30 giugno 2009

Lontano padre - Enrico Mottinelli

"Padri in fuga" potrebbe essere il sottotitolo di questo romanzo che indaga con lucida partecipazione la viltà maschile, l'incapacità ad assumere la responsabilità dei propri figli.
Roberto e Mauro sono i due personaggi principali di questa storia che si snoda lungo un arco temporale di vent'anni. Roberto è il padre, prigioniero del suo amore viscerale per il figlio primogenito Andrea, incapace addirittura di vedere il secondogenito Mauro. Roberto abbandonerà la famiglia quando Andrea morirà in un incidente: scapperà e lascerà soli la moglie e il figlio più piccolo. Mauro vivrà la sua esistenza nella maledizione del secondogenito: esistere solo in rapporto al fratello maggiore, negli spazi lasciati da quello all'interno dell'affetto dei genitori. Mauro crescerà, avrà cura della madre impazzita per la perdita del figlio Andrea, scoprirà il mondo e la voglia di cambiarlo, amerà una donna e avrà un figlio. Ma non riuscirà ad assumere la piena responsabilità di padre. La sua ferita è profonda, forse inguaribile. Cercherà suo padre senza volerlo trovare. A padre e figlio sarà mancato il coraggio di amare.
Enrico Mottinelli racconta questa storia struggente di più generazioni con un tono apparentemente distaccato che lascia penetrare le emozioni a getti irregolari, fortissimi.

Recensione

Ritrovare questo libro, uscito nel 2005 senza che alcuno se ne accorgesse, certo non sconvolge le certezze letterarie di nessuno, ma sicuramente mette il lettore di fronte ad alcuni pensieri. Perché la storia che vi è narrata ha qualcosa da dirci.
Ovvero che è pur sempre una questione di modelli e di come questi si adattano al mondo che intendono rappresentare. Prima ancora di cominciare qualsiasi "attività formativa genitoriale", prima insomma di prendere in mano un qualche testo sacro, sia esso un agile manuale o un seriosissimo trattato di psicopedagogia, i modelli coi quali ci confrontiamo (e valga per le donne così come per gli uomini) sono quelli che abbiamo conosciuto: i nostri. Certo, visto l’andazzo di declino, ormai storicamente ben definito, forse i babbi si meriterebbero qualcosa di un po' meno duro e impietoso ma, va detto, Mottinelli non indietreggia di un millimetro nel raccontarci la vicenda di una lacerazione terrificante (quasi un evento contronatura, se si potesse usare questa espressione), quella della morte di un figlio, in questo caso Andrea. E la sua prima diretta conseguenza: la fuga (la scomparsa, il sottrarsi al dolore? alla responsabilità successiva che ne deriva?) del padre, Roberto. Poi, la seconda conseguenza: quella che trasforma il fratello minore, Mauro, in "semplice" fratello unico, in un sopravvissuto suo malgrado che si ritrova sopravvissuto nel nulla. E senza padre pure.
Infine, anche le conseguenze tornano da dove sono nate, per realizzare le storie che ci stanno dietro: Mauro, il figlio che ha fatto a meno di suo padre, diventerà babbo a sua volta.

E qui, a pagine chiuse, si intravede un’altra storia. Un'altra lacerazione, ereditata stavolta e non vissuta in prima persona. Non è però sullo svolgersi del racconto che mi interessa soffermarmi, quanto sul contributo che questo romanzo può portare ad una eventuale ricerca letteraria e narrativa intorno alla figura (allo stereotipo, direi) del padre.

Romanzo che sa donare squarci di riflessione non da poco. Che fa vedere, direttamente, la sindrome dell'abbandono paterno, tentando una ricognizione dei sentimenti, della vertigine, dell’assoluto rancore, dell’incomprensibilità di tale abbandono. Un libro che mette in scena il dramma completo e contagioso (sulle vite di chi resta, nell'abbandono) della mancanza di figure di riferimento. Insomma una riflessione che trova posto tra le parole, nella storia che si srotola come un gomitolo. Quasi a segnare un percorso che porta dentro il cuore del labirinto: l'amore paterno e quel che vuol dire. Perderlo. Una breve definizione che racchiuda il tutto in poche righe, la si può prendere da pagina 155 - è Mauro che confessa: "E' stato questo il mio imprinting di padre: mio figlio mi ha soggiogato fin dai primi istanti e davanti a lui mi sono sempre sentito un po' a disagio, come dovessi costantemente dimostrargli di essere all'altezza". Come detto, quando uscì Lontano padre non sconvolse nessuno, nessuno lo notò. Letto così a distanza, restituisce la giusta prospettiva: uno specchio è sempre uno specchio. Riflette.

Dettagli del libro

  • Titolo: Lontano padre
  • Autore: Enrico Mottinelli
  • Editore: Edizioni E/O
  • Data di Pubblicazione: 2005
  • Collana: Dal Mondo
  • ISBN-13: 9788876416859
  • Pagine: 194
  • Formato - Prezzo: Brossura - 15,00 Euro

29 giugno 2009

La metà oscura - Stephen King

Thad Beaumont è uno scrittore che per anni ha pubblicato romanzi con lo pseudonimo di George Stark: storie violente e di successo, che lo hanno reso ricco e famoso. Ora può finalmente scrivere con il vero nome, ma non sa che la figura di Stark, la sua metà oscura, non intende affatto sparire: più viva e spietata che mai, diventa una macchina di morte che distrugge quanto incontra sulla strada che conduce al suo creatore. Per difendersi da questa orribile minaccia, Thad dovrà spingersi negli angoli più inquietanti della sua mente...


Recensione

Nonostante non abbia mai trovato niente di veramente orribile (nel senso più comune del termine) tra la sterminata produzione di Stephen King, ogni tanto capita qualche cantonata. Alcuni le trovano tra gli ultimi scritti, che curiosamente io apprezzo in gran parte –perfino lo stracondannato Cell-, a me ogni tanto capita di trovarne tra le ‘vecchie glorie’.
Così è stato per La metà oscura. Probabilmente vi sarà capitato di ritrovarvi tra le mani quel libro che, già dopo dieci pagine, vi fa storcere il naso. Non perché abbia qualcosa che non va, tutt’altro, vi sentite come se voi aveste qualcosa che non va. A volte è solo un’impressione iniziale (Insomnia è diventato uno dei miei libri preferiti da pagina cento in poi), altre si protrae per tutto il libro se vi riesce di continuare fino alla fine: ecco cos’è successo a me. Ho impiegato *ben* cinque giorni per leggere, svogliatamente, questo libro.

La trama è avvincente e un po’ malata, ma qui niente di nuovo (stiamo parlando di King, in fondo): gioca sulla doppia natura dello scrittore, la cui metà oscura è nel caso specifico decisamente troppo concreta. Ed ecco che George Stark, lo pseudonimo di Thad Beaumont, prende vita nelle sembianze del gemello mai nato di Thad.

Fortemente permeato da note autobiografiche (King stesso uccise ‘di cancro dello pseudonimo’ il suo convincentissimo alter ego Richard Bachman), il romanzo è inquietante e sicuramente molto coinvolgente nelle introspezioni. Purtroppo, però, è lento a ingranare e poco originale nel progredire: non mi ha lasciato assolutamente quell’ansia di sapere i retroscena della storia, quella voglia matta di saltare le pagine perché la curiosità ti divora. Penso che questo sia in parte dovuto al fatto che veniamo a conoscenza dell’esistenza di un fratello gemello assimilato dal feto di Thad già nel prologo, senza dunque che ci si lasci il gusto di elucubrare sulla vera identità dell’efferato killer (sarebbe stato più interessante se il lettore fosse stato costretto a chiedersi fino alla fine se davvero il serial killer fosse un parto della mente del protagonista, o il protagonista stesso). Mancano i colpi di scena, manca la suspance, manca, dicevo, quell’ambiguità di fondo che contraddistingue solitamente i romanzi di Stephen King, come se la strada verso l’ultima pagina fosse stata un percorso dritto e inevitabile.

