28 maggio 2010

Neve - Maxence Fermine

Il breve romanzo, ambientato in Giappone, racconta la storia di Yuko, diciassettenne ribelle, che lascia la famiglia per diventare poeta. Ma la sua poesia, dedicata interamente alla neve, è troppo bianca, e per imparare a darle colore Yuko deve seguire gli insegnamenti del vecchio poeta Saseki, ormai divenuto cieco. Soseki, attraverso il racconto della sua passione per Neve, una ragazza bellissima venuta dall'Europa e scomparsa mentre cercava di attraversare un precipizio sospesa su una fune, insegna a Yuko la forza e la potenza dell'amore. E con questo insegnamento Yuko diverrà non solo un grande poeta ma un essere umano capace di amore.

Recensione

Neve è la perfetta dimostrazione di come combinando l’esterofilia con robuste dosi di filosofia new age e un pizzico di poesia si riesca a costruire un bestseller tradotto in numerose lingue e che può vantare accanite schiere di fanatici ammiratori (al momento in cui scrivo, circa millecinquecento aNobiiani italiani l’hanno letto e almeno uno di loro l’ha usato come bomboniera di nozze -sic!).

Neve è la delicata storia di un poeta giapponese, tale Yuko, che decide di non seguire la vocazione religiosa che il padre –monaco- desidererebbe per lui, e di assecondare invece la propria vena poetica: Yuko possiede infatti un’innata sensibilità per la neve, che lo spinge spesso a isolarsi in montagna per comporre haiku (un genere di poesia breve tipico del Giappone del XVII secolo, costituito da tre versi rispettivamente composti da cinque, sette, cinque sillabe) che abbiano come soggetto proprio il candido elemento naturale.
La visita di un dignitario dell’Imperatore che sostiene che le sue poesie manchino di colore lo convince a recarsi da un maestro, un ex samurai un tempo poeta di corte, per sottoporsi a un addestramento che gli consenta di maturare e di diventare lui stesso poeta di corte. Seguiranno un viaggio in mezzo alle Alpi giapponesi, l’incontro con il corpo di una splendida fanciulla occidentale intrappolato nel ghiaccio, la sua formazione al servizio del saggio Soseki -la cui storia sarà lungamente narrata da un servitore- che gli insegnerà qual è la cosa veramente importante.

Lascio scoprire a voi l’originale morale di questo libretto di cento (minuscole) pagine scarse. Anzi, no. Ve la riporto qui, tanto l'autore non lascia nemmeno spazio alla fantasia del lettore per arrivarci da solo e gliela spiattella senza ritegno:

Ci sono due specie di persone.
Ci sono quelli che vivono, giocano e muoiono.
E ci sono quelli che si tengono in equilibrio sul crinale della vita.
Ci sono gli attori.
E ci sono i funamboli.

Sono dell’opinione che tentare d’imitare la filosofia di società millenarie per trarne insegnamenti d’applicare alla mentalità odierna e porsi dunque come moderni hippies che predicano letterariamente lo zen, l’età dell’acquario, una pagana comunione con la natura e altre simili filosofie che sono rispettabilissime finché rimangono nel loro contesto, sia piuttosto ridicolo.
Maxence Fermine è solo uno degli ultimi pronipoti di un genere di letteratura pretenziosa che fa capo a Hesse, seguito a ruota da personaggi come Coelho, Bach, Baricco (ma non sempre), i quali guarda caso, almeno a giudicare dalle vendite, sono sempre al top nella classifica di gradimento degli italiani. Fermine è dotato di un innegabile talento espressivo, che sciupa con metafore o descrizioni di una banalità imbarazzante, unite a una storia praticamente inesistente e infarcita di quel didascalismo che mi fa sempre venir voglia di scrivere all’autore per chiedergli di restituirmi personalmente i soldi. I temi sono sempre quelli: la libertà individuale, l’importanza di seguire i propri sogni anche rinunciando a una sicurezza di vita, la bellezza della natura e, poiché come si sa è un argomento che tira sempre fin dalla notte in cui i primi due ominidi scoprirono che era possibile copulare, vi inserisce anche qualche riferimento sessuale crudemente descritto in un paio di righe:

Si addormentò, con in mano il sesso eretto, come un peperoncino rosso.
Questi ultimi mi hanno ricordato certi poco spirituali amplessi coelhiani per la loro stonatura nel contesto poetico e quasi mistico.

Banale dalla prima all’ultima riga, qualcosa di questo libretto costoso e fumoso (senza arrosto, siatene consapevoli) vale la pena di leggerlo: gli haiku. Non quelli di Fermine, ma quelli posti a inizio di ogni capitolo, scritti da veri poeti giapponesi passati alla storia per aver saputo trarre poesia in tre versi da eventi od oggetti apparentemente privi di significato del mondo che li circondava. Ma, a questo punto, acquistate direttamente i libri di haiku.

Vi lascio con uno degli haiku che ho composto io stessa in onore di Neve:

[Inverno]
Giù nel camino
quest'inutili fogli
bruciano lenti.

Giudizio:

+1stella+

Dettagli del libro

  • Titolo: Neve
  • Titolo originale: Neige
  • Autore: Maxence Fermine
  • Traduttore: Perroni S. C.
  • Editore: Bompiani
  • Data di Pubblicazione: 2008
  • Collana: AsSaggi
  • ISBN-13: 9788845242618
  • Pagine: 133
  • Formato - Prezzo: Brossura - Euro 12,00

27 maggio 2010

Agnes Grey - Anne Brontë

Basato in larga misura sulle esperienze personali dell'autrice, il primo romanzo di Anne, la più giovane delle sorelle Bronte, pubblicato nel 1847 con lo pseudonimo di Acton Bell, colpisce per la sicura, armoniosa linearità della narrazione, per il perfetto equilibrio di una struttura in cui nulla - né un episodio, né una battuta di dialogo, né una descrizione - appare superfluo e in cui nulla è incompleto. Protagonista e io narrante della vicenda Agnes, la giovane istruttrice che lascia la casa paterna, spinta, più che dalla necessità economica, dal desiderio di conoscere il mondo e di dar prova di sé, appare una figura di sorprendente modernità nella sua piena consapevolezza, nella implacabile lucidità con cui osserva il mondo che la circonda. Animata da una semplice, umanissima trama d'amore, la vicenda del romanzo è giocata sul contrasto tra il rigore morale, la solida stabilità di Agnes e la vacua instabilità, la corruzione della "buona società" in cui la giovane donna si muove, ritratta con una penetrante, affilata ironia che mette a nudo quello che Anne Brontë definiva " il lato oscuro della natura umana 'rispettabile'".

Recensione

Pedante. Vale per il libro, la protagonista e, di riflesso, l'autrice.
Anne Brontë esprime tutta la sua essenza di zitella con la mania delle citazioni bibliche in questo romanzo in cui non accade quasi nulla e quel poco che accade è raccontato nel modo meno avvincente e coinvolgente possibile.

Agnes è figlia di un pastore anglicano (ma dai? proprio come Anne!) ed è tanto buona e tanto brava e tanto impegnata a ricordarci che lei è molto buona e molto brava. E pure molto perbene. Tutto il contrario dei ragazzini a cui decide di fare da istitutrice, figli di nobili (?) locali della zona, ricchi, viziati, egoisti e col cuore di pietra. Ora: i pargoli in questione sono davvero vipere meschine a cui andrebbe tirato il collo, tuttavia si fa davvero fatica a parteggiare per Agnes, così impegnata a far pesare il proprio valore e la propria superiorità morale. Agnes è quel tipo di persona che, pur provando un po' di dispiacere per le disavventure altrui, non può fare a meno di pensare (e di dire) "beh, te l'avevo detto!".

