prima Le faremmo qualche domanda, i nostri lettori saranno deliziati di sapere qualcosa di più sulla sua vita privata...

A.C. Oh, certo... del resto siete venuti qui apposta - ride nervosamente, si alza e prende a ravviare il fuoco maneggiando il massiccio attizzatoio di ferro battuto con notevole energia - ma sapete bene che io sono una persona discreta, preferisco rimanere il più possibile nell'ombra e osservare quel che le persone dicono e fanno quando non sanno di essere guardate è un po' come con i vetrini di un laboratorio. Si sentono tante chiacchiere interessanti. Lo diceva sempre anche Jane, Miss Marple dico, intendo che sferruzzando e allungando lo sguardo si apprende molto più di quanto non si pensi. Ma non vorrei annoiarvi, non volete assaggiare queste focaccine, vi assicuro che la mia Elspeth le fa buonissime!

P. Grazie, ne assaggeremo una insieme al tè!

A.C. Ma certo, un mio caro amico, il colonnello Bantry ripeteva sempre che un buon tè nero e bollente è quello che ci vuole per riscaldarsi, queste case vecchie sono bellissime, non lo metto in dubbio, e così tradizionali ma è sempre difficile riuscire a installare un riscaldamento che funzioni e non costi un occhio della testa. Era lo zio materno di una mia cugina di secondo grado, Clare, di Torquay, il colonnello intendo, anche se ormai quel ramo della famiglia s'è estinto... quanto tempo è passato - sospira ravviandosi i ricci bianchi, dopo essersi tolta il cappellino del tutto sgualcito.

P. Appunto, la sua famiglia è sempre stata molto importante per lei, che rapporto aveva con i suoi genitori? Ha ricevuto un'educazione molto rigida)

A.C. Oh, non saprei... molto normale, suppongo. Certo al giorno d'oggi è tutto così diverso, e non dico che non sia meglio, questo no, ma ai miei tempi si badava molto alle apparenze e specialmente le ragazze non avevano tutti questi grilli per la testa. Ecco, per esempio Gladys, la cameriera, sa, è arrivata con le referenze della contessa Sedgwick, ed è una gran brava ragazza, non dico di no, e sta imparando bene il mestiere, ma è una tale sciocca e, per esempio, non capisco perché si ostini a frequentare quei ragazzi spettinati dall'aria triste, che girano con i pantaloni davvero troppo bassi - e qui fa una smorfia di disgusto - e si vantano di non lavare i capelli per mesi interi!

P. Ce l'ha con i rasta o con gli emo? Eppure lei ha vissuto gli anni della 'swinging London', dei capelloni e tutti quei cambiamenti... non ha mai pensato che i suoi romanzi gialli avessero un'ambientazione un po' datata, con tutta questa aristocrazia al tramonto?

A.C. Ho sempre avuto una concezione piuttosto alta delle tradizioni! - risponde con aria piccata - In famiglia ho ricevuto, grazie a Dio, un'educazione molto accurata e ai miei tempi se mi fossi comportata in quel modo mi avrebbero fatto senza dubbio una bella lavata di capo, e intendo in senso letterale! Sarà come dice lei, tutto è cambiato, i rapporti sociali non sono più così regolati ma a volte non si sa proprio come comportarsi era tutto così semplice una volta. Sapevi sempre come rivolgerti a un aristocratico, se chiedere una seconda tazza di tè quando si è invitati e tutto quello che ci si aspettava da te. Ora invece è tutto così disordinato e confuso... - così dicendo si agita parecchio e la sua acconciatura riccia rischia seriamente di smottare - volete ancora un pasticcino?

Grazie. Eppure tutto sommato lei ha avuto una vita piuttosto sopra le righe il divorzio dal primo marito, il successo come scrittrice, i viaggi e le campagne di scavi archeologiche in Medio Oriente, la creazione di un personaggio così famoso come Hercule Poirot. Non trova che ci sia una contraddizione in questo?