Peccato. Nel complesso è appena sufficiente, direi.

N.B.: La Lipu inorridisce per il finale.

Giudizio:

+3stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: La metà oscura
  • Titolo originale: The Dark Half
  • Autore: Stephen King
  • Traduttore: Tullio Dobner
  • Editore: Sperling&Kupfer
  • Data di Pubblicazione: 2002
  • Collana: Super Bestseller
  • ISBN-13: 9788882744236
  • Pagine: 480
  • Formato - Prezzo: Brossura - 10.90 Euro

Cranford - Elizabeth Gaskell

Protagonista di Cranford è il passato che si incarna in uno sparuto gruppo di vedove e zitelle, caparbiamente arroccate nei valori della tradizione. Sono loro la "buona società" che il romanzo segue per una decina di anni, delineandone abitudini, cerimoniali, letture, linguaggio. Contro l'immobilità, l'autrice racconta l'assedio e la penetrazione del tempo moderno: minacciosamente vicina è la città commerciale; il treno e la mentalità capitalistica aprono falle nella mentalità preesistente e determinano situazioni, comportamenti nuovi osservati con occhio ironico dalla narratrice, che con la stessa ironia tratteggia i rapporti tra i due sessi.

Recensione

"Wonderfully funny", dice in copertina l'edizione inglese di questo libro, citando il Guardian. Diciamo che, dopo aver letto il libro, questo commento mi è sembrato eccessivamente entusiasta. L'atmosfera è sicuramente atipica e un po' sognante: un villaggetto ottocentesco inglese in cui le donne comandano, o meglio imperversano, occupandosi con imperturbabile e imperturbata leggiadria e ingenuità di ogni tipo di problema, dal colore più adatto a un cappellino alla moda alla bancarotta della banca locale che minaccia di ridurre in povertà alcune di loro.

L'autrice ricorda un po' Jane Austen nel modo in cui racconta con leggero distacco, una buona dose di ironia e un certo affetto le vicende di queste signore di mezz'età tra le quali spiccano l'ingenua ed eterea Miss Matty Jenkins, l'autoritaria sorella Deborah e il loro circolo di amiche, tutte rigorosamente vedove o zitelle e quindi libere "dall'ingombro" di uomini universalmente riconosciuti come avventati, testardi e del tutto inadatti ad occuparsi delle cose del mondo. L'atteggiamento di bonaria sopportazione con cui le nostre si rapportano all'universo maschile è simile all'atteggiamento utilizzato dalla stessa autrice verso le sue protagoniste, che la Gaskell si diverte a prendere in giro come simboli delle ingenuità e dei luoghi comuni vittoriani. Perché Miss Matty e la sua combriccola magari non brillano per intelligenza e senz'altro sono parecchio sprovvedute, ma non per questo meno tenaci o temerarie nel difendere le proprie convinzioni e i propri principi, frutto di solidi principi profondamente radicati. Va detto che le nostre non mancano comunque di altruismo e generosità e si muovono sempre guidate da ottime intenzioni, non mancando di riconoscere uno sbaglio quando lo commettono, tuttavia forse la Gaskell esagera nell'effetto caricaturale, impedendo al lettore di affezionarsi e parteggiare veramente per le protagoniste.

Il romanzo, però, si riduce a essere un susseguirsi di piccoli episodi di vita quotidiana, spesso piuttosto banali, molti anche buffi, ma pochi che lasciano il segno. In effetti forse l'intento della Gaskell è proprio quello di regalarci una partentesi di leggerezza, aprendo una finestra su questo piccolo mondo a se stante e quasi irreale, che ci fa sorridere ma che possiamo richiudere quando vogliamo senza troppo rimpiangerlo.

Dettagli del libro

  • Titolo: Cranford
  • Titolo originale: Cranford
  • Autore: Elizabeth Gaskell
  • Traduttore: M. Sestito
  • Editore: Giunti Editore
  • Data di Pubblicazione: 1995
  • Collana: Classici Giunti
  • ISBN-13: 9788809206496
  • Pagine: 180
  • Formato - Prezzo: Brossura - 7,50 Euro

28 giugno 2009

Ci sono bambini a zigzag - David Grossman

Per i suoi 13 anni, a Nono viene offerto un viaggio in treno da Gerusalemme ad Haifa. A organizzarlo sono il padre, un celebre detective, e la sua compagna. Ma il viaggio si trasforma in una serie di imprevisti e avventure orchestrate da clown, mangiatori di fuoco, e dall'elegantissimo Felix, un ladro internazionale che rapisce Nono e, su una favolosa Bugatti, lo porta a conoscere la grande diva Lola. Perché quei due mostrano di sapere tante cose su sua madre? Nono ne è ovviamente affascinato e li seguirà in altre fantastiche avventure prima di scoprire che si tratta dei nonni che non ha mai conosciuto. Da loro verrà finalmente a sapere la vera storia dei suoi genitori.

Recensione

Non avevo mai letto nulla di Grossman e questo libro mi ha attirato essenzialmente per il suo titolo curioso. Non sapevo nulla e mi sono rifiutata di leggere la quarta di copertina per non bruciarmi la sorpresa e ho notato in effetti che il riassunto della trama è piuttosto spoileroso. Non eccessivamente, se si pensa che la trama è piuttosto scontata e non offre molti colpi di scena che non siano stati ampiamente annunciati.

Ci sono bambini a zigzag è un libro per ragazzi che però offre numerosi spunti di riflessione anche agli adulti, anche perché il fantastico viaggio di Nono, tredicenne, è poi raccontato da un Nono adulto a una trentina di anni di distanza dai fatti. Nono è un bambino a "zigzag", diviso tra la tendenza a comportarsi come un piccolo delinquente e quella a seguire il proprio profondo senso della giustizia, che si trova a muoversi all'interno di un mondo onirico e fantastico costituito dal suo nucleo famigliare (il padre poliziotto e una Gabi, ossia la segretaria del padre che gli ha fatto da madre) e dalla famiglia della madre scomparsa, Zohara, costituita di personaggi bizzarri e romanzeschi come un nonno ladro gentiluomo di fama internazionale e una nonna prima attrice del teatro di Tel Aviv.
Il percorso lo condurrà ad andare in cerca dell'eredità della madre, riflettendo sulla componente "genetica" del proprio carattere e sull'influenza invece dell'educazione ricevuta, mostrandosi infine molto più simile alla sua "Gabi", una sorta di madre adottiva, piuttosto che a Zohara. Il percorso lo condurrà ad andare in cerca dell'eredità della madre, riflettendo sulla componente "genetica" del proprio carattere e sull'influenza invece dell'educazione ricevuta, mostrandosi infine molto più simile alla sua "Gabi", una sorta di madre adottiva, piuttosto che a Zohara.

Pur essendo un libro breve, ho trovato molto gustosi i flashback all'interno della narrazione, che arricchiscono senza appesantire e allo stesso tempo lo svolgersi semplice e piano della vicenda fino alla sua risoluzione. Un libro che ho trovato delizioso e ho letto tutto d'un fiato.