La maggior parte del libro, scritto in prima persona, è un costante raffronto fra l'impeccabile condotta morale di Agnes e la maleducazione, la mancanza di tatto e di principi dei suoi studenti e dei loro irresponsabili genitori. Più una serie di lamentele su quanto la protagonista sia trascurata e trattata ingiustamente dai suoi datori di lavoro che non fanno altro che complicarle la vita. Insomma, Agnes a parole è forte e indipendente, nella pratica ha il lamento facile, non ha verve, non ha ironia, non ha carattere.

Assolutamente lontano anni luce da Jane Eyre o da Cime tempestose, forse questo romanzo non sarebbe neppure stato ripubblicato finora se l'autrice non avesse avuto così meritevoli sorelle.

Giudizio:

+1stella+

Dettagli del libro

  • Titolo: Agnes Grey
  • Titolo originale: Agnes Grey
  • Autore: Anne Brontë
  • Traduttore: Anna Luisa Zazo
  • Editore: Mondadori
  • Data di Pubblicazione: 1999
  • Collana: I classici
  • ISBN-13: 9788804471783
  • Pagine: 272
  • Formato - Prezzo: Brossura - Euro 6,80

21 maggio 2010

Il gioco di Gerald - Stephen King

In una casa isolata su un lago, Jessie si piega all'ennesima fantasia sessuale del marito Gerald, che questa volta l'ammanetta al massiccio letto in legno. Ma quando umiliata, lei lo allontana con un calcio, l'uomo si affloscia inerte, stroncato da un infarto. Il tempo passa e Jessie, immobilizzata e dolorante, sembra votata a una morte lenta, resa ancora più atroce dalla comparsa di un affamato cane randagio e da un'ombra misteriosa e irreale che fa capolino nella stanza...



Recensione

Ammetto di non essere un ammiratore di King. Forse a causa di traumi infantili (mio padre tentò di farmi leggere It e Misery non deve morire più o meno quando avevo la tenera età di dieci anni) o forse a causa dell'idea che mi sono fatto di lui come autore, i suoi romanzi non mi hanno mai attirato seriamente. Il gioco di Gerald non mi ha fatto ricredere, anzi.
Le aspettative erano alte, anche se non viene universalmente riconosciuto come uno dei suoi capolavori, perché stavolta l'idea di base mi aveva colpito e intrigato enormemente. Ed appena comprato, tutto felice, mi apprestai a leggerlo. Girata la copertina, però, cambiai umore, comprendendo subito che cosa mi avrebbe aspettato, in quale profondo pericolo mi fossi cacciato. Dopo poche righe la vidi, nonostante si fosse nascosta alla perfezione negli angoli bui delle pagine. Se ne stava nella sua fetida tana, con la testa bassa a pasteggiare con le interiora di un malcapitato lettore precedentemente catturato. Nera come la morte, i suoi occhi gialli spiccavano sul muso come fulmini in una notte di tempesta. Improvvisamente fece uno scatto guardingo, fiutando l'aria. I nostri sguardi si incrociarono. Bastò qual fugace momento a farci comprendere immediatamente chi era la preda e chi il predatore. Allora lasciò la carcassa e si mise in posizione di attesa. Mentre assaggiava la mia paura come antipasto, in un gesto di sadica malvagità la sua lingua passava ripetutamente sulle labbra inumidendole, pronta a pregustare il suo prossimo, lauto banchetto. Non feci in tempo a fare nulla, atterrito da un terrore primordiale, la stessa sensazione che i nostri antenati ominidi provavano davanti ad una tigre dai denti a sciabola pronta ad attaccare. Senza che me ne fossi accorto, lei mi era già sopra, i muscoli del collo tesi nell'atto di azzannarmi la giugulare. Ormai non potevo più scappare e dentro di me mi arresi ad un destino ineluttabile. Ecco quale sensazione ho provato cominciando a leggere il libro. Aveva una collocazione ben definita nella vasta gamma piena di sfumature delle emozioni umane. Ed un nome ben preciso.

A pag. 22 il marito Gerald Burlingame muore dopo aver ammanettato la protagonista, Jessie Mahout Burlingame, durante un gioco sessuale atto. Dopo una sessantina di pagine in cui le varie voci inconsce nella testa della donna si prodigano in consigli tipo "io te l'avevo detto" e "avresti dovuto farlo prima", arriva un cane a sbranare il corpo del marito, che già di suo non era messo bene neanche in vita. E via, un'altra cinquantina di pagine a raccontare di vita, morte e miracoli dell'ex Prince (King avrebbe potuto chiamarlo direttamente Il Cane Una Volta Conosciuto Come Prince). Brividi di paura zero. Nel giro di un centinaio e mezzo di pagine di elucubrazioni mentali, comprensibili vista la situazione e il background di Jessie, si viene a sapere che la poverina, durante un'eclissi quando era ancora bambina, venne abusata dal padre. E giù un'altra pletora di pagine su ciò che accadde nel "giorno in cui il sole si spense". Non pago King vuole mettere la sua firma, il colpo allo stomaco del lettore. Un'immonda ombra da incubo, non si sa se reale o parto della mente allegramente andata a postriboli di Jessie, la minaccia da un angolo della casa. Qui la nostra eroina decide di passare all'azione. A questo punto un brivido forse l'ho provato, ma credo che sia più per colpa di nonno Inverno con la complicità dei riscaldamenti rotti.

Mi fermo qui perché non intendo svelare altro (cioè le cinquanta pagine finali in cui succede tutto) e non voglio nemmeno cavillare sull'ineccepibile bravura e sulla sconfinata fantasia di King (basta il cognome, una garanzia). Però la domanda che mi ha arrovellato il cervello per tutto il libro è stata questa: Ma Stephen King viene pagato a quantità di materiale prodotto? Su 368 pagine, un centinaio e mezzo abbondante poteva essere tolto. In questa maniera un'idea buona e tutto sommato ben sviluppata si perde in un mare di blablabla precisi e delucidativi quanto si vuole, ma inconcludenti ai fini della trama e buoni solamente a parlarsi addosso.

Il voto a "Il gioco di Gerald" è una media tra un 4 per la trovata e un 1 per la noia che mi ha attanagliato dalla prima all'ultima pagina, arrotondato per difetto per la delusione avuta. Forse un giorno lontano in un futuro non prossimo proverò a riprendere il discorso "Stephen King", solamente perché sono un testone.

