Pubblicato nel 1977 come opera prima, questo libro appartiene alla specie rarissima dei libri che provocano una sorta di innamoramento. La Patagonia di Chatwin diventa, per chiunque si appassioni alla sua scrittura, un luogo che mancava alla propria geografia personale e di cui avvertiva segretamente il bisogno.
Recensione
Leggendo questo primo taccuino di viaggio dello scrittore britannico non si può non paragonare la sua opera d'esordio con quella più matura e forse, meritatamente, più famosa, 'Le vie dei canti'. La sensazione di immedesimazione nei passi del viaggiatore è la stessa, sia che si percorrano i sentieri degli aborigeni australiani sia quelli degli indios della Patagonia. Il pensiero che c'è dietro è invece, nel secondo libro, più compiuto.
La struttura della narrazione rimane uguale: il lettore si trova catapultato, a partire da un ricordo infantile dell'autore, nelle tappe di un viaggio che si proietta nell'anima dei luoghi e delle persone. On the road si ricostruiscono a poco a poco l'identità e la storia di un paesaggio di confine, nel quale man mano che l'estremità si avvicina gli elementi naturali si fondono e si confondono in un magma onnicomprensivo che richiama l'immagine dell'Aleph dell'illustre erudito argentino Borges.
La capacità di Chatwin nel riuscire a intrappolare il lettore nella ragnatela di aneddoti ed episodi in realtà è molto forte già nel resoconto della Patagonia, anche se non è del tutto chiara la riflessione sull'intimo legame che unisce il viaggio e il racconto nella poetica dello scrittore-viaggiatore.
Troviamo combinati insieme in un'unica corrente fluida e avvolgente racconti di criminali nordamericani ed esuli europei in fuga da regimi politici oppressivi, di gente comune in cerca di fortuna o del proprio personale Eldorado, di tribù di indios che resistono alla colonizzazione selvaggia in difesa della propria civiltà o soccombono di fronte allo spietato razzismo dell'uomo bianco.
La Patagonia è una lunga corsa verso i confini del mondo, un luogo dove realtà e culture diverse sembrano correre come un branco di lemming impazziti, spinti dal desiderio autodistruttivo di buttarsi, arrivati all'estremo limite di Capo Horn, nel nulla che separa e unisce i due Oceani.
Il tono del racconto è monocorde, privo di qualsiasi inflessione etica - e vista la storia recente di quella parte del mondo, ce ne potrebbero essere tante di riflessioni da fare - e procede libero e piano come il paesaggio di quelle terre, sull'onda di ricordi, associazioni di idee, storie raccontate, senza nessun altro gusto che quello del racconto in sè: come per il viaggio il senso è quello di mettere un piede dopo l'altro, fino all'estremo lembo dell'ecumene, così per la storia la successione dei fatti non richiede altre ragioni al di fuori della dimensione narrativa.
Attraverso l'epopea del ricordo l'abilità descrittiva di Chatwin nobilita, nel suo stile fintamente monotono, i tratti rugosi degli indios, i reperti fossili, veri o falsi che siano, le case di legno assediate dai venti, le storie piccole e grandi che tutte insieme confluiscono, nel sentieri dei ricordi, attraverso le pagine e le parole di un libro...
Giudizio:
+4stelle+Dettagli del libro
- Titolo: In Patagonia
- Titolo originale: In Patagonia
- Autore: Bruce Chatwin
- Traduttore: M. Marchesi
- Editore: Adelphi
- Data di Pubblicazione: 2003
- Collana: Gli Adelphi
- ISBN-13: 9788845917509
- Pagine: 264
- Formato - Prezzo: Brossura - 10,00 Euro
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