Dettagli del libro

  • Titolo: Ci sono bambini a zigzag
  • Titolo originale: He ag-zag kid
  • Autore: David Grossman
  • Traduttore: Sarah Kaminski ed Elena Loewenthal
  • Editore: Mondadori
  • Data di Pubblicazione: 1997
  • Collana: Oscar scrittori del Novecento
  • ISBN-13: 9788804569497
  • Pagine: 332
  • Formato - Prezzo: Brossura - 8,40 Euro

27 giugno 2009

Mia cugina Rachele - Daphne Du Maurier

Cornovaglia, prima metà del '900. Philip rimane orfano dei genitori ancora bambino e viene adottato dal cugino Ambrose, nobile e proprietario terriero di mezza età. Ambrose vive solo col nipote nella tenuta di campagna in cui sembra non accadere mai nulla che possa interrompere una vita tranquilla e prevedibile, fino al giorno in Ambrose decide di recarsi in Italia per ragioni di salute. Durante il suo viaggio, l'attempato nobile entra in contatto con Rachele, lontana parente acquisita della sua famiglia, che egli descriverà nelle lettere al cugino Philip come "tua cugina Rachele". Ambrose, che aveva sempre ritenuto di poter vivere molto felicemente anche senza avere una compagna, si innamora perdutamente di Rachele e decide di sposarla mentre si trovano ancora in Italia. Da quel momento le lettere a Philip si fanno sempre più cupe e angosciose e vanno di pari passo con un netto peggioramento della salute che culminerà nella sua morte. Ormai ricca e vedova, Rachele decide di recarsi in Cornovaglia a vivere in ciò che è ormai di diritto la propria dimora e dove incontrerà Philip che inizierà ad essere tormentato da sentimenti contraddittori nei suoi confronti. Egli si troverà infatti ad alternare momenti di odio in cui la ritiene responsabile della morte di Ambrose ad altri di passione in cui la compatisce ritenendola vittima di una vita ingiustamente dura. Purtroppo Rachele è una donna ambigua che non darà mai la possibilità a Philip di comprendere chiaramente i propri sentimenti e sarà proprio questo lato sfuggente e ingannevole della sua personalità che condurrà alla tragedia finale.

Recensione

Mia cugina Rachele è un noir di altissimo livello. Daphne Du Maurier ha infatti un'abilità assolutamente unica nel creare un crescendo di tensione, di ansia e di dubbio in chi legge i suoi romanzi. Oltre all'assoluta originalità dell'intreccio, l'autrice riesce a presentare il quadro psicologico di una donna ambigua, misteriosa e incomprensibile senza tralasciare mai nessun particolare. La malvagità non è espressa tramite azioni esplicite ma piuttosto attraverso delle non-azioni, dei mancati avvenimenti, delle parole non dette. Tutto può essere vero così come il suo contrario.
Chi si innamora di Rachele è come se ricevesse una maledizione. Perché lei è una donna che non lascia scampo, che spinge chi le sta attorno a perdersi nel labirinto dei propri dubbi mentre nulla sembra mai riuscire a turbarla. Rachele costringe le sue vittime, prima Ambrose e poi Philip, a rimanere schiacciate sotto il peso dei propri dubbi e dei propri sospetti, poiché nessuna accusa fa presa su di lei. Rachele non si lascia coinvolgere, è una donna gelida ed egoista che ha imparato fin da molto giovane a manovrare gli uomini giocando sulla sottile linea di confine tra compassione e desiderio. Le persone attorno a lei soffrono cercando di comprenderla, di giustificarla, di dare una spiegazione alle sue azioni, mentre Rachele prova quasi pietà per degli esseri che si dibattono nel groviglio dei propri sentimenti. Lei non prova mai nulla per nessuno, è al di sopra di ogni emozione, non conosce la paura perché ritiene di vivere in una realtà totalmente soggetta al suo dominio. Purtroppo, però, l'intensità della passione e della rabbia di un ragazzo giovane come Philip presenta dei lati incontrollabili che Rachele, abituata a manipolare uomini ben più vecchi di lui, non aveva saputo prevedere. E sarà proprio l'eccessiva fiducia nelle proprie capacità che condurrà al peggior epilogo possibile, lasciando dietro di sé una realtà sospesa e senza tempo, carica di dilemmi destinati a non trovare mai una risposta.

Dettagli del libro

  • Titolo: Mia cugina Rachele
  • Titolo originale: My Cousin Rachel
  • Autore: Daphne Du Maurier
  • Traduttore: Morpurgo M.
  • Editore: Il Saggiatore
  • Data di Pubblicazione: 2008
  • Collana: Tascabili Narrativa
  • ISBN-13: 9788856500363
  • Pagine: 303
  • Formato - Prezzo: Brossura - 10,00 Euro

26 giugno 2009

Prossime Uscite: La Pista Caravaggio

Torna in libreria Iain Pears, lo storico dell'arte e romanziere inglese che ha raggiunto fama internazionale nel 1997 con il giallo storico La quarta verità. Per il luglio 2009 è prevista l'uscita dell'ultimo romanzo di Pears, La Pista Caravaggio, edito da Longanesi per la collana La Gaja Scienza.
La Trama: Quando al Nucleo investigativo per la tutela del patrimonio artistico di Roma arriva una soffiata sull’imminente furto di un presunto Caravaggio nella chiesa di un piccolo monastero, Flavia Di Stefano non sa da che parte cominciare a indagare. Non conosce l’edificio, e nemmeno il dipinto in questione. Del resto c’è ben poco da vedere, la tela versa in pessime condizioni ed è in fase di restauro. Se poi a scomparire è invece una piccola icona della Vergine, collocata nella minuscola cappella a metà della navata, il mistero si infittisce: nessun indizio tra le mani, nessuna pista da seguire, solo una vecchia conoscenza riapparsa all’improvviso e coinvolta in un caso mai risolto. E mentre il generale Taddeo Bottardi, un tempo a capo della squadra, è alle prese con una spinosa decisione sul suo futuro, i nervi di Flavia sono messi a dura prova dall’enigma in piena regola che le è caduto addosso: a lei non resta che affidarsi al fedele Jonathan Argyll, ex mercante d’arte nonché suo compagno di vita, per riuscire a svelare un segreto che dura da secoli...

Articolo di valetta97

Dettagli del libro

Autore : Pears Iain
Editore: Longanesi
Collana: La gaja Scienza
Data pubblicazione: Lug 2009

25 giugno 2009

L'ultima estate che giocammo ai pirati - Alessandro Soprani

Estate del 1955 sulle colline dell'Appennino parmense: gli echi della guerra non si sono ancora spenti; non sono dimenticati gli odi, ma nemmeno i dubbi e le paure. Si trovano armi nascoste ovunque, e i bambini ascoltano i racconti degli adulti curiosi delle loro storie - scontri, eccidi, tradimenti - così come dei loro silenzi, delle loro reticenze.
Tre ragazzini - Luca, voce narrante, Davide e Mario -, i tre moschettieri, come vengono chiamati, sono i protagonisti di quotidiane avventure: giocano a biglie, ai pirati, alla guerra con mitici Sten di legno di faggio. Giocano, rovistano nei solai in cerca di cimeli, ed esplorano i luoghi proibiti dei partigiani...
E proprio durante una di queste esplorazioni Luca scopre un cadavere: è Delmo, un uomo buono e innocente - lo scemo del villaggio, qualcuno direbbe - al quale i ragazzi, come tutti, volevano bene.
Quando gli indizi sembrano incolpare Giona, un reduce inglese rissoso e ubriacone, Mario, il più maturo dei tre forse perché ha perso la mamma e ha un padre alcolizzato e violento, decide che non si può lasciare impunito l'assassino di Delmo. Bisogna vendicarlo.
Si fa in fretta a passare dal gioco a una terribile realtà, soprattutto se si incontrano delinquenti senza scrupoli. Ma occorre molto coraggio, o incoscienza, quando la linea d'ombra che separa la giovinezza dall'età adulta non attraversa solo il mutare dei sentimenti e delle emozioni, ma si sporca di sangue.
Questo è il messaggio chiaro che viene dalla voce addolorata e fiera dell'Italina, splendida figura di vecchia che di quei ragazzi è l'unica confidente, forse perché, custode a sua volta di un antico lacerante segreto, è l'unica che può veramente capirli.
Un esordio delicato e forte, questo di Alessandro soprani, un romanzo di avventura e di formazione in cui la Storia e a provincia italiana fanno da sfondo e da protagoniste insieme, con una nostalgia e una potenza che arrivano al cuore.

Recensione

Leggere questo primo romanzo di Alessandro Soprani è come entrare in contatto con un mondo da poco scomparso.
Le atmosfere di questo romanzo sono così vere e radicate su un territorio da sembrarci quasi irreali rispetto al mondo di adesso, globalizzato ed indistinto, in cui ogni posto tende ad assomigliare ad un altro.