Giudizio:

+2stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Il gioco di Gerald
  • Titolo originale: Gerald's Game
  • Autore: Stephen King
  • Traduttore: Tullio Dobner
  • Editore: Mondadori
  • Data di Pubblicazione: 1996
  • Collana: I miti
  • ISBN-13: 9788804420668
  • Pagine: 368
  • Formato - Prezzo: Brossura - Euro 4,00

Chesil Beach - Ian McEwan

In Inghilterra, secondo Philip Larkin, "i rapporti sessuali incominciarono nel millenovecentosessantatre", "tra la fine del bando a "Lady Chatterley" e il primo ellepi dei Beatles". La giovane coppia protagonista del nuovo romanzo di lan McEwan patisce invece gli ultimi fuochi di un clima diffuso di repressione sessuale. La prima notte di nozze, e prima esperienza sessuale per entrambi, scocca infatti alla vigilia di quell'"annus mirabilis". Tutto avviene in appena due ore, in un antiquato hotel vicino alla celebre spiaggia di ciottoli di Chesil Beach. I due sposi stanno cenando in camera, ma già pensano a quello che accadrà più tardi. Edward è un ragazzo di provincia laureato in storia, indeciso se continuare la carriera accademica o lavorare nell'azienda del padre della sposa. Finalmente farà l'amore con Florence: è piuttosto nervoso e sa, per sentito dire, che deve cercare di controllarsi per non concludere troppo in fretta. Florence prova una profonda repulsione per il sesso, un misto di opprimente solitudine e vergogna; ma è ben attenta a mantenere le apparenze di un matrimonio felice e perfetto, ansiosa di non deludere Edward. Ma quello che succederà di lì a poco segnerà per sempre il destino di entrambi...

Recensione

La dimensione del tempo assume delle forme strane in questo breve romanzo di McEwan che racconta i problemi legati all'educazione sessuale e le difficoltà del rapporto di coppia negli anni della Cool Britannia. La storia sembra lontanissima per il mondo da cui proviene, gli anni '60 della borghesia inglese, e insieme attuale come l'eterno ritorno di una 'normale' relazione.

La vicenda centrale, le prime ore del matrimonio di Florence ed Edward, si svolge in poche ore a Chesil Beach, ma i capitoli si alternano ricostruendo in flashback i particolari del loro passato, personale famigliare e sociale, che li hanno portati - e li porteranno - al contesto del tempo della narrazione.
Come pure di seguito un'altro capitolo porterà i due protagonisti molto più avanti negli anni, fin quasi alla vecchiaia.

Per una forma di determinismo narrativo, nei dettagli - per quanto sul momento possano parere poco collegati e significativi - c'è già contenuta la conclusione, che del resto incombe inesorabile sui due protagonisti fin dall'attacco.

La loro sfiga è di capitare proprio sul crinale di due mondi, educati secondo criteri e valori moribondi, incerti sul rapporto con il futuro. Buona parte di questo cambiamento trova un riflesso parziale nel confronto con la politica ascoltata dal telegiornale durante la prima cena del viaggio di nozze: il passaggio dal governo conservatore a quello laburista esemplifica questa fase di transizione di cui gli sposi novelli sono prigionieri.

Di fronte alle difficoltà e agli sforzi che un blocco come quello di Florence richiede anche l'amore di Edward vacilla, assediato dal silenzio e dall'orgoglio. Chiaramente non è detto che tutto debba risolversi in un happy end ma non varrebbe almeno la pena di tentare, nella intima luce crepuscolare che si rifrange sulle onde di Chesil Beach?

Eppure nonostante tutto questo, nonostante il procedere degli eventi in una dimensione assolutamente british, fatta di correttezza, riserbo, freddezza e una quantità immorale di pudore verso la propria intimità, l'abilità di McEwan, che alcuni considerano uno dei più importanti scrittori anglosassoni coevi, riesce a far chiedere al lettore, di fronte all'inevitabile epilogo, se i due protagonisti non avrebbero potuto, scegliendo di comportarsi diversamente, cercare una soluzione, sui ciottoli di Chesil Beach...

Giudizio:

+4stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Chesil Beach
  • Titolo originale: On Chesil Beach
  • Autore: Ian McEwan
  • Traduttore: Susanna Basso
  • Editore: Einaudi
  • Data di Pubblicazione: 2007
  • Collana: Supercoralli
  • ISBN-13: 9788806188702
  • Pagine: 136
  • Formato - Prezzo: Rilegato, sovraccoperta - 15,10 Euro

20 maggio 2010

Sir Gawain e il Cavaliere Verde - J.R.R. Tolkien

Un cavaliere completamente verde irrompe nella corte di re Artù e chiede di essere decapitato, sfidando Gawain un anno dopo. Un uomo perde la sua preziosa perla tra l'erba di un giardino e ha la visione del paradiso. L'antico mito di Orfeo ed Euridice si rinnova in un ambiente medievale. Avventura, magia, esoterismo, misticismo, amore e morte in tre testi del XIV secolo riscritti per i lettori di oggi dall'autore de Il Signore degli Anelli.



Recensione

Non lasciatevi ingannare dal nome di Tolkien in copertina, scritto in caratteri cubitali: la raccolta si compone di tre racconti, il cui primo è, per l’appunto, Sir Gawain e il cavaliere verde, ma non sono di Tolkien, bensì di un autore inglese anonimo probabilmente contemporaneo a Geoffrey Chaucer, che li scrisse in un dialetto delle Midlands. Tolkien si è limitato a tradurli in inglese moderno, o forse faremmo meglio a dire a volgerli, in quanto, come chiaramente spiegato nell’introduzione di Cristopher Tolkien, il grande filologo ha integrato le parti mancanti dopo approfonditi studi, e non ha rispettato lo stile allitterativo dei versi originali per privilegiare invece la resa finale come doveva suonare alle orecchie di un parlante dell’epoca.
Ciascuna storia è preceduta da un piccolo apparato critico, purtroppo ridottissimo a causa della sua incompletezza: Cristopher ha voluto ugualmente dare alle stampe questi racconti, come sempre basandosi sugli appunti del padre. Il volume è correlato da qualche nota di traduzione degli addetti ai lavori, e da una postfazione di Franco Cardini, studioso dell’università di Firenze, contenente dissertazioni sulla simbologia presente nei poemetti.

Il primo poemetto è senza dubbio il migliore della raccolta: è diviso in quattro sezioni per un totale di centouno capitoletti in prosa, ognuno dei quali seguito da una quartina in versi. Affonda le sue radici nelle leggende arturiane, principalmente nella figura di Galvano, nobile paladino alla corte di Artù che durante l’ultimo giorno dell’anno accetta la sfida di un misterioso quanto enorme cavaliere verde, comparso al desco del re per sfidare a duello chiunque accetti di misurarsi con lui. La sfida è singolare: il Cavaliere Verde offre il suo collo perché uno dei cavalieri lo colpisca con l’ascia, ma se questi sbaglierà il colpo dovrà presentarsi dopo un anno per offrire il suo al colpo del Cavaliere. Gawain accetta la sfida al posto del suo re, e decapita l’ospite senza alcun problema: ma il Cavaliere si alza subito dopo, recupera la testa e ricorda alla corte il patto che hanno stipulato, quindi scompare sul suo cavallo, verde anch’esso. Il resto del poemetto rappresenta la quest di Gawain: il suo viaggio alla ricerca della Cappella Verde per sfidare coraggiosamente il Cavaliere nonostante significhi morte certa, il soggiorno nella dimora del generoso Bertilak, i giochi cortesi con la dama del castello, le tentazioni e le prove che deve superare grazie al suo onore cavalleresco prima di potersi recare allo scontro finale.

La seconda sezione, composta da centouno strofe, contiene quello che viene unanimemente considerato un poemetto allegorico: un uomo ha perso la sua preziosa e perfetta perla, inghiottita dal terreno, e cercandola vede, dall'altra parte del fiume, una splendida fanciulla in un giardino edenico, che cerca disperatamente di raggiungere. I due personaggi hanno un lunghissimo dialogo in versi che verte tutto su temi cristiani, soprattutto quello della ricompensa divina al termine della vita terrena, e su parabole bibliche. Il poema viene letto come la rappresentazione elegiaca della morte della giovanissima figlia dell'autore (la perla rappresenta la purezza, ma anche una lacrima).