A.C. Ah, Poirot! Quel piccolo trombone d'un immigrato belga! - fa un gesto stizzito con la mano, quasi ne volesse scacciare il fantasma - Sa che tra tutti i detective che ho inventato, Tommy e Tuppence, Miss Marple, Parker Pine, quel piccoletto mi è sempre stato cordialmente antipatico con la sua mania per i baffi impomatati e le simmetrie, così azzimato. E per giunta anche ingrato e vendicativo... io decido di calare il 'sipario' sulla sua carriera e lui mi fa fuori in pochi mesi! Miss Marple non l'avrebbe mai fatto, si sarebbe limitata a dirmi "Non se la prenda, cara, sono cose che capitano". Anche alla prozia della mia figlioccia Rosalind, che stava a St. Mary Meadow, è andata così, una vita passata a prendersi cura del marito e poi, un mese dopo che era morto, se ne va al creatore anche lei. Non avrebbe fatto una piega, glielo dico io!

P. Addirittura lei pensa, Lady Agatha, che la sua morte sia dovuta al fatto che nell'ultimo romanzo pubblicato in vita aveva fatto morire un Poirot ridotto sulla sedia a rotelle? Ma non posso credere che il piccolo monsieur Poirot non le piacesse neanche un po', in fondo gli deve tanto...

A.C. In realtà qualcosa in comune l'abbiamo. Intanto il senso della giustizia. Sono sempre stata convinta, come lui, che i criminali vadano trattati come meritano se non ci si fa scrupolo di eliminare una vita umana per il proprio tornaconto - e si sporge in avanti a versarmi ancora del the - e si è per giunta così sciocchi da farsi cogliere con le mani nel sacco, bhe... il minimo che ci si può aspettare è di finire appesi a una corda. E poi una robusta vena di romanticismo! Poirot ha un certo naso per assortire le coppie e quando può ci mette il suo zampino per far nascere quelli che chiamerebbe dei ipetit affairesi... anch'io sono un'inguaribile romantica, ho scritto anche qualche romanzo rosa, forse lo saprete, con uno pseudonimo. Dev'essere per via dell'educazione di noi ragazze vittoriane, o anche per certe vicende personali - e qui sospira profondamente -. Comunque sono piuttosto nostalgica di carattere... e vedete, anche questa ostinazione nel tenere in vita un mondo di fredde case di campagna in stile Tudor, contesse russe espatriate, colonnelli rimbecilliti, che raccontano in continuazioni aneddoti del Sudafrica o dell'India che nessuno più ascolta, e arzille prozie che sferruzzano tra un tè e una partita a bridge è per via dell'attaccamento romantico a un mondo ideale, ma non alla sua realtà. Mi domando cosa lasceremo ai nostri figli, ora che abbiamo smantellato il nostro Impero. Ma non voglio annoiarvi con la politica. Del resto il caro Archie - ridendo con civetteria - mi diceva sempre che di politica io non capisco un accidente!

P. Parlando delle sue vicende personali, Lady Agatha, lei si riferisce al suo divorzio dal colonnello Christie e alla strana vicenda della sparizione a Harrogate, che finì poi sulle prime pagine di tutti i giornali, e da cui è stato tratto un bel film, in cui il suo ruolo è toccato a Vanessa Redgrave. Non vorrebbe dirci, dopo tanti anni, cosa successe in realtà in quei giorni e se è vero che lei aveva progettato di suicidarsi facendo accusare suo marito di omicidio?

A.C. Ah, quella vicenda così spiacevole! Vanessa Redgrave poi non mi somiglia affatto. Pare che non si riesca a fare un'intervista senza finire a parlarne. Eppure ho ripetuto sa il cielo quante volte che di quella faccenda così sgradevole non ricordo nulla! - mi lancia un'occhiata di fuoco e sembra percorsa da un brivido di stizza, mentre il gatto che sonnecchiava, svegliato dal tono acuto della sua padrona, le balza in grembo e ci fissa guardingo - Oh, che spavento, Tiglat... questo bel gattone - rivolgendosi a noi - si chiama Tiglat Pileser III... il nome di un re assiro. Sa, lo ha scelto mio marito, il mio secondo marito, il povero Max. Mi ha trasmesso una grande passione per l'archeologia. Si figuri che quando insistevo per accompagnarlo negli scavi mi diceva che secondo lui mi sarei troppo impressionata se avessimo ritrovato degli scheletri o qualcosa del genere. E dire che quando prestavo servizio come infermiera ai tempi della Grande Guerra ne ho viste di ben peggiori. Fu lì che mi feci una certa pratica coi veleni dell'infermeria e l'idea di scrivere romanzi gialli... a forza di leggere i libri lasciati dai soldati che tornavano al fronte. Ecco, prendete ancora del tè e una fetta di torta, non vorrete mica offendere la mia Elspeth?