Siamo sull'Appennino parmense, in quello spicchio di territorio montano tra il piccolo borgo dove vivono i protagonisti della storia e Langhirano (il paese più vicino, ma così lontano dalla quotidianità della vita del paese), nell'estate del 1955.
Tre ragazzi, poco più che bambini, si imbattono in un'avventurosa vicenda costellata di omicidi, contrabbando, armi e vecchi racconti della guerra partigiana. Tra le indagini e le scoperte di sempre nuove verità, i tre ragazzi prendono sulle spalle le responsabilità delle loro azioni, finendo con l'abbandonare la spensierata vita dell'infanzia, per entrare nella vita adulta. Siamo quindi nel pieno del romanzo di formazione classico, con una trama e un intreccio interessante, reso con uno stile di scrittura veloce e piacevole che invita il lettore ad andare avanti volando sulle pagine per non abbandonare i tre ragazzi al loro destino.

L'elemento più significativo del romanzo, risiede a mio avviso proprio nello stile di scrittura con cui Soprani costruisce atmosfere e avvenimenti. Una lingua frammista di dialetto parmense, altamente aderente a quella che deve essere la realtà di un paese di montagna del primo dopoguerra e fedele all'età dei protagonisti. Solo in pochissimi punti del romanzo troviamo qualche espressione un po' troppo da adulti in bocca a ragazzini giovani e altamente identificabili con un territorio; per il resto la resa del linguaggio è ottima e trasporta il lettore nei luoghi, nelle atmosfere e negli odori delle giornate estive.

Questo stile è anche il responsabile di ciò con cui ho iniziato la recensione: la descrizione di un mondo scomparso. Oltre la vicenda che costituisce l'ossatura del libro, dalle parole di Soprani traspira la descrizione di un mondo scomparso, di una quotidianità in cui i rapporti e le vicende umane sono del tutto diverse da quelle odierne. Nelle avventure dei tre ragazzi protagonisti del libro ritroviamo un elemento che sempre più tende a scomparire nella nostra vita quotidiana: la conoscenza dei luoghi. Un'esistenza, quella dei giovani protagonisti del libro, che non può prescindere da un mondo che loro esplorano centimetro per centimetro nei loro giri tra i boschi, che costruiscono nella fantasia ascoltando i racconti degli anziani, che mettono in discussione con il loro ragionamento. Un mondo limitato nello spazio perché conoscono quasi solo il loro piccolo paese e il bosco che lo circonda, ma un mondo a cui appartengono e di cui conoscono ogni cosa. Un panorama così diverso da quello odierno in cui la conoscenza e globale ma spesso effimera; dove il giovane (bambino o ragazzo) deve essere protetto da ogni forma di avventura e rinchiuso spesso solo nella sterilità del gioco organizzato, delle attività per il tempo libero, quando non nella virtualità e nei giochi elettronici. in questo romanzo invece colpisce per prima cosa un elemento: la serietà del gioco per i bambini. Quello che il mondo degli adulti (distante, ma non assente) ritiene un bighellonare senza meta per prati e pascoli, si rivela in realtà una faccenda molto, troppo seria. Il gioco come avventura e l'avventura come esperienza che prepara alla vita, prepara a sentirsi parte di un tutto, che è la vita del paese e da lì l'aprirsi alla vita in tutte le sue facce.

Sotto questo aspetto Soprani ci restituisce un accurato ritratto della vita dei ragazzi nel dopoguerra, per lo meno nelle zone periferiche d'Italia. Ho ritrovato nelle sue parole i racconti dei genitori e dei nonni delle mie zone di montagna (delle Alpi e non dell'Appennino), storie fatte di avventure anche pericolose, ma vissute in libertà.

Ecco forse è proprio questo il romanzo di Soprani, un romanzo sulla libertà. Libertà che è ovviamente anche rischio, sbaglio, paura e responsabilità. I tre protagonisti vivono tutto ciò nel corso di un'estate; nel diventare adulti scoprono che la libertà, così amata, mette ciascuno di fronte a scelte da cui non si può tornare indietro.

Un'opera prima di un nuovo scrittore del panorama italiano che fa ben sperare per il futuro e che, in questo romanzo, dimostra una grande leggibilità. Sicuramente consigliato.

Dettagli del libro

  • Titolo: L'ultima estate che giocammo ai pirati
  • Autore: Alessandro Soprani
  • Editore: Mondadori
  • Data di Pubblicazione: 2009
  • Collana: Omnibus
  • ISBN-13: 9788804587453
  • Pagine: 286
  • Formato - Prezzo: Rilegato, sovraccoperta - 18,50 Euro

Lancillotto del Lago - Jacques Boulenger

Il modello di tutti i cavalieri: Lancillotto. Figlio di un re tradito, inconsapevole della sua stirpe, lo alleva, amorevole e gelosa, la Dama del Lago. Ella si separa da lui con dolore quando il prode giovinetto parte per riunirsi alla corte di Artù ed essere ordinato cavaliere; lì dove incontrerà la bellissima Ginevra, nel cui nome combattere perfidi maghi, dragoni spaventosi, cavalieri felloni e l'amico inseparabile Galvano, assieme al quale compiere il cammino che porta al compimento del destino.
Siamo dentro il ciclo bretone di re Artù, il più sanguigno, rude, sensuale, a momenti crudele, intricatissimo di rivolgimenti e incantesimi, e forse la meno ripetuta delle sorgenti dell'immaginario romanzesco occidentale. Il francese Jacques Boulenger riscrisse in francese ciascuna delle sue cinque parti (Merlino, Storia del Santo Graal, Lancillotto, Ricerca del Santo Graal, Morte di Artù) senza trascurare nessuna delle innumerevoli fonti diverse che dal 1215 le tramandano.
Un lavoro di conservazione, unificazione e divulgazione, mantenendo però il carattere di sogno collettivo, l'impronta mistica e lo stile ingenuo e favoloso dell'epopea dei Cavalieri della Tavola Rotonda. Tanto da essere riconosciuto come parte di quel rinnovamento continuo nel racconto, attraverso i secoli, che costituisce il modo proprio di perpetuarsi e preservarsi della Grande Leggenda che conserva la memoria celtica di un popolo vinto.

Recensione

Probabilmente nel 2009 rimane difficile capire il perché di un libro come questo, se non si considera la provenienza dell'autore: Boulenger è stato un giornalista, critico letterario e medievalista tra fine '800 e prima metà del '900, e ha attraversato in pieno il periodo storico di quel revival neo-romanico/medioevale, alla cui luce il gusto per il recupero del romanzo cortese nella saga cavalleresca di Lancillotto trova una collocazione comprensibile.
Una corrente, all'interno di decadentismo e art nouveau, che ricorda il filone artistico di certi dipinti dei preraffaelliti inglesi (pensiamo all'Ofelia di Millet, per esempio), spingeva alla valorizzazione del ciclo epico cortese arturiano: l'autore, inoltre, aveva una formazione filologica così solida da permettergli di effettuare un'operazione letteraria come la trasposizione delle saghe della Tavola Rotonda in un romanzo contemporaneo.

Con difficoltà si riesce a introdursi nel gusto narrativo di questo racconto intriso di un senso del meraviglioso che ai nostri occhi appare anacronistico e superato. Tutte le dame sono bellissime, i cavalieri sono valorosissimi, le vesti - dai mantelli ai tovaglioli - pregiatissimi, le armi preziosissime. Ci si muove in un mondo rarefatto e iperrealistico, dove il codice di comportamento della cavalleria assurge a metro di giudizio universale. Eppure la trasposizione moderna rivela l'origine borghese della letteratura romanza medievale, lasciando trasparire dettagli - potremmo dire - "bassi": la notte d'amore vinta da un cavaliere in battaglia viene negata con lo stratagemma di un trombone "spaventa-incapaci", che salva la virtù della poco cortese ma astuta pulzella. Ancora di una regina, vedova e privata del regno da un re malvagio e fellone, ritiratasi a clausura monastica, si dice che, per quanto vivesse in regime di penitenza, tuttavia rimaneva rotondetta, non riuscendo a dimagrire come ci si aspetterebbe a una monaca!

