Recensione
La leggenda di Earthsea contiene cinque romanzi, tutti precedentemente pubblicati da Mondadori: Il mago di Earthsea, Le tombe di Atuan, La spiaggia più lontana, L'isola del drago, I venti di Earthsea.
Il breve romanzo Il Mago di Earthsea, il primo libro della saga, risale alla fine degli anni ’60.
In esso facciamo la conoscenza di Sparviero, o Ged che dir si voglia, il quale, in una linearissima trama da fantasy vecchio stampo, da giovane di umili origini che vuol fare grandi cose nella vita inizia il suo lungo percorso di formazione, ribellandosi al suo destino di uomo comune e scoprendo di avere nelle proprie mani doti da mago con cui primeggiare. Successivamente, e scontatamente, Ged si mette al servizio di un vecchio precettore, il Mago Ogion, diviene oggetto di una profezia, poi studia all’Accademia dei maghi, finché l’avventatezza della sua giovane età non lo spinge a tentare un incantesimo troppo pericoloso per lui, che genera una mostruosa minaccia per la sua vita e probabilmente anche per il resto dell’arcipelago di Earthsea. Tanto, troppo breve questo primo volume: in poche righe trascorrono anni, terminano addestramenti, draghi vengono sconfitti e mondi salvati.
L’estrema brevità dei capitoli persiste anche ne Le tombe di Atuan, secondo volume di poco posteriore al primo, che pure risulta leggermente più scorrevole in quanto diminuisce il numero di vicende narrate: un brusco cambio di punto di vista ci presenta Arha, La divorata, una giovane sacerdotessa dedita al culto del tempio delle ombre. La sua strada s’intreccerà presto con quella di un affascinante mago dalla pelle scura venuto a recuperare nel labirinto la metà dell’anello di Erreth-Akbe, perduto centinaia di anni prima.
Ma già da La spiaggia più lontana i capitoli si prolungano, la narrazione si distende riuscendo ad acquisire ritmi meno serrati: stavolta il punto di vista è quello del giovane Arren, principe di Havnor, sul cui capo un giorno troverà posto la corona di re delle isole centrali. Il regno di Earthsea è in pericolo: la magia sta svanendo e L’Arcimago Ged, ancora una volta, dovrà mettersi in viaggio per scoprire la causa della minaccia e porvi rimedio.
Ed ecco che giungiamo al mio libro preferito, il quarto: L’isola del drago, comparso quasi vent’anni dopo il terzo. La narrazione si concentra nuovamente su Tenar, cioè Arha – il cui nome, perduto quando le sacerdotesse l’avevano condotta nel tempio, era stato riscoperto da Ged-, ormai invecchiata. La donna, di cui ci viene narrato il passato dal suo arrivo al Grande Porto di Havnor fino al momento in cui inizia questo quarto romanzo, prende con sé una bambina cui la crudeltà umana ha inferto orribili e incancellabili cicatrici. Poco dopo la morte dell’anziano mago Ogion –presso cui Ged aveva condotto la ragazza dopo averla convinta a lasciare il tempio delle Ombre e la sua terra-, a volo di drago giunge proprio il vecchio Sparviero, ferito, incanutito e privo di poteri dopo il difficile scontro del capitolo precedente. E’ questo il libro che segna il loro ricongiungimento, dopo più di venticinque anni di attesa: il più denso di emozioni umane e di introspezione.
I venti di Earthsea, di dieci anni successivo al quarto (siamo ormai nel 2001), Ursula Le Guin conclude la sua saga con un ultimo, lungo ed emozionante capitolo che coinvolge il principe Arren, Tenar e Tehanu (questo il nome dato alla bambina) decisi a incontrare i draghi per un parley che li faccia giungere a una duratura alleanza in nome di un pericolo comune.