L'ultima parte, più breve dei precedenti, consiste in una rivisitazione della nota storia ellenica di Orfeo, traslata in un Medioevo fantastico: Sir Orfeo, un ricco e felice re, si vede strappare da esseri fatati l'amata moglie Heurodis, e per questo decide di abbandonare il regno nelle mani del ciambellano e di vagare per il mondo nelle vesti di arpista. Diversi anni dopo, s'imbatte in un corteo fatato, tra cui riconosce la compianta consorte, e decide di seguirlo fino a un castello incantato dove si esibisce per allietare la compagnia. Differentemente dalla versione greca, il poemetto ha un finale felice.

Difficilmente credo di poter essere nel commentare più esaustiva delle note e i piccoli saggi critici all'interno del libro stesso. Difficile anche giudicare il lavoro di Tolkien -che occorrerebbe leggere in lingua- rispetto ai poemetti del'autore originario, e di conseguenza difficile giudicare la resa dei traduttori italiani. Posso solo affermare che la lettura non è affatto difficoltosa, in special modo per quanto riguarda il primo poemetto, e consigliarne la lettura soprattutto agli appassionati di leggende arturiane e cicli bretoni (il primo poemetto è davvero una chicca).

Giudizio:

+4stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Sir Gawain e il Cavaliere Verde
  • Titolo originale: Sir Gawain and the Green Knight
  • Autore: J.R.R. Tolkien (curatore: Cristopher Tolkien)
  • Traduttore: Fusco S.
  • Editore: Edizioni Mediterranee
  • Data di Pubblicazione: 2009
  • Collana: Orizzonti dello spirito
  • ISBN-13: 9788827220504
  • Pagine: 188
  • Formato - Prezzo: Brossura - Euro 12,90

15 maggio 2010

Intervista ad Alessandro Marchi, autore di "Parada Ópera"

L'autore


Alessandro Marchi è nato nel 1979 a Bologna. Laureato in Storia Contemporanea, dal 1999 scrive per settimanali, riviste e quotidiani ed è giornalista pubblicista dal 2003. Si occupa di comunicazione e relazioni pubbliche. Ama la Spagna, dove ha vissuto. Parada Ópera (Mauro Pagliai, 2009) è il suo primo romanzo.

http://www.alessandromarchi.eu/



Il libro


Un giornalista italiano vive in Spagna fin da bambino. Innamorato dell'Andalusia, e avviato nella professione, decide di raccontare gli sporchi intrecci fra politica e affari nella Marbella degli anni Novanta. Gli costerà caro: verrà isolato e schiacciato psicologicamente. Sarà vittima di una campagna denigratoria che gli farà perdere la fiducia in se stesso, e l'amore per il lavoro. Forzato a trasferirsi a Madrid, si lascerà vivere fra eccessi e frustrazione professionale. Ogni mattina si sveglierà insoddisfatto di essere diventato una persona gretta e insensibile. Passerà anni cercando di scrivere un libro, oggetto misterioso di cui tutti gli amici hanno sentito senza mai vederlo. Avrà la fortuna, però, di conoscere una donna per la quale valga la pena sforzarsi di migliorare. Con estrema naturalezza, il giornalista verrà condotto da Sofia fuori dalla spirale di abbrutimento e aridità affettiva che aveva contraddistinto la sua vita nella capitale spagnola. Inizieranno un idillio fatto di cose semplici, piaceri veri, passione bruciante, e decisioni difficili. Anche il libro sembrerà sul punto di venire pubblicato.



L'intervista



1. Intanto complimenti per il romanzo, Alessandro: è riuscito ad appassionare persino me che non amo molto la narrativa generica. Com'è nato questo libro? Qual è stata la sua incubazione?

Grazie per i complimenti, Simona. Speravo saresti riuscita a dare una definizione del filone del romanzo. Ho notato col tempo che un'etichetta è fondamentale per presentarsi, altrimenti la gente non ti capisce. L'inclassificabile è difficile da ricordare.
Il libro è nato da molto lontano, prima ancora che vivessi in Spagna. In origine era sparso fra foglietti di appunti, tovagliolini da bar, quadernetti. Anno dopo anno, rimaneva sempre lì - fatto più che altro di singole scene, frasi, dettagli. Poi, un bel giorno, ho deciso che non fosse più ammissibile rimandare il tentativo di pubblicare un romanzo. Almeno il tentativo: sentivo fosse il momento giusto. Così, per prima cosa, ho trasferito su computer quegli appunti. Li ho riletti, e facevano pena. così li ho buttati. Però ormai avevo iniziato. E non mi sono più fermato per tre o quattro mesi, fino a che non l'ho terminato.


2. Ti senti soddisfatto dalla riuscita dell'esordio del tuo romanzo? Potendo tornare indietro, cosa cambieresti?

Mi ero posto l'obiettivo di finire un libro, completo, sensato, che mi soddisfacesse. Ho raggiunto questo scopo, anche se naturalmente il libro vorrei rivederlo in continuazione. Ma questo è uno degli aspetti positivi della pubblicazione: si può andare avanti e fare altro.
Tornando indietro condividerei con più persone la fase dei "giri di bozze", che è stata molto veloce per consentire al libro di uscire in autunno. D'altra parte, avevo già perso quasi un anno per cercare un editore che accettasse di rischiare su Parada Ópera senza richiedere un impegno economico da parte mia. Non avevo più tempo.
Un'altra cosa che cambierei è, probabilmente, la gestione del tempo interno del romanzo. Ci sono alcune accelerazioni esagerate, frutto forse di uno sviluppo dei personaggi interno solo a me stesso che non ho saputo trasferire su carta. Più di una persona mi ha "richiesto" di dedicare più spazio alla parentesi andalusa del protagonista, al suo passato. E' una parte del romanzo poco sviluppata, e mi ha fatto piacere che abbia suscitato interesse. Però si è trattato di una scelta: la storia è incentrata sul presente del giornalista, non su tutta la sua vita. Inoltre tutto il libro è documentato sin nel minimo dettaglio: i titoli di El Pais che scandiscono i giorni sono quelli originali, i personaggi si muovono nelle stazioni della metro madrilena, persino il tempo meteorologico di alcune giornate è stato rispettato. Sull'Andalusia - lo scandalo di Jesus Gil y Gil è cronaca vera, ovviamente - non ero abbastanza documentato. Per questo motivo ho preferito non lanciarmi in voli pindarici, o inesattezze.
Ho potuto constatare come tante volte nei confronti dell'autore esordiente ci sia la tendenza a sentirsi autorizzati a criticare le sue scelte narrative ("dovevi dilungarti qui", "dovevi cambiare il finale", ...), cosa che non ho mai sentito nei confronti di autori affermati. Penso che invece un'opera vada presa nella sua interezza, accettando le scelte fatte dall'autore e dando un giudizio sulla globalità del libro. Trovo sarebbe curioso, ad esempio, dire: "I Promessi Sposi è un romanzo bellissimo, io però non avrei messo il lieto fine!". Che senso ha?


3. Il libro manifesta a viva voce un profondo amore per la Spagna e per la sua cultura. Cosa ti piace di quel paese? Hai trasferito letterariamente nel tuo romanzo eventi che ti sono realmente accaduti durante la tua permanenza in Spagna?