A parte qualche particolare, però, il racconto si svolge secondo la modalità del canto dei trovatori: i filoni dei vari personaggi si intrecciano e si accavallano, i cavalieri e le dame si innamorano e partono per mostrare il loro valore o per pene amorose, percorrono strade e boschi e affrontano pericoli, incantesimi e prove, rivelando il senso mistico e iniziatico di un codice comportamentale altrimenti inspiegabile e di certo concretamente mai applicato: chi riuscirebbe a immaginare due re che, dopo essersi sfidati in una guerra perché uno dei due aveva deciso di conquistare almeno trenta reami, poi si riconciliano e dormono sotto lo stesso padiglione? Si capisce bene da dove proviene l'ironia riservata nella letteratura post medievale - dall'Orlando Furioso di Ariosto al Don Chisciotte di Cervantes - al mondo cavalleresco.

Senza poter dire il proprio nome e all'oscuro delle sue origini, Galaad-Lancillotto sembra una marionetta: rimane imbambolato alla vista di Ginevra; si fa ingannare dai borghesi di un castello che vogliono essere liberati da un incantesimo; sbaraglia orde di nemici sostenuto dall'amore per Ginevra, dal desiderio di guadagnare gloria (mai ricchezze o agi, chiaramente) ai suoi occhi, e anche dalle armature stregate della madre adottiva, Viviana del Lago; fa innamorare di sé ogni castellana che incontra. Il suo percorso è un preambolo necessario alla queste du Graal e si colloca in un filone narrativo con leggi e schemi rigidi e, per il lettore moderno, poco credibili.

Incamminatevi pure al suo fianco nelle peregrinazioni e negli amori, ma solo con un po' di indulgenza per le ingenuità della narrazione e consapevoli di rivisitare le radici di un genere letterario che fa parte delle nostre radici culturali.
Se poi avete una passione per le storie arturiane, ancora meglio!

Dettagli del libro

  • Titolo: Lancillotto del Lago
  • Titolo originale: Les enfances de Lancelot e Les Amours de Lancelot
  • Autore: Jacques Boulenger
  • Traduttore: Paola Fornasari
  • Editore: Sellerio Editore
  • Data di Pubblicazione: 2008
  • Collana: La Memoria
  • ISBN-13: 9788838923081
  • Pagine: 181
  • Formato - Prezzo: Brossura - 11,00 Euro

Novità in libreria: "Mafia pulita"

Dal 18 giugno è uscito in libreria Mafia Pulita, libro d'inchiesta nato dalla collaborazione di Elio Veltri, già membro della Commissione Parlamentare Antimafia, e Antonio Laudati, magistrato e attualmente direttore generale della giustizia penale presso il Ministero della Giustizia.

Il libro: La Mafia SpA è la più grande azienda italiana per fatturato. Oggi non ha più bisogno di uccidere: compra. Il suo patrimonio potrebbe da solo colmare il debito pubblico italiano. E' una multinazionale del crimine da mille miliardi di dollari, un grande gruppo finanziario con dirigenti e quadri, un universo in cui si coniugano arcaicità a modernità, localismo e globalizzazione. Cinque i personaggi simbolo della Mafia Pulita qui raccontati da Elio Veltri. Storie vere tratte dai materiali inediti dei processi che li riguardano: affiliati della 'ndrangheta, organici di Cosa Nostra e camorristi insospettabili. Una mafia invisibile che frequenta i salotti dell'alta finanza e parla più lingue.
Ad ogni storia nel testo fa da contrappunto la riflessione di Antonio Laudati, tra i massimi esperti di organizzazioni criminali in ambito transazionale. La mafia si è irradiata come un golpe strisciante nel Nord Italia, si è infiltrata nelle banche, in ampli settori della vita pubblica, e utilizza a suo vantaggio il flusso di denaro sporco proveniente da attività illegali, reinvestendolo poi in economia legale. Penetra così dentro imprese sane, impone i propri metodi e cambia per sempre le regole del gioco.



Dettagli del libro
Autore: Veltri Elio, Laudati Antonio
Editore: Longanesi
Collana: Le Spade
Data pubblicazione: 18 Giu 2009

Maigret e il barbone - Georges Simenon

«Un barbone era stato aggredito sotto il pont Marie e gettato nella Senna in piena, ma per miracolo se l’era cavata e il professor Magnin non riusciva a capacitarsi della sua rapida ripresa. «Era un delitto senza vittima, insomma, si sarebbe quasi potuto dire senza assassino, e nessuno si preoccupava del Dottore, tranne Léa la cicciona e, forse, due o tre barboni.
«Eppure Maigret dedicava a quel caso lo stesso tempo che avrebbe dedicato a un dramma da prima pagina. Sembrava ne facesse una questione personale, e dal modo in cui aveva appena annunciato il suo colloquio con Keller si sarebbe potuto credere che si trattava di qualcuno che lui e sua moglie desideravano incontrare da tempo».

Recensione

E' una strana "bestia" questo Simenon, indiscusso autore di culto planetario, sottile cesellatore dell'analisi psicologica del delitto e dei suoi protagonisti, il più alto cantore della moralità borghese nel romanzo poliziesco (eh, certo: non si tratta mica di un Bunuel!) e dell'assoluto immobile status quo di un certo mondo (la dolce signora Maigret, lungi da qualsiasi consapevolezza, è in pratica la colf del commissario), inciampa talvolta in storie che lasciano perlomeno una certa perplessità: è possibile che tutto scorra così immutabile, sotto l'autorevolezza di un immarcescibile perbenismo borghese? E' possibile che i dubbi del protagonista assoluto, il commissario Maigret, si palesino al massimo come sussulti di una coscienza lontana, ormai sopita?

Accanto a questo strano sentimento di inadeguato, quello che ha reso Maigret uno degli archetipi più famosi della letteratura gialla è quella sorta di grazia che sembra attraversare lui e le sue storie. Non una grazia divina o, peggio ancora, religiosa ma al contrario una grazia tutta umana, materiale, terrena che rende il personaggio e molte (non tutte) delle sue storie effettivamente indimenticabili.
Maigret e il barbone è una di queste, tra le meglio riuscite, dove Simenon utilizza la leggerezza del tocco non per un racconto superficiale ma per scendere un po' più in profondità e accompagnarci nel sondare il mondo con occhi meno ingenui, meno benevoli. La partecipazione emotiva di Maigret stesso alla vicenda è, almeno stavolta, un poco più sentita e si stacca dalla monotonia del tono per sfiorare persino un certo qual senso "politico" di alcune considerazioni; una (quasi) adesione alle istanze del mondo attorno che, a differenza di quanto vorrebbe comunicarci l'impassibile Simenon, cambia lotta si trasforma.

A differenza di altri giallisti che proprio in quegli anni facevano del poliziesco uno strumento di analisi della realtà (un esempio su tutti, la coppia svedese Sjowall-Wahloo), Simenon indugia sulla nostalgia dei bei tempi andati. Combattuto tra il vecchio (e il rispettabile ad ogni costo) che mai passa ed il nuovo che spaventa perché cambia, Simenon (e Maigret con lui) non ha dubbi: meglio una (dignitosa?) ritirata in campagna. O al massimo a pescare, a Meung-sur-Loire.