Come ho già avuto modo di scrivere, l’espressività estremamente sintetica della Le Guin è un violento pugno nello stomaco: mi piange il cuore al pensiero di come sarebbe stata questa saga se i personaggi e soprattutto le vicende fossero state approfondite a sufficienza; l’ambientazione, infatti, è magnifica: un enorme arcipelago di isole, alcune delle quali così lontane tra di loro che, oltre alla lingua e alla cultura, mutano persino l’aspetto e l’uso della magia degli abitanti. A proposito di quest’ultimo aspetto, sono molto intriganti dinamiche e leggi magiche: è la conoscenza del vero nome delle cose nell’Antica Lingua a generare l’incantesimo, e conoscere il vero nome di un uomo lo mette automaticamente nelle proprie mani. Vi ricorda qualcosa? A me sì: ho finalmente scoperto da chi Paolini abbia preso spunto, nonostante, a proposito del vero nome degli uomini, ci sia qualche differenza (nei libri della Le Guin, infatti, ciascuno è a conoscenza del proprio vero nome fin dal ‘battesimo’, mentre nella saga di Paolini è estremamente difficile da scoprire persino per il proprietario). Anche i personaggi, seppur poco approfonditi, riescono a lasciare qualcosa.
Purtroppo, però, mi ritrovo ancora una volta a ripetere con rammarico, tutto avviene troppo in fretta, troppo superficialmente, tanto che spesso mi è stato necessario addirittura tornare indietro a rileggere per capire alcuni passaggi –troppi- spiegati con una tale foga che mi è sfuggito più e più volte il filo.
Ma le stelline che ho dato, avete ben visto, sono quattro. Perché, dunque?
Semplice: perché la Le Guin ti getta un incantesimo addosso, come se conoscesse il tuo vero nome: ti lega al suo mondo, alle vicende che vi accadono, e al destino dei suoi personaggi.
La sua prosa è soave, poetica senza arrivare mai a essere arzigogolata, ora coincisa quanto serve, ora descrittiva senza inutili orpelli. Credo che leggere i libri della Le Guin uno alla volta potrebbe lasciare uno sgradevole senso di incompiutezza e di superficialità; eppure, solo dopo averli letti tutti in un fiato, mi sono accorta di quanto le sue parole avessero attecchito in me.
Non è forse questa la magia di un buon fantasy?
Nota: Di questa saga esistono due trasposizioni cinematografiche: la prima, del 2004, è una miniserie canadese di circa due ore e mezza, Legend of Earthsea, che principalmente segue gli avvenimenti del primo libro, ma inserisce in maniera molto discutibile anche personaggi ed eventi del secondo. Piuttosto evitabile: è il classico filmetto per famiglie da domenica pomeriggio.
Più interessante la seconda, il lungometraggio animato I racconti di Terramare, che anche se ugualmente infedele può almeno contare sulle belle animazioni e i bellissimi fondali dello Studio Ghibli, sotto la direzione di Miyazaki jr.. In realtà, era stato il grande Miyazaki sr. stesso a proporsi per girare il lungometraggio, più di dieci anni fa, ma la Le Guin, non considerandolo abbastanza conosciuto, gli rifiutò la regia. Solo dopo aver visto Il mio vicino Totoro, che divenne il simbolo dello studio Ghibli, la Le Guin si pentì. Ma a quel punto Miyazaki era occupato a produrre Il castello errante di Howl, e quindi il progetto fu condotto, con risultati buoni ma non ottimi, dal figlio. Questo lungometraggio ricalca, dicevo, gli avvenimenti degli ultimi due libri, ma in maniera piuttosto infedele e spesso piatta per chi non conosce gli avvenimenti antecedenti.
Giudizio:
+4stelle+Dettagli del libro
- Titolo: Ursula K. Le Guin
- Traduttore: Rambelli R.; Valla R.; Anselmi P.
- Editore: Nord
- Data di Pubblicazione: 2007
- Collana: Narrativa Nord
- ISBN-13: 9788842915225
- Pagine: 832
- Formato - Prezzo: Brossura - Euro 19,90
Ho iniziato questo libro (anche io ho il volume che racchiude i cinque romanzi) e mi sono fermato senza neppure finire il primo.
Le motivazioni sono quelle che hai già elencato: il tutto è scritto quasi con fretta, senza perdere troppo tempo in descrizioni e raccontando un fatto dietro l'altro, con pochi approfondimenti sia dell'ambientazione che dei personaggi; tutto troppo accennato.