Mi piace il fatto che sappiano prendere le cose con una certa leggerezza, e abbiano una netta distinzione fra il tempo del lavoro e il tempo del divertimento. Certo, a volte questa rilassatezza diventa così estrema da farti pensare che sia indolenza, ma almeno non drammatizzano tutto. La gente che ho conosciuto, inoltre, sa andare oltre le apparenze e non attribuisce all'aspetto estetico o formale delle persone eccessiva importanza.
Nel mio romanzo c'è l'atmosfera di fondo che ho percepito io in Spagna, ma non singoli episodi. Questo, infatti, NON è un romanzo autobiografico. Una cosa, a dire il vero, è comune: il tempo presente dell'azione combacia con quello in cui io vissi là con continuità: dall'autunno 2002 al marzo 2004.


4. Ogni scrittore ha i suoi modelli: quali sono i tuoi? E che generi o autori prediligi?

Questa è la domanda più difficile in assoluto, soprattutto per un esordiente. Qualunque risposta suona come arrogante, perché confrontarsi con dei grandi scrittori può apparire sacrilego. Non credo di aver copiato lo stile da nessuno, ma potessi dotarmi di magici poteri letterari vorrei la capacità di scrivere racconti di Raymond Carver, l'abilità di John Fante di rendere interessante anche i fatti più minuti, le storie di Tiziano Terzani e il successo di copie della JK Rowling (o di Stephen King, o di Dan Brown: fai tu, non sono un tipo difficile)!


5. Hai già un secondo romanzo nel cassetto?

E' già uscito dal cassetto. Ora si trova in una grossa busta chiusa, in quattro copie dattiloscritte, presso la segreteria organizzativa di un Premio Letterario. Non posso dire altro perché c'è il vincolo dell'anonimato. Stavolta vorrei provare la strada dei concorsi come trampolino di lancio, per non bussare direttamente - e senza palmares - alle case editrici. Anzi, se conosci qualche valido bando per inediti, accetto suggerimenti...


6. Tornando a Parada Ópera: perché scegliere proprio l'attentato a Madrid dell'11 Marzo 2004? Avevi già deciso in partenza che il percorso di crescita del protagonista dovesse concludersi con l'epilogo che hai preferito, o è una scelta che hai preso solo in seguito?

Dal momento in cui ho iniziato a battere a computer le prime righe del libro (era il 20 luglio del 2008) avevo chiarissima solo una cosa: l'epilogo. Sapevo dove sarei andato a finire, anche se non avevo idea di come l'avrei fatto. A differenza, per esempio, del secondo romanzo di cui ti parlavo: quello l'ho scritto quasi completamente in ordine, dal primo all'ultimo capitolo, senza sapere dove mi avrebbero portato i personaggi.


7. Si parla della possibilità di tradurre il tuo libro in spagnolo, perché venga così conosciuto anche nel paese in cui è ambientato? Come pensi che verrebbe accolto?

No, purtroppo non se ne parla, anche se quando lo scrivevo tradurlo e vederlo sul mercato spagnolo sarebbe stato il mio sogno. Per farlo il libro dovrebbe avere un clamoroso successo qui in Italia, e - forse - dovrei essere pubblicato con una casa editrice con una testa di ponte in Spagna tipo, ad esempio, il gruppo Mauri Spagnol. Ma non è così.
Diciamo che mi riservo di rispolverarlo al momento giusto, più avanti, se la mia "carriera" dovesse avere sviluppi positivi! In questo caso credo che il libro potrebbe essere ben accolto: per loro il tema delle stragi dell'11-M è ancora ben presente. Ma io l'ho trattato col massimo rispetto, quindi non credo ci sarebbero problemi.


Grazie per la disponibilità, Alessandro! Mi auguro (e auguro anche a te, naturalmente) che ci sia presto un tuo nuovo libro di cui parlare.

Grazie a te, Simona. Lo spero bene, certamente non mancherò di disturbarti quando dovessi pubblicare qualcosa di nuovo! A presto!

13 maggio 2010

Parada Ópera - Alessandro Marchi

Un giornalista italiano vive in Spagna fin da bambino. Innamorato dell'Andalusia, e avviato nella professione, decide di raccontare gli sporchi intrecci fra politica e affari nella Marbella degli anni Novanta. Gli costerà caro: verrà isolato e schiacciato psicologicamente. Sarà vittima di una campagna denigratoria che gli farà perdere la fiducia in se stesso, e l'amore per il lavoro. Forzato a trasferirsi a Madrid, si lascerà vivere fra eccessi e frustrazione professionale. Ogni mattina si sveglierà insoddisfatto di essere diventato una persona gretta e insensibile. Passerà anni cercando di scrivere un libro, oggetto misterioso di cui tutti gli amici hanno sentito senza mai vederlo. Avrà la fortuna, però, di conoscere una donna per la quale valga la pena sforzarsi di migliorare. Con estrema naturalezza, il giornalista verrà condotto da Sofia fuori dalla spirale di abbrutimento e aridità affettiva che aveva contraddistinto la sua vita nella capitale spagnola. Inizieranno un idillio fatto di cose semplici, piaceri veri, passione bruciante, e decisioni difficili. Anche il libro sembrerà sul punto di venire pubblicato.

Recensione

Lui è un giornalista, di origini italiane. E' cresciuto a Siviglia, si è fatto da sé, il suo talento giornalistico è fiorito precocemente. Il trasferimento a Marbella doveva essere la coronazione della sua carriera già in giovane età, ma la dura legge del più forte gli ha tarpato le ali, e si è trovato preda di una dura azione di mobbing. Adesso è a Madrid, sotto contratto nella redazione di un settimanale rosa: quasi quarant'anni, impegnato in mille relazioni senza importanza, semialcolizzato, fumatore accanito, con un lavoro che detesta e il Libro nel cassetto da una vita. Lui, in definitiva, è vittima di una seria sindrome di Peter Pan, o semplicemente di ciò da cui molte persone in questo mondo sono affette: mancanza di coraggio, di fermezza nelle proprie decisioni, paura del cambiamento e cattiva abitudine di procrastinare tutto ciò che è possibile rimandare. Lui è un uomo come tanti, insoddisfatto della propria vita come tanti, sfiducioso nei confronti del prossimo come tanti, vive la sua vita alla giornata come tanti: potrebbe essere te, me o chiunque altro, ma questa è la sua vita.

Parada Ópera è il libro di esordio di Alessandro Marchi. Analizzarne la trama, o semplicemente inserire il romanzo in un genere narrativo già esistente, sarebbe probabilmente inutile: il libro manca di un intreccio degno di nota; volendo forzare i termini, potremmo definirlo come il romanzo di formazione di un uomo già adulto, almeno biologicamente: le vicende quotidiane di un uomo ordinario, il suo lavoro, le sue relazioni sentimentali, le sue amicizie, le sue amare riflessioni verso una vita che non lo appaga, il suo sogno nel cassetto che non prende forma, fino a un capolinea che intreccia storia immaginata e storia reale. Voler dire qualcosa di più sul finale significherebbe sminuire il romanzo: per cui, se vorrete leggerlo, vi lascio allo stupendo epilogo e alle eloquenti note finali dell’autore.

La prosa di Marchi è matura: è evidente la sua professione giornalistica dalla focalizzazione sul dettaglio significativo, ma il libro è arricchito da numerose descrizioni suggestive dell’ambiente spagnolo (che rivelano un profondo amore per la Spagna e per la sua cultura), partendo dalla fertile Andalusia per finire negli scenari urbani madrileni. Frequentemente vengono utilizzati termini tipici spagnoli quasi intraducibili in italiano ed espressioni gergali del parlato, che conferiscono alla narrazione un opportuno tocco di realismo.