Dettagli del libro

  • Titolo: Maigret e il barbone
  • Titolo originale: Maigret et le clochard
  • Autore: Georges Simenon
  • Traduttore: Laura Frausin Guarino
  • Editore: Adelphi
  • Data di Pubblicazione: 2008
  • Collana: Gli Adelphi
  • ISBN-13: 9788845923418
  • Pagine: 142
  • Formato - Prezzo: Brossura - 9,00 Euro

24 giugno 2009

La vita agra - Luciano Bianciardi

Come accade raramente nella storia della letteratura, l'uscita de La vita agra nel 1962 avrebbe fornito le parole al disagio profondo che nella realtà quotidiana stava appena sotto la patina dorata del boom economico che in quegli anni investiva l'Italia, creando facili illusioni di massa per un paese che appena ieri era contadino. Ma La vita agra può anche essere letta come palinsesto dei motivi che animeranno qualche anno più tardi la contestazione giovanile. C'è l'inumanità, l'alienazione, cui è ridotta la folla della metropoli; c'è la nausea del traffico e dell'automobile; c'è la pena per il mondo aziendale, ove la gente appare sottoposta a un processo di disidratazione spirituale; c'è la satira del mondo editoriale resa inerte e posta in vendita adulterata dal sussiego delle mode sempre nuove. C'è insomma una contestazione globale al sistema, e all'uomo integrato nel sistema: "Ora so che non basta sganasciare la dirigenza politico-economico-social-divertentistica italiana. La rivoluzione deve cominciare ben più lontano".

Recensione

E' davvero significativo che debba essere stato uno come Bianciardi, venuto dalla povertà dell'Amiata, da un disastro minerario in cui l'incuria del padrone aveva "lasciato" morire 43 suoi "amici" (vite buttate via in cambio dell'aumento dei profitti), dalla provincia grosseto-maremmana, a fare la più lucida ed incisiva critica dell'inciviltà della civiltà italica.
A ridere del miracolo italiano (da non mescolarsi, secondo lui, con gli unici miracoli veri, tipo la moltiplicazione di pani pesci e vino per dare da mangiare al popolo tutto, riunito dalla fame) che si veniva compiendo in quegli anni, a scapito della civiltà, quella sì civile, preesistente ossia la civiltà contadina spazzata via dall'inurbazione selvaggia coatta.

Così come Pasolini, così come molto cinema neorealista (personalmente voglio ricordare Peppe De Santis e Vittorio De Seta), Bianciardi denuncia descrivendo: la città grigia longobarda, quella cappa mefitica di fumi e flatulenze che, se qualche vento dovesse portar via, subito i cittadini si "industriano" a ricreare. E non importa che sia Milano, potrebbe far da specchio ad una qualunque altra città industriale d'occidente.
Persino il vecchio sogno di far saltare il torracchione di vetro e alluminio annega nella fretta della produttività: nessuno ha tempo di prenderlo sul serio, nessuno avrebbe tempo infine nemmeno di denunciarlo.

E di tanta inciviltà, fa resoconto il fatto che "intanto sono arrivati gli operai coi picconi e scavano (...) eppure scavano, e la gente non protesta per l'incomodo, né per il fragore dei martelli vibratili. La gente protesta semmai se nella casa di fronte tengono il grammofono troppo alto e arrivano a cascata le note di Vivaldi". Insomma, il trionfo delle "finestre altrui serrate".

Dettagli del libro

  • Titolo: La vita agra
  • Autore: Luciano Bianciardi
  • Editore: Bompiani
  • Data di Pubblicazione: 2001
  • Collana: Tascabili Narrativa
  • ISBN-13: 9788845249112
  • Pagine: 220
  • Formato - Prezzo: Brossura - 9,00 Euro

23 giugno 2009

Il tulipano nero - Alexandre Dumas

Lo sfondo storico è capace di attrarre un architetto di situazioni e scenari insoliti come Dumas. L'Olanda repubblicana del secolo d'oro, il Seicento: vi si svolge la lotta tra il Gran Pensionario, il borghese de Witt e lo Statolder, l'aristocratico Guglielmo d'Orange; e s'è appena raffreddata quella che forse è stata la prima bolla speculativa del capitalismo, la cosiddetta "bolla dei tulipani", o "tulipomania". S'era alzato improvvisamente il vento speculativo sui bulbi del fiore di origine orientale, aveva sospinto capitali, fatto alzare i prezzi a cifre vertiginose, per poi cadere. Ma su questo sfondo, l'avventura ha un'azione diversa da quelle caratteristiche del padre di D'Artagnan. E' una storia d'amore e, in effetti, di spionaggio industriale. Cornelius Van Baerle, figlio di un ricco capitalista dell'Aia, non segue la carriera di famiglia. Il suo interesse è la placida mania dei tulipani, di cui scopre o inventa tipi sempre nuovi, su cui investe cifre colossali. La sua ambizione più alta è di riuscire a selezionare il re dei tulipani, l'impossibile tulipano nero. La città offre, per chi riuscirà nell'impresa, il premio di centomila fiorini: Cornelius è sul punto di arrivarci, ma un suo concorrente, il laido e invidioso Boxtel, per riuscire a impadronirsi dei bulbi sperimentali, lo accusa falsamente di complicità politica col Gran Pensionario de Witt, che è stato sconfitto nel frattempo ed è rimasto ucciso dagli orangisti. Una gara avventurosa e mortale che può leggersi, volendo, come la metafora del cattivo capitalismo che malignamente altera il mercato: i maneggi del losco speculatore ai danni dell'onesto imprenditore.

Recensione

Avete letto la quarta di copertina? Bene, dimenticate tutto. Non che non sia l'esatto riassunto del romanzo, questo non posso negarlo. Nulla da appuntare sul modo in cui è scritto, e ad ogni modo io non sono di certo in grado di giudicare ciò, quindi non faccio testo. Insomma ben scritto e molto ben dettagliato. Ma leggendo la quarta di copertina stento ancora a credere come questo racconto possa essermi piaciuto. Insomma Dumas ti coinvolge, il riassunto ben poco. Io avrei scritto semplicemente: Scritto da Dumas. Ma lasciamo perdere ciò, non devo mica recensire la quarta de Il tulipano nero?

Ho appena finito di leggere il mio quinto Dumas, ed ancora non ho capito dove sta il trucco con il quale vengo inesorabilmente ammaliato e portato ad una totale forma di abnegazione, di ilotismo puro, non appena compio il fatidico gesto di prendere in mano il Dumas di turno e leggerne la prima frase: mi ritrovo catapultato nel tempo e nello spazio, disorientato prima e incantato poi, giungendo infine alla inevitabile dipendenza dumassiana che si conclude con una lettura piacevolmente avida e con la solita ricerca storica parallela.

Quello che però penso di aver capito, ma non ne sono affatto certo, è il mix vincente, la formula magica, il famoso ingrediente segreto della coca cola che Dumas utilizza insindacabilmente in tutti i suoi libri. Ecco a voi: Prendete un protagonista principale con un orgoglio innato, una educazione esemplare, mi raccomando a questa caratteristica, deve essere il gentiluomo per eccellenza, con una totale dedizione all'amore, ma sopra ogni cosa deve possedere una visione del mondo totalmente errata ed una ingenuità che superi i confini della realtà. E' infatti per la loro ingenuità che i vari Dantes, Van Baerle, D'Artagnan, La mole e Robin Hood finiscono sempre inevitabilmente nei guai. Solo dopo che la realtà del mondo sarà piombata loro addosso, i vostri protagonisti/ingredienti principali cominceranno ad aprire gli occhi/lievitare, e allora sarà tremenda vendetta. Capisco che questo ingrediente potrebbe essere difficile da trovare, ma se lo avrete trovato sarete a malapena al punto di partenza.

Come pochi di voi grandi dumassiani/cuochi sapete questo ingrediente principale, per quanto squisito che sia, necessita di essere amalgamato con un'altra squisitezza dolce al palato ed inebriante all'olfatto: l'eroina. Capace questa di far perdere completamente la testa al protagonista principale e di fargli fare cose impensabili. Ma non una eroina qualsiasi, deve essere una eroina di prima qualità. Ma cosa avete capito? Parlo della protagonista femminile. Questa deve infatti essere molto furba, deve conoscere molto bene la vita e deve sapere come cavarsela in ogni situazione. E questo vale sia per la regina Margot, che per una frisona analfabeta. Questo ingrediente che avete appena aggiunto conosce molto bene le proprie qualità e conosce senza alcun dubbio il miglior modo per utilizzarle. Insomma cari gentiluomini ci troviamo alla mercé delle nostre care donzelle. Trovati questi due ingredienti, amalgamarli sarà un gioco da ragazzi.

