L'autore
Andrea Ribezzi è nato nel 1959 a Trieste dove è sempre vissuto. Diplomato, si arruola giovanissimo nel Corpo dei pompieri e agli inizi degli anni ’90 entra in polizia.
Ha lavorato in uffici diversi e insegna tecnica criminale e delle investigazioni alla scuola allievi agenti di PS di Trieste. Ha pubblicato due romanzi polizieschi sulle indagini dell'ispettore Massimo Ravera, Sette fine e Le eredità blindate.
www.andrearibezzi.it
Il libro
Ritorna l'ispettore Massimo Ravera, un uomo con le sue indecisioni e complicazioni sentimentali, i suoi affetti familiari da definire e da consolidare, il suo senso di giustizia che lo ha portato alla scelta di quella professione; scelta messa a dura prova dagli eventi e da rapporti gerarchici talvolta difficili. Massimo Ravera vuol chiudere i conti sospesi della propria vita (il difficile rapporto con la figura paterna) e pretende chiarezza sul proprio ruolo nei confronti della giustizia. In questo romanzo l'autore propone una storia ambientata in una Trieste che ha come termini di riferimento gli anni cupi dell'occupazione nazista (con tutte le sue implicazioni di collaborazionisti, spie, delazioni e violenze), poi quelli dell'amministrazione alleata e delle manovre dei servizi segreti italiani e di movimenti neofascisti, quindi la città di anni più vicini, dell'immigrazione dai Balcani, del traffico internazionale di droga e della prostituzione, delle implicazioni politiche della delinquenza organizzata. E quando il contesto dell'inchiesta sembra scoraggiare e deludere, l'ispettore Ravera, ancora una volta, dovrà far appello alla tenacia, come il capitano Bellodi di Sciascia.
L'intervista
1. L'inizio del secondo episodio delle indagini dell'ispettore Ravera segue il modello 'in medias res', fa riferimento a fatti e persone di cui si è data notizia nel prologo del primo romanzo, che sembra avere una funzione introduttiva generale. C'è un progetto seriale o a lungo termine per le vicende del poliziotto triestino? con questo tipo di inizio non c'è il rischio che il lettore che ha saltato il primo episodio sia spaesato da questo meccanismo?
Sì, c’è un progetto seriale per le indagini dell’ispettore Ravera o meglio per le vicende che lo riguardano anche al di fuori dell’ambiente lavorativo. In effetti, scrivendo il secondo romanzo mi sono posto il problema di ripresentare in qualche modo i personaggi già introdotti nel primo e ho deciso di farlo sommessamente per evitare ogni ridondanza. L’idea di ripetere le loro descrizioni avrebbe peraltro tolto ai nuovi lettori la possibilità di scoprirli strada facendo soprattutto attraverso il parlato. Per quanto riguarda il contesto storico in cui le vicende si svolgono, ho cercato solo di approfondirle per evitare una scrittura pedagogica.
2. Massimo Ravera, è l'elemento unificatore attorno al quale ruotano le trame poliziesche e la sua struttura caratteriale riveste un ruolo fondamentale in questo senso. Che tipo di evoluzione prevedi di dare al personaggio?
Il protagonista di “SETTE FINE” (il primo romanzo) si presenta come un giovane poliziotto entusiasta del nuovo lavoro. Gli intensi avvenimenti vissuti nella sua prima indagine lo porteranno a una rapida maturazione che si esprimerà nel secondo romanzo con un diverso approccio sia nei confronti dei casi affrontati sia nei rapporti interpersonali. Nel terzo che sto scrivendo ci sarà un nuovo sviluppo. Alla fine mi ritroverò con tre romanzi di formazione il che non sarà molto distante dalle mie prime intenzioni.
3. Sembra molto importante nelle Eredità blindate il ruolo della famiglia, soprattutto nel rapporto inesistente di Massimo Ravera con il padre, antagonista e nemico anche dopo la morte. Non c'è soluzione per questo contrasto, se non nel rapporto con il nonno paterno: l'eredità paterna quindi non è 'blindata' nel senso genetico del termine?
Massimo Ravera perde il padre all’improvviso e si trova a dover fare i conti con un passato pesante perché scopre qualcosa di torbido nella vita del genitore e ricorre al nonno paterno per affrontare questa delicata doppia operazione: risolvere l’indagine e chiarire il ruolo del padre. Come in tutti rapporti non chiariti per tempo emergeranno in lui sentimenti contrastanti: rabbia, rancore, sensi di colpa ma anche pietà e comprensione. Alla fine, dopo un lungo e tormentato patteggiamento, giungerà a una soluzione che non chiarirà tutto ma che permetterà all’accettazione di prendere il posto del giudizio. In questo senso l’eredità paterna non resterà completamente blindata.
4. Sono tante le figure femminili che girano attorno all'ispettore. A parte la madre che ha un ruolo marginale, molte di loro sembrano attratte dall'ispettore, specie in ambito professionale. Però questo suo lato di seduttore rimane molto sottinteso: cosa rappresentano le donne nella vita di Ravera?