P. Grazie del tè, spero sia ancora bollente, anche se è così forte da essere quasi amaro. E poi qualcosa di caldo ci vuole, cominciavo a sentire freddo, specialmente alle gambe!

A.C. Oh, mi spiace. Temo, come vi ho detto, che queste vecchie case siano impossibili da riscaldare decentemente. Ma non vi preoccupate, non servirà ancora molto tempo...


Mi guarda di nuovo con un indecifrabile sorriso da sfinge. Anche Tiglat, il certosino grigio, che la scrittrice sta accarezzando sulle sue ginocchia, ci fissa con uno sguardo consapevole ed enigmatico.
Guardiamo la sua tazza sul tavolo del rinfresco è vuota.
Guardiamo la nostra, ancora mezza piena, il piattino che ci ha servito con gli squisiti sandwich al cetriolo, sentiamo in bocca uno strano retrogusto amaro. Forse, che non sia dovuto solamente al tè nero Pensiamo, mentre rapidamente scivoliamo nelle tenebre di un'insensibilità pesante e senza risveglio...

-Under construction-

Una buonasera a voi lettori: come vedete, abbiamo modificato il template settandone uno di appoggio: abbiamo infatti deciso di dare un taglio netto al passato, e stiamo rimodernando del tutto l'immagine del Ghetto, per renderlo un posto sempre più dinamico e (speriamo) accogliente. I lavori dureranno un po' -almeno un paio di settimane-, ma in ogni caso il Blog non chiuderà e gli aggiornamenti si susseguiranno con la solita frequenza.
Sperando che vogliate continuare a leggerci anche in questo momento di disordine,


lo staff del Ghetto

Riporto su (io, Sakura) l'intervento con alcuni, doverosi chiarimenti, perché non si dica che non siamo trasparenti. Il cambio di grafica è naturalmente dovuto (come chi si è imbattuto nella questione sa) ad alcuni fraintendimenti avvenuti su Facebook: è stato linkato il nostro blog a partire dalla descrizione, che Kelanth aveva composto ai tempi del gruppo aNobiiano ormai sparito, e che ha iniziato a circolare su Facebook attribuita al Ghetto dei Lettori di cui lui però non fa più parte. La cosa è stata notata da utenti che lo hanno avvisato ritenendo ci fosse un'attribuzione illecita in corso.
Ciò non è avvenuto per malafede, ma perché abbiamo mantenuto la precedente intestazione in cui compariva, per l'appunto, la frase in questione; questa forse è la nostra unica responsabilità. Responsabilità che ci siamo assunti cambiando immediatamente la grafica, perché sia di Cesare quel che è di Cesare.

Carne e sangue - Michael Cunningham

Nella storia della famiglia Stassos, nei cento anni che i suoi componenti vivono sul suolo americano alla ricerca di una felicità ordinaria, Michael Cunningham intreccia i fili di differenti identità, di mondi diversi destinati a entrate in collisione con gli altri e soprattutto con se stessi. Un universo di destini apparentemente liberi di seguire il proprio corso, e invece votati, quasi per diritto di nascita, a muoversi, esplorare, provare gioie laceranti e salvifici dolori.

Recensione

Il secondo romanzo di Cunningham si presenta come un'avvincente saga familiare sullo sfondo della società americana del '900. Cento anni raccontati attraverso tre generazioni. Una famiglia, e una miriade di personaggi diversi, con le loro storie, i loro pensieri, le loro ossessioni, paure, angosce. I loro amori traditi, quelli finiti, e quelli sopravvissuti.

