Recensione
(ATTENZIONE: potrebbe contenere anticipazioni sulla trama)
Durante gli anni della seconda guerra mondiale due guardie carcerarie tedesche sognavano di poter ricominciare una nuova vita nell'"ultimo angolo promettente del pianeta", la Terra del Fuoco. Per pagarsi il viaggio decisero di rubare un tesoro: una collezione di monete d'oro che si trovava nelle mani dei nazisti. Solo una delle due guardie riesce però a raggiungere la meta e passerà la vita ad attendere l'arrivo dell'amico senza mai toccare il tesoro.
Cinquanta anni dopo altri due uomini vengono incaricati di ritrovare il bottino: Frank Galinsky ex militare della Germania Est ormai disoccupato e disposto a tutto pur di ritrovare un suo posto nel mondo e Juan Belmonte, ex guerrigliero cileno esiliato in Germania.
Il tesoro è costituito dalla "Collezione della Mezzaluna Errante", cento monete coniate nel 1369 dal sultano di Fez per onorare la memoria del suo amico lo sceicco Ibn Battuta e destinate ad essere seppellite lungo le migliaia di chilometri che Ibn Battuta aveva percorso. La volontà del sultano non era mai stata esaudita però a causa della rapacità umana e così per secoli le monete avevano continuato a cambiare di mano. Per Franz e Ulrich, la collezione aveva rappresentato la possibilità di liberarsi dell'odiata divisa e ricominciare a vivere in un posto in cui "nessuno ti chiede mai niente del passato" e dove "Dio guarda sempre da un'altra parte". Per Galinsky si tratta di dimostrare di non essere solo un inutile rottame inservibile, si tratta di ritornare alla vita attiva, di smettere di vegetare. Tutti loro troveranno invece la morte quando si troveranno ad un passo dall'oro.
A Juan Belmonte, l'uomo con il nome del torero ammirato e ricordato da Hemingway in "Morte nel pomeriggio", questa ricerca offre l'occasione di tornare in patria e l'opportunità di poter finalmente occuparsi di Veronica, la sua compagna desaparecida e poi riapparsa in una discarica, isolata ed esiliata, a sua volta, in un mondo di silenzio e di apatia. La ricerca delle monete lo porta a Santiago, lo porta a fare i conti con ciò che ha lasciato, ciò che ha fuggito per anni, lo porta in un paese "che non è più il paese che ha lasciato quando è partito". "Siamo in democrazia e siamo tutti felici e contenti" lo avverte l'agente dell'Interpol che gli esamina il passaporto.
Ma su quali basi si è costruita questa democrazia? Se lo chiede Juan Belmonte, se lo chiede Luis Sepúlveda ed esorta i suoi lettori a chiederselo. Per costruire questa democrazia si è dovuto dimenticare l'esistenza di migliaia di persone che da un giorno all'altro sono sparite per non riapparire mai più o per riapparire svuotate della propria anima, come nel caso della Veronica del romanzo. Più volte Juan Belmonte si definisce un uomo che sa perdere e, alla fine del colloquio con l'agente dell'Interpol riconosce che è quest'ultimo il vincitore, che ancora una volta ha perso: "ci hanno vinto alla grande, con olimpico disprezzo, senza nemmeno lasciarci la consolazione di credere che avevamo perduto lottando per la migliore delle cause". Juan Belmonte è dunque un uomo che sa perdere e che ha perso ma non è un vinto perché nonostante tutto non ha rinunciato alla vita: "iniziai ad attraversare la strada, chiedendomi, Veronica, amore mio, chiedendomi perché abbiamo tanta paura di guardare in faccia la vita noi che abbiamo visto le auree scintille della morte". E in questa frase finale si stempera tutta l'amarezza che aveva percorso il romanzo e rinasce la speranza che, in fondo, non c'è da temere la vita, basta solo "guardarla in faccia".
Giudizio:
+4stelle+Dettagli del libro
- Titolo: Un nome da torero
- Titolo originale: Nombre de torero
- Autore: Luis Sepúlveda
- Traduttore: Ilide Carmignani
- Editore: TEA
- Data di Pubblicazione: 2002
- Collana: Narrativa generale
- ISBN-13: 9788850200801
- Pagine: 174
- Formato - Prezzo: Brossura - Euro 7,50
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