Avete così ottenuto la pietanza principale, dobbiamo adesso allestire il contorno. Sapete cosa può trasformare un uomo perbene in un ladro? in un assassino? cosa può portare un uomo qualunque a compiere le cose più sgradevoli? Leggendo un qualsiasi Dumas, troverete facilmente le risposte adeguate a queste ardue domande. Ebbene, non aspetterò che voi lo leggiate, questo immenso potere lo possiedono l'invidia, la sete di potere e la brama di ricchezza, "virtù" che ne Il conte di Montecristo si scatenano contemporaneamente contro Edmond Dantes. Ne Il tulipano nero invece è solo l'invidia a trasformare un innocuo coltivatore di tulipani in un temibile nemico malvagio e subdolo.

Detto ciò non penso sia necessario illustrarvi ulteriormente come preparare un ottimo contorno, tuttavia per i più tontoloni di voi mi ci soffermerò ancora qualche minuto secondo, gli altri possono tranquillamente passare con la lettura tre righe più in basso: prendete dunque un pizzico di invidia, una goccia di sete di potere ed un zinzino di brama di ricchezza, mescolate il tutto giudiziosamente per evitare la formazione di eventuali grumi, cuocere infine tutto il composto a fuoco lento fino a consistenza desiderata, avrete ottenuto il vostro succulento contorno. Fatto? Siete ora di fronte ad una prelibatezza, ma un capolavoro lo potete ottenere solo con un ultimo tocco di gran classe, questo procedimento è però dedicato solo ai più esperti e comunque accompagnati da un supervisore. Come il formaggio con le pere, la fragola con l'aceto e tante altre raffinate opposizioni culinarie, non può mancare in un romanzo di Dumas una sana simpatia verso il buon nemico: come non avere compassione per il perseguitato sceriffo di Nottingham in Robin Hood, come non rimanere affascinati dal cardinale Richelieau ne I tre moschettieri e come non amare la perfida Caterina de' Medici ne La regina Margot?

Se siete arrivati fino a questo punto, vuol dire che siete riusciti nell'intento di cucinarvi un bel romanzo in puro stile Dumas, ma non vorrete mica rovinare il tutto servendolo in condizioni non appropriate? Perché il vero punto di forza dei libri di Dumas è il modo in cui viene servito il piatto, ovvero la Storia. Stravolta, la Storia, ma pur sempre rispettata, per dare spazio ad intrighi, complotti, storie d'amore, attraverso descrizioni minuziose e leggere, un linguaggio semplice e scorrevole e un narratore coinvolgente e distaccato. Questo è Dumas. Semplice, no?

Dettagli del libro

  • Titolo: Il Tulipano nero
  • Autore: Alexandre Dumas
  • Traduttore: Raffaele Borrelli
  • Editore: Sellerio
  • Data di Pubblicazione: 2008
  • Collana: La memoria
  • ISBN-13: 9788838922695
  • Pagine: 338
  • Formato - Prezzo: Brossura - 12,00 Euro

22 giugno 2009

Fondamenta degli incurabili - Iosif Brodskij

«Il pizzo verticale delle facciate veneziane è il più bel disegno che il tempo - alias - acqua abbia lasciato sulla terraferma, in qualsiasi parte del globo». Parlare di Venezia significa parlare di tutto – e in particolare della letteratura, del tempo, della forma, dell’occhio che la guarda. Così è per Brodskij in senso pienamente letterale. Questa divagazione su una città si spinge nelle profondità della memoria del pianeta, sino alla nascita della vita dalle acque, da una parte, e, dall’altra, nei meandri della memoria dello scrittore, intrecciando alla riflessione le apparizioni nel ricordo di certi momenti, di certi fatti che per lui avvennero a Venezia. C’è qui, come sempre in Brodskij, l’immediatezza della percezione e il gioco fulmineo che la traspone su un piano metafisico. E, per il lettore, quella percezione, quel contrappunto di immagini e pensieri intriderà d’ora in poi il nome stesso di Venezia. Fondamenta degli Incurabili, presentato a Venezia nel 1989 in edizione fuori commercio, è stato arricchito dall’autore per questa che è la prima edizione pubblica in tutto il mondo.

Recensione

Una volta, sentendosi domandare "cosa mai ci trovasse di tanto straordinario in Venezia, soprattutto in una stagione così poco affascinante come l'inverno", Brodskij cominciò a riflettere cercando di trovare, tra le tante possibili che gli venivano in testa, una motivazione colta e circostanziata che potesse essere una risposta all'altezza. Quando però si accorse degli sguardi scettici di quelli che erano con lui, in attesa di tale "rivelazione", capì che probabilmente doveva evitare voli pindarici. Doveva essere concreto e diretto. Doveva cioè rispondere con una fascinazione. E rispose.
"Be', è qualcosa come Greta Garbo, al bagno".

Reincontrare un libriccino così, dopo tanti anni, può procurare delusioni inattese. La lettura più attenta (già avvertita) del secondo passaggio può essere pericolosa. Può cancellare le tracce di ricordi antichi se non corrispondessero più agli attuali. Può stravolgere quel sedimento di emozioni provate e messe via.
Perché Fondamenta degli Incurabili è esattamente questo: il racconto, lungo e disteso, nebbioso e notturno, di una fascinazione chiamata Venezia. In tale fascinazione, però, non ci sono consolatorie immagini da innamorato (Brodskij confessa di essere stato fedelissimo alla sua città adottiva, molto più di quanto sarebbe potuto essere per una donna), non banalizza mai, non scende a patti con considerazioni che potremmo aver visto letto o conosciuto.
Perché uno che definisce i palazzi sul Canal Grande come una infilata di "testiere di letto" ti fa capire di essere già oltre, di aver colto quell'altrove che di Venezia ti scuote, se solo riesci a coglierlo.

Proprio perché Venezia è per sua natura una sorta di sceneggiatura vivente, è precisamente nei raccordi tra le varie "inquadrature", nel "ritmo" del montaggio, che va cercata l'essenza ultima del luogo. Non è più la storia che fa testo, non sono più l'arte o l'architettura, non sono coloro che la abitano. Venezia non è più, Venezia è ancora, visibile e rivedibile all'infinito, a patto che si abbia occhio lucido e decentrato per vedere.
Guardare oltre, superare l'effimero perfetto della sua teatralità, sbirciare dentro le finestre, buttare in acqua la retorica della sacralità del luogo e affidarsi ai riverberi delle nebbie, alle durezze delle passeggiate di pietra, al rigore invernale del termometro. All'umido, a quell'afrore di bagno, se dentro ci trovi appunto Greta Garbo.

Brodskij allora perfeziona una forma di omaggio onirico ma non per sottrarsi a qualcosa, ad una qualche forma di realtà impossibile. Casomai lo fa come unica, ultima difesa nei confronti di un'ossessione che non passa, di quella fedeltà estrema ed entusiasmante. Con la durezza ed il cinismo che qualsiasi amore, vero e duraturo, sa riconoscere in se stesso.

Perché in un libro che nasce appunto come l'omaggio ad una, anzi "alla", città amata, potrebbe sembrare davvero strano (per non dire stupefacente) non trovare praticamente alcun riferimento alla toponomastica, pochissimi i luoghi (i tratti) citati in maniera riconoscibile. Tutto è evocazione, tratteggio nebbioso (l'umidità incombe, come abbiamo visto, persino tra le parole stesse, il bagno della Garbo...), miraggio della memoria o di un racconto amoroso che si fa impalpabile. Velo.
Sfuggente è l'aggettivo adatto: sfuggenti sono le parole (per quanto presentissime), sfuggenti le definizioni (e qui sì, si lascia andare il sogno), sfuggente l'animo con cui si riesce a guardare questa città. Come di figura amata di cui non si possa (voglia?) dire troppo per non esporla alla voglia effimera del voyeur.