Pur essendo il romanzo che mi piace di meno - la prima parte, relativa all'odioso capofamiglia, mi ha annoiato - è una grande prova di capacità letteraria. Tanto per cominciare, può sembrare una pretesa difficile e ingenua quella di raccontare cento anni di storia americana attraverso le vicende di una famiglia. Eppure, Cunningham ci riesce benissimo. Ha una straordinaria capacità di regia: pur essendoci una dozzina di personaggi, riesce a muoverli tutti, a disporli sulla scena, senza dimenticarne qualcuno, tutti vengono sempre caratterizzati a dovere. Sono personaggi profondissimi e assolutamente tridimensionali, diversissimi tra di loro: la gamma delle emozioni umane che viene qui suscitata e rappresentata è praticamente infinita.

Per il resto, mi unisco alle critiche che sovente vengono espresse su questo romanzo: una minore eleganza rispetto a "Le Ore" - del resto, si tratta pur sempre del suo secondo romanzo - e soprattutto una certa esagerazione nelle vicende - si tocca continuamente il tragico. E' comunque un romanzo che colpisce, che lascia qualcosa, e col tempo sono sicuro che, per la sua impressionante fotografia del novecento statunitense, il suo valore verrà esaltato.

Giudizio:

+4stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Carne e sangue
  • Titolo originale: Flesh and Blood
  • Autore: Michael Cunningham
  • Traduttore: E. Capriolo
  • Editore: Bompiani
  • Data di Pubblicazione: 2002
  • Collana: Tascabili Bompiani
  • ISBN-13: 9788845251573
  • Pagine: 394
  • Formato - Prezzo: Brossura - 9.20 Euro

18 settembre 2010

Frankenstein ovvero il moderno Prometeo - Mary Shelley

Nella mostruosa creatura a cui uno scienziato dona la vita si riflette come in un gioco di specchi un fitto intreccio simbolico: l'ambiguità dell'atto della creazione, la ribellione della creatura verso chi l'ha generata, il diverso che ci somiglia, l'orrore dell'"altro" che prende vita dall'inanimato. La modernizzazione del tema faustiano è l'anima di questo romanzo che ritrae compiutamente la duplice natura dell'individuo e il suo conflitto con una società che ormai vive dentro la scienza.


Recensione

Viktor Frankenstein è un promettente studente di chimica e scienze naturali nell’università di Ingostadt, Germania. Moderno Prometeo (come recita già il sottotitolo), sviluppando le tecniche del galvanismo, riesce dove tutti hanno fallito, nel conferire cioè una scintilla di vita alla maniera inanimata: una notte tempestosa un enorme uomo costruito con ossa sottratte nelle cripte e carne ottenuta presso i macellatori prende vita sotto le sue mani. Ma tanta è stata la felicità nella riuscita dell’esperimento, tanto è il terrore del creatore quando realizza la mostruosità dell’essere cui ha dato vita: con disgusto, rifiuta decisamente la creatura, lasciandola a se stessa.
Frankenstein non lo sa, ma il suo gesto ha appena dato il via a una catena di orrori che distruggeranno la sua sfera familiare.
Il racconto di Frankenstein è riportato dalle lettere del capitano Walton, che, incastrato con la sua nave tra i ghiacci dei mari del Nord in rotta verso il Polo per una spedizione scientifica, ha raccolto il malridotto scienziato (stravolto dall’inseguimento della sua creatura fino a un capo del mondo) e ha deciso di affidare alla carta la sua storia così come gli è stata raccontata.

Il risultato è un bel romanzo tardogotico con molte caratteristiche del genere: la struttura narrativa bipartita (cornice e storia principale), l’elemento sovrannaturale e grottesco, la presenza di scenari naturali sublimi nel senso letterario del termine (distese di ghiaccio, montagne vertiginose) e di ambienti tipicamente cupi (boschi nebbiosi, tempeste notturne). Tuttavia il romanzo consiste in un superamento della prima fase perché l’irrazionale cede il passo a una fanta-scienza. L’ampia introspezione psicologica e il toccare temi come l’emarginazione della diversità, nonché speculazioni Rousseauiane (che Mary conosceva grazie al padre, lo scrittore e politico Godwin) quali quella sull’innata bontà naturale dell’uomo che viene guastata dalla società, ne fanno molto più che un semplice romanzo gotico. Il Mostro, che nell’originale inglese è apostrofato con un disumanizzante ‘it’, non mostra infatti naturalmente inclinazioni malvagie: la catena di omicidi in cui si trova invischiato si genera casualmente ed è alimentata dalla sua continua esclusione dalla società in cui cerca di integrarsi.