Ravera ha un’allergia per le maschere e per la mediazione, lo dimostra affrontando a muso duro le situazioni della vita, ma il rapporto con le donne è forse il suo tallone d’Achille. Con loro è spesso confuso, teme di non riuscire a gestire i rapporti. Alle volte tratta le donne come gli uomini. Non è che non sa mai quale scegliere: non sa bene come trattarle. Nel primo romanzo c'è un dialogo con il nonno che suona più o meno così: "Vedi nonno, mi sembra che certe donna mentre pensano a una cosa, ne dicono un'altra e ne fanno una terza".
5. Nelle indagini spesso Ravera si trova a scontrarsi con i gradi più alti della dirigenza e con i colleghi delle altre forze dell'ordine, come anche con la procura. Ci sono delle motivazioni anche 'politiche' reali per queste situazioni?
Le motivazioni dei contrasti attengono esclusivamente a una diversa filosofia che ispira il suo lavoro. Le divergenze tra Ravera e i suoi superiori (in senso lato) dipendono solo in minima misura da questioni personali. La ragione principale sta nel diverso modo di concepire la giustizia: semplificando per Ravera è un fine, per altri è anche un mezzo per fare carriera o per esercitare potere che poi è la stessa cosa. Essendo la burocrazia funzionale a questa declinazione distorta della giustizia, Ravera la combatte come può, muovendosi a scatti come dici tu nella recensione.
6. Sempre riguardo al rapporto della rappresentazione narrativa della polizia, nello sviluppo dei casi prendi spunto da vicende reali?
Pochissimo. Una volta ho provato a scrivere di un fatto realmente accaduto. Si trattava dell’indagine su un efferato omicidio di cui mi ero occupato una decina di anni fa, una vicenda perfetta per un romanzo, ma non ci sono riuscito, forse perché troppo coinvolto emotivamente, perciò mi abbandono quasi esclusivamente all’immaginazione.
7. Una forte impronta di realismo si trova nell'ambientazione triestina delle storie. Dai luoghi alla lingua, cosa significano le radici triestine per te e per l'ispettore?
Su questo io e l’ispettore Ravera siamo molto simili. Trieste è una città molto particolare, schiva ed enigmatica, come ho scritto nel mio sito web, e si presta perfettamente ad ambientarci un poliziesco. Io sono molto legato alla mia città e nel mio piccolo mi piacerebbe fare qualcosa per trasformare quanto di negativo ha vissuto, mi riferisco alla sua storia complessa e tormentata, in una risorsa.
8. A proposito delle radici triestine tu hai scelto, diversamente da altri, di dare una separazione linguistica netta tra italiano e dialetto triestino, usando le note esplicative: vedi queste due modalità espressive in opposizione, oppure lo stacco ha un altro significato?
No, l’ho fatto semplicemente per far comprendere meglio al lettore il senso del dialogo.
9. In alcuni punti la lingua si modella molto sul parlato colloquiale e sul burocratese: credi che un lettore si orienti facilmente nel gergo tecnico di un poliziotto?
Questo non lo so, tuttavia l’ossequio al realismo mi induce a usare determinate espressioni sperando nella comprensione dei lettori.
10. Sempre riguardo alle radici triestine, è molto forte l'influenza della storia recente legata alla dissoluzione della Jugoslavia dopo la caduta del muro di Berlino, in parallelo alle vicende della seconda guerra mondiale, come in una specie di continuità. Collaborazionismo e criminalità slava sembrano legati e hanno un ruolo molto forte nell'area del Nord Est: c'è una funzione di denuncia in questo aspetto di 'cronaca', soprattutto nelle 'Eredità blindate'?
Come dicevo prima la Venezia Giulia, come ben pochi altri luoghi, è stata sacrificata sull’altare dei nazionalismi del ‘900. Trieste ne ha viste di tutti i colori: prima la violenza nera e poi quella rossa. E si sa che violenza chiama solo violenza. E pensare che per cique secoli anni, sotto l’impero asburgico, le diverse etnie presenti in queste terre hanno convissuto pacificamente. Il collaborazionismo con gli occupanti nazisti e le conseguenti nefandezze che si sono consumate specie nei confronti degli ebrei sono un tema rimasto sepolto, di cui nessuno sembra voglia parlare, eppure è stato un fenomeno molto presente in queste zone. Spero che il mio romanzo non rimanga un caso isolato.
11. Per finire due curiosità: vista l'ampia messe di prodotti per tv e cinema sul genere poliziesco, in tutte le forme e le mode possibili, hai mai considerato la possibilità di un passaggio delle indagini di Ravera verso altri mezzi espressivi?
Ti ringrazio per questa domanda. Mi piacerebbe molto vedere Ravera al cinema o in televisione, ma temo che sia abbastanza improbabile. Già è stato difficile trovare un editore, figuriamoci un produttore.
12. C'è qualche anticipazione che puoi darci sulle prossime storie in cantiere per l'ispettore triestino?
Sto scrivendo il terzo episodio e posso anticipare che il protagonista si è dato una calmata sia con le donne sia sul lavoro, ma…
Dopo aver letto l'intervista, credo che mi procurerò il primo episodio delle indagini di Ravera :D
E Ribezzi ha capito tutto di noi donne "Vedi nonno, mi sembra che certe donne mentre pensano a una cosa, ne dicono un'altra e ne fanno una terza": parole sante!
mi sono letto il primo capitolo che c'è scaricabile sul sito, in effetti la curiosità è venuta anche a me...