Ma, sempre d'accordo con te, ammetto che l'ambientazione sia decisamente affascinante, e che comunque prima o poi dovrò leggere tutta questa saga.
Una piccola precisazione: la questione del "vero nome" non è una invenzione della Le Guin, ma penso che sia stata mutuata dalla mitologia egizia: anche in quel caso conoscere il vero nome di una divinità equivaleva a pronunciare una sorta di incantesimo che obbligava il nume in questione ad assecondare la volontà dell'incantatore; conoscere il vero nome, che rappresentava l'essenza intima della divinità, dava potere su di essa.
L'importanza del nome nella antico Egitto è testimoniata anche dal fatto che per taluni crimini la pena era proprio la "confisca" del nome proprio del reo, che secondo la loro credenza equivaleva ad annullarne lo status come persona compiuta
Il nome, ren, era parte integrante della persona, tanto che ne sarebbe sopravvissuto alla morte: conoscere io nome di una persona o di una cosa significava conoscerne l'intima natura. Esisteva il nome segreto, ren sheta, che veniva scelto dai genitori e confidato al figlio solo al raggiungimento della maggiore età, e solo se ne veniva giudicato degno.
I criminali venivano privati del loro nome e chiamati con un nome infamante che si sarebbero tenuti per l'eternità: credendo nella vita dopo la morte fisica, questa era una punizione tremenda. Ancora peggiore era la cancellazione del nome, che avrebbe reso impossibile alla persona di "ritrovarsi" nel mondo oltre la vita: senza un nome in cui identificarsi l'anima del defunto sarebbe rimasta in una sorta di limbo, una morte peggiore della morte.
Conoscere il nome di una divinità era impresa ardua: ci riuscì Iside con Ra, traendolo in inganno con una magia.
Grazie mille a entrambi, non ne proprio avevo idea! Mi documenterò, purtroppo so poco di mitologia e cultura egizia, anche se mi ha sempre affascinato.
Resta comunque interessante l'applicazione della mitologia egizia alla magia.
Sekhemty, posso dirti, per fortuna, che proseguendo con i libri viene dato maggior (anche se non sufficiente, sigh) spazio ai personaggi e alle descrizioni. A distanza di mesi posso confermare il mio giudizio perché, a differenza di molti altri libri, mi restano moltissimi ricordi di questa saga.
non sono daccordo con il giudizio espresso qui sopra.
Il primo capitolo sarà anche corto ma non è per nulla superficiale, se lo leggi con attenzione ti offre spunti di riflessione molto interessanti. Il secondo non può essere paragonato al primo come scorrevolezza, è più riflessivo e la trama è più statica.
Il terzo libro secondo me è il più bello, in quanto riesce ad unire in modo perfetto dinamismo, descrizzioni e pensieri. Il quarto per me è stato un pugno allo stomaco: la distanza degli anni in cui la Le Guen ha scritto questo libro si nota molto e inoltre il tempo è troppo dilatato.
Col quinto ha scritto una degna colclusione del suo capolavoro.... questi cinque libri mi hanno fatto sognare e riflettere molto, lo consiglierei a tutti =)
Griba
Condivisibilissimo il tuo punto di vista.
Giusto per chiarire: a me la saga è piaciuta. Ci sono personaggi indimenticabili. Però non concepisco come in un fantasy si possano far trascorrere anni in un paio di righe. E' una questione di forma, che non si addice a me.
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Della Le Guin preferisco mille volte "La mano sinistra delle tenebre"; è un romanzo di fantascienza nel quale l'autrice si inventa un mondo lontano (in tutti i sensi) nel quale il protagonista umano deve imparare tutto, dalle usanze alla lingua, ed accettare l'amicizia di un alieno. Earthsea invece non mi ha convinto del tutto, alcuni personaggi sono un po' abbozzati.
Per quanto riguarda Paolini, ha copiato (male e tanto) anche dalla Mc Caffrey, poco conosciuta in Italia, che ha scritto molti romanzi sui draghi (il ciclo di Pern) nei quali parla di draghi volanti telepatici, ironici e saggi e dell'imprinting tra il drago e il ragazzo che assiste alla schiusa dell'uovo: ricorda qualcosa?