Il romanzo, comunque, non è scevro da lacune: l’arco ambientato a Marbella, un ridotto flashback conchiuso in un capitolo a sé stante, è tirato via piuttosto superficialmente; vista la precisione a volte persino eccessiva con cui vengono descritte altre vicende, sarebbe stata auspicabile maggior attenzione nel narrare la parte di passato del protagonista che l’ha portato a essere ciò che è nel presente. A volte, inoltre, sono stati inseriti episodi decisamente ingenui: primo tra tutti, l’incontro con una festa di zingari al Restivo, che mette in moto un processo di cambiamento nel protagonista (più ‘raccontato’ che realmente avvenuto, peraltro), è un espediente narrativo logoro. L’incontro fortuito con un’alterità socialmente considerata degradata, che invece permette ‘magicamente’ di scoprire che i propri problemi in fondo non sono poi così gravi e di rivedere le proprie esperienze alla luce del nuovo punto di vista, è stato così utilizzato nella storia del romanzo postmoderno (e non solo) che ormai risulta veramente poco credibile.

Buona l’edizione, purtroppo di tanto in tanto si intravede qualche svista, soprattutto nella punteggiatura (che in realtà non si sa se imputare ad autore o a stampatore).

Per concludere, Parada Ópera è un buon romanzo d’esordio – che ben poche volte scade nel lacrimevole pur trattando ampiamente di sentimenti, e questo è un ottimo punto a favore- con un ampio margine di miglioramento che si spera vivamente sarà riempito in eventuali prossime opere dell’autore.

N.B. Tenete d'occhio queste pagine, perché presto sarà pubblicata l'intervista all'autore.

Giudizio:

+3stelle+ (e mezzo)

Dettagli del libro

  • Titolo: Parada Ópera
  • Autore: Alessandro Marchi
  • Editore: Mauro Pagliai Editore
  • Data di Pubblicazione: 2009
  • Collana: Biblioteca di Letteratura
  • ISBN-13: 9788856400816
  • Pagine: 216
  • Formato - Prezzo: Brossura, sovraccoperta - 11,00 Euro

8 maggio 2010

Tortuga - Valerio Evangelisti

Nel 1685, i giorni dei pirati raggruppati nella confraternita detta dei Fratelli della Costa, obbedienti al re di Francia, sono contati. Luigi XIV ha fatto la pace con la Spagna e le scorribande dei filibustieri dei Caraibi, che hanno per base l'isola della Tortuga (La Tortue), sono diventate scomode. Un nuovo governatore ha preso possesso dell'isola e intende normalizzarla. È in questa situazione che un nostromo portoghese, Rogério de Campos, ex gesuita dal passato torbido, è catturato dal comandante pirata Lorencillo e arruolato a forza. Si trova a vivere tra gente sconcertante, dalla vita libera e indisciplinata e dalle imprevedibili esplosioni di crudeltà. Lentamente, Rogério è conquistato dalle regole a volte fraterne, a volte feroci, di quella comunità singolare. La sua è una progressiva discesa all'inferno - un inferno, però, fondato sullo scatenamento degli istinti, e a suo modo "democratico". La stessa Tortuga, covo della Filibusta fedele in teoria alla Francia, ha le apparenze di una repubblica, eppure si fonda sul più rigido schiavismo. Rogério, passato al servizio del tetro cavaliere De Grammont, partecipa all'ultima grande avventura dei pirati della Tortuga: la presa, sanguinosissima, della città di Campeche, sulle coste messicane. Unica luce, in quella conquista infernale, l'amore del portoghese per una schiava africana da cui lo stesso De Grammont è attratto. Sarà l'episodio che volgerà il viaggio di ritorno in tragedia.

Recensione

E’ un libro abbastanza difficile da giudicare. La sufficienza c’è, ma certo non la ottiene grazie ai personaggi, all’intreccio o allo stile.

Credo che sia più facile partire da quest’ultimo: mediocre. Scarno, elementare: non illeggibile, sia chiaro, ma comunque piuttosto semplice, con frasi e periodi corti, aggettivazione ridotta. Un punto a favore, in ogni caso, è l’accuratezza –per quel che può capirne una profana come me- con cui viene usata la terminologia nautica.

Tale aspetto mi rimanda al punto di forza di questo romanzo: l’ambientazione. Spesso i romanzi di questo genere lasciano sullo sfondo l’ambientazione storica, quasi fosse un pretesto; Evangelisti, invece, la tratta in maniera più che convincente, ed eccoci immersi in un vivido fineseicento al largo dei Carabi. La pirateria, priva della connotazione romantica (letteralmente e non) che i romanzi per ragazzi le hanno conferito un paio di secoli fa, emerge qui nel suo volto più nero: non ci sono capitani gentiluomini e riccamente agghindati, qui, proni a valori cavallereschi; la filosofia è una dura legge del più forte che non tiene conto delle gerarchie né dei titoli, ma solo delle azioni individuali. E’ una legge di sangue, creata da e per uomini ormai più simili a bestie nei loro comportamenti istintuali; non esistono giustificazioni ideali e morali per i massacri bestiali –narrati nel dettaglio- e per i delitti compiuti: stupri, sodomia, crudeli squartamenti, castighi terribili e torture sono perpetuati continuamente in nome di niente e di nessuno. E’ questo il secondo pregio del libro: lo sguardo disincantato su un arco di storia la cui efferatezza è stat troppo spesso tramutata in ambientazione politically correct.

L’intreccio c’è, ma passa quasi in secondo piano: Rogério de Campos è il nostromo portoghese di un brigantino abbordato dalla Neptune, il galeone comandato dallo spietato Lorencillo. Per salvarsi la vita, l’uomo accetta di unirsi ai corsari, e si trasferisce sul galeone in attesa di essere nominato, giunto a Tortuga, nostromo della nave di De Grammont, altro notissimo e temibile capitano. Rogério de Campos, mi spiace dirlo, costituisce la più grave pecca del romanzo: trascorre un brevissimo lasso di tempo perché, da ex gesuita arruolato in marina, divenga pirata sanguinario pari ai suoi nuovi compagni o anche peggiore. Il suo approfondimento psicologico è praticamente inesistente: le sue scelte appaiono oscure, e persino il suo quasi immediato interessamento per una schiava nera, salvata dall’annegamento, è inspiegabile e inspiegato resterà. Nonostante l’intero romanzo sia narrato in terza persona secondo il suo punto di vista, in un percorso che lo conduce ai più bassi livelli della scala morale, Rogério risulta assolutamente inconsistente. Ed è per questo che il finale, costruito per sorprendere, finisce invece per irritare.

Rogério si professa ogni pagina su due, quando ovviamente non impegnato a sparger sangue, innamorato della schiava per descrivere la cui avvenenza non viene risparmiato inchiostro. Solo della sua bellezza si può discutere, d’altronde, in quanto il personaggio in questione, fino all’epilogo, non farà altro che ammiccare e camminare timidamente.
Altri personaggi ce ne sono sicuramente, ma non spiccano per profondità od originalità, se si esclude il chirurgo De Lussan, che col suo fascino, le sue battute ciniche e la sua filosofia di vita, illumina la prima metà del libro dal nero mare di inconsistenza in cui si dibattono tutti gli altri.