Rifiutato dal suo creatore, terrorizzato perché ciò che più spaventa l’uomo non è quel che è più lontano da lui, ma quel che più gli somiglia ed eppure è diverso –innaturale-, il Mostro apprende velocemente (come un Adamo cacciato dal Paradiso Terrestre) usi e costumi degli uomini, semplicemente osservando a lungo una famiglia che non sa della sua esistenza; da loro impara persino il linguaggio, che però non basta a far di lui un uomo perché è nato da materia impura. E persino dalla famiglia in cui aveva riposto tante speranze verrà rifiutato, quando si paleserà, e allo stesso modo verrà cacciato a sassate dai villaggi, o fucilato da un contadino cui aveva salvato la bambina da morte certa in un fiume, fino a quando comprenderà che non può esserci vita per lui tra gli uomini, e chiederà a Viktor di costruire una compagna del tutto simile a lui.

Qualcuno ha notato anche la costruzione tipicamente femminile del Frankenstein, sottolineata dall’uso di termini che richiamano la natalità: il romanzo può essere letto come una rappresentazione del trauma che segue la nascita, con conseguente rifiuto del figlio, e delle responsabilità morali in cui incorre chi dà alla luce una vita.

Lo stile di Mary Shelley è indubbiamente sublime; con linguaggio neutralmente scientifico, impensabile per una donna di quell’epoca (anche se non per una figlia rispettivamente di una politica femminista –Mary Wollstonecraft- e di uno dei pionieri del pensiero anarchico –William Godwin), la scrittrice descrive gli studi di Frankenstein e il processo che porta alla nascita della creatura. Profonda l’introspezione psicologica, e meravigliose le raffigurazioni di paesaggi tipicamente romantici. Purtroppo, però, il ritmo della narrazione è molto, troppo lento.

Un po' di aneddotica:

- Questo romanzo vide la luce in una notte tempestosa molto simile a quella in cui prese vita la Creatura; come narrato da Mary Shelley nella prefazione della seconda edizione, in cui peraltro rivendica il romanzo fino a quel momento attribuito al marito Percy Shelley, i due coniugi furono convinti da Claire, la sorella di Mary, a recarsi nella dimora ginevrina del suo amante Lord Byron. Il tempo non generoso li costrinse a trascorrere gran parte del tempo nella residenza, leggendo storie di fantasmi e discutendo di galvanismo e darwinismo, e Byron propose di comporre loro stessi alcune storie di fantasmi. Sembra che Mary trascorse quasi in stato di trance tutto il giorno successivo, pensando e ripensando a tutte le discussioni di scienze naturali che avevano affrontato, quindi, in una sola notte, compose il racconto che successivamente, in Inghilterra, sarebbe diventato Frankenstein.
[nella stessa occasione, Byron produsse un breve frammento sul tema dei vampiri da cui Polidori trasse il primo romanzo del genere in lingua inglese, Il vampiro, a lungo erroneamente attribuito a Byron]

- L'espressione 'Il mostro di Frankenstein' ha dato vita all'errore popolare di considerare Frankenstein come il nome della creatura, errore peraltro incoraggiato da vari film e altre trasposizioni. In realtà la creatura non ha nessun nome, ma viene continuamente appellata con epiteti che connotano il carattere mostruoso e innaturale della sua esistenza.

Giudizio:

+3stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Frankenstein ovvero il moderno Prometeo
  • Titolo originale: Frankenstein; or, the modern Prometheus
  • Autore: Mary Shelley
  • Traduttore: Saci M. C.; Troncarelli F.
  • Editore: Garzanti
  • Data di Pubblicazione: 2007
  • Collana: I grandi libri
  • ISBN-13: 9788811364405
  • Pagine: XXXII-221
  • Formato - Prezzo: Brossura - Euro 6,80
 

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