Per farla breve, se cercate una storia mozzafiato, un romanzo che in un crescendo di suspance vi conduca a un soddisfacente finale, Tortuga non fa per voi. Se invece cercate una storia senza picchi, un libro che scorra senza grandi emozioni e con un’infarinatura decente del periodo storico in questione, potreste trovarlo un romanzo gradevole.

Giudizio:

+3stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Tortuga
  • Autore: Valerio Evangelisti
  • Editore: Mondadori
  • Data di Pubblicazione: 2009
  • Collana: Piccola biblioteca Oscar
  • ISBN-13: 9788804592907
  • Pagine: 330
  • Formato - Prezzo: Brossura - 9,50 Euro

7 maggio 2010

L'anima di Hegel e le mucche del Wisconsin - Alessandro Baricco

Secondo Hegel, la musica deve elevare l'anima al di sopra di se stessa. I ricercatori dell'Università del Wisconsin si sono invece fatti un'idea più prosaica della funzione della musica: hanno scoperto che la produzione di latte nelle mucche che ascoltano musica sinfonica aumenta del 7,5 per cento. Alessandro Baricco esplora l'universo che va da Beethoven a Sting alla ricerca di indizi per ritrovare il senso della musica nella società contemporanea: polemizzando contro le rigidità formalistiche dell'avanguardia, con l'assolutezza della sua ricerca linguistica, e con il supermarket delle hit parade. Per recuperare invece un piacere che può essere innescato dalla spettacolarità sonora di un Mahler o di un Puccini e dalle infinite sottigliezze dell'interpretazione.

Recensione

Piccolo trattatello di estetica musicale in cui Baricco ci vuole spiegare la decadenza della musica colta, cioè vuole scandagliare a fondo i perché e i percome nessuno ascolti più musica classica, e insiste molto anche nella ricerca del perché questa povera, dimenticata, bistrattata e malconsiderata musica classica non riesce a modernizzarsi lei stessa, e a farsi capire da noi.

Questo è l'intento: solo che Baricco lo persegue con un linguaggio che di chiaro, semplice e moderno ha veramente ben poco. Ovvio che Baricco non è Moccia: non mi aspettavo certo una scrittura cristallina e lineare, da manuale di grammatica. Ma nemmeno tutto questo inutile celebralismo, tutte queste metafore che ti stordiscono e fanno si che tu stai li, leggileggileggi ma alla fine non hai capito niente. Paradossalmente per me l'unica parte chiara è quella un po' più tecnica, dove spiega a grandi linee come funziona l'antitesi tensione-distensione tonale nella musica classica. Ma probabilmente solo per chi ha già una minima infarinatura di questi discorsi teorici sui massimi sistemi dell'Armonia occidentale classica può essere comprensibile.

Ardito ed interessante il paragone Mahler-cinema, che però alla lunga non funziona, è stiracchiato e raffazzonato; onore comunque al merito di averci provato.

Giudizio:

+2stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: L'anima di Hegel e le mucche del Wisconsin
  • Autore: Alessandro Baricco
  • Editore: Feltrinelli
  • Data di Pubblicazione: 1999
  • Collana: Universale Economica Feltrinelli
  • ISBN-13: 9788807721373
  • Pagine: 89
  • Formato - Prezzo: Tascabile - Euro 6,50

6 maggio 2010

La strega di Ilse - Terry Brooks

Nelle Quattro Terre sembra definitivamente tornare la pace. Ma un giorno un Cavaliere Alato trova sulla spiaggia un naufrago in fin di vita. Gli hanno strappato occhi e lingua, e adesso ha uno strano braccialetto e una misteriosa mappa. Bisogna subito chiedere consiglio al re degli Elfi. Inizia così, a bordo della nave alata "Jerle Shannara", una spedizione piena di pericoli e avventure, alla ricerca della "magia fatta di parole" in grado di cambiare per sempre i destini del mondo.


Recensione

Tra le onde dello Spartiacque Azzurro, un cavaliere alato sul suo Roc s’imbatte in un naufrago in fin di vita che reca con sé una mappa e un braccialetto della casata degli Elessedil. Walker, l’ultimo Druido, sembra convinto che la mappa conduca a un tesoro inestimabile: un nuovo tipo di potere, una magia fatta di parole, che condurrebbe le Quattro Terre a una nuova era. In seguito a un accordo con il re degli elfi, che spera di recuperare, oltre alla magia, le pietre magiche appartenute al fratello (vera identità del naufrago) scomparso in mare trent’anni prima alla ricerca dello stesso tesoro, Walker allestisce una spedizione sulla nave volante Jerle Shannara. Dell’equipaggio faranno parte lo stesso Walker, i corsari Redden Alt Mer e Rue Meridian, la veggente Ryer Old Star, l’elfo Ahren Elessedil, il nano Panax, il mutaforma Truls Rohk, nonché il giovane Quentin Leah e soprattutto Bek Rowe, cugino di Quentin. Oltre a recuperare le chiavi per accedere alla magia, l’equipaggio deve anche guardarsi dalla potente Strega di Ilse, sulle tracce dello stesso potere…

Non troppo convincente questo primo volume della terza saga di Shannara. Purtroppo gli avvenimenti sono eccessivamente frenetici: mancano di adeguate descrizioni e risultano quasi confusionari. E’ un po’ indigeribile, tanto per fare un esempio fortemente esplicativo, che per tutto il viaggio sulla Jerle si ripeta quanto Bek sia diventato amico dell’elfo Ahren ma di fatto li si veda parlare insieme una o due volte. Non si possono creare rapporti tra i personaggi semplicemente descrivendone i risultati! L’unica figura che convince, credo, è quella di Walker, già incontrato nella scorsa saga e, suo malgrado, sempre più vicino alla figura dei druidi manipolatori che tanto detestava e a cui non avrebbe mai voluto somigliare. Bek, coprotagonista insieme a Walker, appare un po’ piatto, insieme a Quentin (il primo personaggio della casata Leah che non amo) e a tutti gli altri, soprattutto la Strega di Ilse, che puzza di clichè lontano un miglio (sì, più degli altri). Piccola eccezione fanno i Corsari (Redden e Rue): questa figura, la naturale evoluzione degli zingari ‘Rover’, risulta affascinante, considerato soprattutto il fatto che le navi, nel mondo di Brooks, volano.

Sono bene a conoscenza del fatto che Terry Brooks non sia troppo amato dai lettori di fantasy. Effettivamente, i suoi primi libri (che pure preferisco) risentono troppo delle influenze tolkeniane, che però compensa con trame interessanti e personaggi ben approfonditi; questa terza saga, però, pur notandosi un certo miglioramento nella scorrevolezza della prosa -che nei primi libri era più arzigogolata-, in questo primo libro presenta solo qualche spunto interessante e nulla di più.

Sconsigliato assolutamente per iniziare il mondo di Shannara; sconsigliato a chi già non ha amato le saghe antecedenti; consigliato a chi ama Brooks in ogni caso.


Nota: Questo romanzo apre il terzo ciclo di Shannara di Terry Brooks. E' completamente fruibile anche senza aver letto i due precedenti, ma non è autoconclusivo. I romanzi del ciclo:
  • La strega di Ilse
  • Il labirinto
  • L'ultima magia
  • Giudizio:

    +3stelle+

    Dettagli del libro

    • Titolo: La strega di Ilse
    • Titolo originale: Ilse Witch
    • Autore: Terry Brooks
    • Traduttore: Valla R.
    • Editore: Mondadori
    • Data di Pubblicazione: 2002
    • Collana: Oscar Mondadori
    • ISBN-13: 9788804510673
    • Pagine: 363
    • Formato - Prezzo: Brossura - Euro 9,50

    5 maggio 2010

    Le ricette dei designer: 70 progetti in punta di forchetta - AA.VV

    Un libro di cucina fuori dai soliti schemi propone 70 ricette rilette da altrettanti designer italiani e internazionali: una meraviglia da mangiare con gli occhi.





    Recensione

    Settanta designer si cimentano ai fornelli, correlando le ricette, tradizionali o con un tocco personale, da splendide immagini decisamente insolite per un libro di cucina.

    La prefazione non poteva che essere affidata a Ferran Adrià, il cuoco che ha reso famosa in tutto il mondo la cucina sperimentale: Adrià spiega come sia nato il suo rapporto con il design, non solo dal punto di vista della presentazione dei suoi particolarissimi piatti, ma soprattutto anche come questo sia legato alla creazione delle sue incredibili e innovative ricette.

    Le proposte dei settanta designer coinvolti sono certamente molto più alla portata di ogni cucina casalinga, ma non meno originali per contenuti e presentazione al lettore.
    Ciascun cuoco improvvisato propone un piatto tipico della tradizione del suo Paese d'origine, o cui è particolarmente affezionato: le ricette sono spiegate in modo semplice e chiaro e il lettore si troverà nell'imbarazzo della scelta della prima da testare personalmente.

    La chicca di questo libro, però, restano le illustrazioni, vere opere d'arte: disegni, collage, fotografie servono il piatto descritto esaltandone di volta in volta gli ingredienti, la fantasia del cuoco, o il "mood" in cui il designer vorrebbe coinvolgere lo spirito del lettore-cuoco.

    Certo, questa raccolta è anche un modo per promuovere i designer, che sfoderano curriculum di tutto rispetto, e fare anche un po' di pubblicità a quei locali dove la ricetta di turno potrà essere gustata in tutto suo splendore qualora il risultato casalingo vada in fumo. Questi piccoli spot non infastidiscono però la lettura, che si muove indecisa tra il trattare il libro con i guanti bianchi per la sua originalità preziosa, o metterlo direttamente di fianco al fornello, a rischio di schizzi e macchie di cucina vissuta.

    Citando spudoratamente la dedica di colei che ha regalato il libro alla mia dolce metà, cui l'ho impunemente sottratto, "cucinare è un po' come pensare, disegnare e scrivere!".

    Giudizio:

    +5stelle+

    Dettagli del libro

    • Titolo: Le ricette dei designer: 70 progetti in punta di forchetta
    • Autore: A cura di Erica Marson e Silvia Airoldi, introduzione di Ferran Adrià
    • Editore: Editrice Compositori
    • Data di Pubblicazione: 2009
    • ISBN: 8877946830
    • ISBN-13: 9788877946836
    • Pagine: 160
    • Formato - Prezzo: Rilegato - 19,00 Euro

    2 maggio 2010

    Farfalle nere - Tara Bray Smith

    Nix Saint-Michael è tormentato dalla visione di un cerchio luminoso che avvolge le persone che stanno per morire. Farfalle dipinte e disegni appena scarabocchiati prendono vita sotto lo sguardo viola di Ondine Mason. Sangue sotto le unghie e fango sulle caviglie angosciano i risvegli di Morgan D'Amici, che non ricorda nulla delle sue notti da sonnambula. A Nix, Ondine e Morgan, legati dallo stesso destino, è stato promesso che le loro inquietudini troveranno una spiegazione durante un rave tra i boschi, il rave del solstizio d'estate, di cui tutti parlano senza sapere esattamente dove sia. Alle soglie della notte più lunga della loro vita li aspetta una rivelazione sconvolgente, difficile da accettare ed estremamente pericolosa da affrontare... Una storia d'amore, orrore e magia che corre sotto la pelle di un'America dura, seducente e trasgressiva.

    Recensione

    Non bastavano gli adolescenti vampiri in tutte le salse, ora arrivano pure i "changeling": il termine in inglese indica i bambini che si dicevano rapiti dalle fate. In questo romanzo, i changeling sono esseri fatati che si trovano nel corpo di un umano, a loro insaputa.

    I protagonisti sono inquietanti: adolescenti strani, perseguitati da visioni o sogni che non riescono a spiegare - e su cui nemmeno l'autrice metterà chiarezza.

    È un romanzo caotico fin dall'inizio, concitato nei rapidi flashback che vorrebbero spiegare il presente ma ci riescono poco, insensato nelle azioni dei personaggi che risultano poco motivate, epidermico nelle descrizioni dei fatti strani che li vedono protagonisti.

    Ondine fa dei sogni strani, popolati da creature orribili con fattezze umane: di più non si riesce a capire.
    Morgan soffre di sonnambulismo, che la porta puntualmente nel bosco: in questo stesso bosco è successo qualcosa, ma anche qui è tutto molto vago. I suoi repentini cambi d'umore hanno un che di patologico e soprattutto non trovano una spiegazione.
    Nix vede strane luci attorno alle persone: il suo è un potere speciale, ma non si capisce cosa ne debba fare e soprattutto come possa utilizzarlo.
    Moth sembra essere colui che governa le azioni degli amici, per condurli al suo obiettivo: in realtà è lui stesso una marionetta nelle mani dell'autrice, che gli fa fare ciò che è necessario allo svolgimento della trama, restando ancora una volta sulla superficie.

    Tutto il romanzo, con un climax nel finale, è un'accozzaglia di azioni pensieri concetti che forniscono al lettore informazioni frammentarie e incomplete: il senso della storia viene intuito, ma in modo così vago che alla fine della lettura sorge spontaneo un "tutto qua?".
    L'unico spunto degno di nota sono gli stessi changeling: peccato che non siano i soliti caratteri facilmente identificabili come i vampiri o i licantropi, per i quali "basta la parola". Le domande fondamentali "perché?", "come?", "quando?" non trovano risposta se non in un caleidoscopio di informazioni frammentarie.
    Tutto il resto è già stato letto più e più volte: l'adolescente che si sente diverso e che scopre che questa diversità nasconde un dono; la ricerca dell'amore, puntualmente ostacolato dal cattivo di turno o dalle differenze sociali; i genitori confinati al solito ruolo di macchiette, o iperprotettivi, o amiconi, o menefreghisti-finto-interessati. E infine l'ennesimo amore casto, con tanto di notti trascorse nello stesso letto, in biancheria, un'attrazione reciproca che farebbe bruciare per autocombustione e che invece si sublima nel solito nulla di fatto. Perché l'amicizia è più importante? Perché i changeling non lo fanno? Perché se il padre di lei li scopre ammazza il giovane in tempesta ormonale? Ho capito che siamo in piena crisi di baby-mamme, ma qui sconfiniamo nella fantascienza.

    Una stella perché è brutto, la seconda perché almeno ha il pregio di farsi leggere (abbastanza) piacevolmente.

    Giudizio:

    +2stelle+

    Dettagli del libro

    • Titolo: Farfalle nere
    • Titolo originale: Betwixt
    • Autore: Tara Bray Smith
    • Traduttore: Sara Marcolini
    • Editore: Mondadori
    • Data di Pubblicazione: 2008
    • Collana: Shout
    • ISBN-13: 9788804574880
    • Pagine: 437
    • Formato - Prezzo: Brossura - 14,00 Euro
     

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