Insomma, e infine, questa rilettura mi ha dato molto più di quello che avevo avuto la volta precedente. Al rischio della delusione ha saputo contrapporre il pieno di un grandissimo sempiterno amore.

Dettagli del libro

  • Titolo: Fondamenta degli Incurabili
  • Titolo originale: Fondamenta degli Incurabili
  • Autore: Iosif Brodskij
  • Traduttore: Gilberto Forti
  • Editore: Adelphi
  • Data di Pubblicazione: 1991
  • Collana: Piccola Biblioteca Adelphi
  • ISBN-13: 9788845908089
  • Pagine: 108
  • Formato - Prezzo: Brossura - 8,00 Euro

20 giugno 2009

Cecità - José Saramago

In una città qualunque, di un paese qualunque, un guidatore sta fermo al semaforo in attesa del verde quando si accorge di perdere la vista. All'inizio pensa si tratti di un disturbo passeggero, ma non è così. Gli viene diagnosticata una cecità dovuta a una malattia sconosciuta: un "mal bianco" che avvolge la sua vittima in un candore luminoso, simile a un mare di latte. Non si tratta di un caso isolato: è l'inizio di un'epidemia che colpisce progressivamente tutta la città, e l'intero paese. I ciechi, rinchiusi in un ex manicomio e costretti a vivere nel più totale abbrutimento da chi non è stato ancora contagiato, "scoprono - come ha scritto Cesare Segre - su se stessi e in se stessi, la repressione sanguinosa e l'ipocrisia del potere, la sopraffazione, il ricatto e, peggio di tutto, l'indifferenza". Saramago denuncia con intensità di immagini e durezza di accenti la notte dell'etica in cui siamo sprofondati. E, paradossalmente, è proprio il mondo delle ombre a rivelare molte cose sul mondo che credevamo di vedere.

Recensione

In una sola parola: SUPERLATIVO! Non avevo mai letto nulla di simile e penso che raramente succederà di nuovo. Le emozioni e i sentimenti contrastanti che suscita questo libro mi hanno colpito dritto al cuore e allo stomaco. Sgomento e avversione, attrazione e seduzione: l'ago della bilancia non è mai fermo ed è difficile esternare ciò che esattamente si prova senza apparire contraddittori.
Questo libro è un capolavoro come pochi e il suo autore è geniale. Chiunque sia dotato di un minimo di senso civico dovrebbe leggerlo; dopo, guarderà il prossimo e il mondo intero con occhi diversi. Perché la 'cecità' è tremenda ma guardare e non vedere è un male impossibile da combattere e molto più diffuso di quanto si creda.

Cosa succederebbe agli uomini se una terribile malattia li colpisse e tutti diventassero ciechi? Quali sarebbero i problemi da affrontare, come ci si organizzerebbe per garantire la sopravvivenza? A che bisogni si darebbe la priorità? E' inutile stare qui a raccontare una trama, Cecità è un modo di essere. Ogni uomo è a suo modo cieco e Saramago ce ne dà una dimostrazione magistrale.

Questo libro è al tempo stesso bellissimo e bruttissimo, racconta l'amore e l'odio, la barbarie e la tenerezza.Questo libro è tutto quello che non dovrebbe mai succedere nel mondo e tutto quello che, invece, potrebbe accadere.
Questo libro è egoismo e generosità, voglia di vivere e voglia di morire, tedio e piacere. In questo libro ci sono io, ci sei tu, c'è il mondo intero e tutti dovrebbero saperlo.

Dettagli del libro

  • Titolo: Cecità
  • Titolo originale: Ensajo sobre a Cegueira
  • Autore: Josè Saramago
  • Traduttore: Rita Desti
  • Editore: Einaudi
  • Data di Pubblicazione: 1995
  • ISBN-13: 9788806193683
  • Pagine: 315
  • Formato - Prezzo: Brossura - 11,50 Euro

19 giugno 2009

Il ladro di libri incompiuti - Matthew Pearl

Boston, 1870. James Osgood, piccolo e rispettato editore che ha l'esclusiva per l'America dei romanzi di Charles Dickens, attende con ansia l'arrivo per nave delle nuove puntate del suo ultimo capolavoro, "Il mistero di Edwin Drood". Quando apprende che Daniel Sand, il giovane impiegato incaricato di recuperare il prezioso manoscritto, è stato ucciso, il testo è stato rubato e Dickens è morto all'improvviso nella sua casa di Rochester, a Osgood non resta che partire per l'Inghilterra. Al suo fianco Rebecca Sand, sua collaboratrice e sorella di Daniel. Solo recuperando il finale che forse Dickens aveva già scritto, Osgood potrà salvare la sua casa editrice e scoprire chi ha ucciso Daniel. Nel suo terzo romanzo, Matthew Pearl fonde con estrema abilità la ricostruzione storica e i meccanismi del giallo, in una girandola di false piste, identità scambiate e sorprendenti rivelazioni degna di un maestro come Dickens.

Recensione

Questo è il terzo libro di Matthew Pearl che leggo. O -meglio- tento di leggere, nel senso che, mentre il primo libro Il Circolo Dante mi era sembrato interessante e originale per quanto un po' noiosetto, ero stata "costretta" ad abbandonare a meno della metà la seconda opera di Pearl, L'Ombra di Edgar, perché più soporifera di un container di camomilla. Nonostante queste poco incoraggianti premesse mi sono lasciata tentare da questo nuovo romanzo, attirata soprattutto dal titolo originale (The Last Dickens) che contiene il nome di uno dei miei scrittori preferiti. Purtroppo anche in questo caso il bilancio finale non è esaltante, e forse anche un un po' ingiusto per un libro che ha una trama originale e ben congegnata, personaggi interessanti e descrizioni attente e accurate... Eppure il romanzo, nonostante tutte queste qualità, risulta implacabilmente lento e noioso.

L'idea di base è potenzialmente molto interessante in quanto parte da uno dei più grossi misteri della letteratura occidentale: qual è la sorte del giovane Edwin Drood, protagonista dell'omonimo romanzo di Dickens, rimasto a metà a causa della morte del suo autore? E se la storia di Edwin non fosse totalmente di fantasia, ma ispirata a un controverso caso di cronaca rimasto insoluto? Da queste premesse Pearl ricostruisce con molta accuratezza la Londra dickensiana, con le sue luci e le sue ombre, la sordida realtà degli spacciatori e dei consumatori d'oppio, per svelare un mistero che ha le sue radici nell'ultimo tour di letture che Dickens tenne negli Stati Uniti tre anni prima di morire. Da questo punto di vista Pearl è un maestro della fiction letteraria, in quanto molto bravo nel ricreare le atmosfere di un'epoca passata combinando in modo più che credibile fatti realmente accaduti e sequenze frutto esclusivamente della sua immaginazione. Il problema è che lo stile dell'autore mi è sembrato piatto, non emozionante, incapace di creare suspence per tutto il libro escluse le concitate sequenze finali. Mi sembra una grave pecca per un libro che si promette di "catturare il lettore e non lasciarlo andare fino alla fine".

Dettagli del libro

  • Titolo: Il ladro di libri incompiuti
  • Titolo originale: The Last Dickens
  • Autore: Matthew Pearl
  • Traduttore: Zuppet R.
  • Editore: Rizzoli
  • Data di Pubblicazione: 2009
  • Collana: Rizzoli Best
  • ISBN-13: 9788817032339
  • Pagine: 482
  • Formato - Prezzo: Rilegato, sovraccoperta - 18.50 Euro

Il dilemma dell'onnivoro - Michael Pollan

Che cosa mangiamo, e perché? Sono domande che ci poniamo ogni giorno, convinti che per rispondere basti sfogliare la rubrica di un giornale, o ascoltare per qualche minuto l'ultimo imbonitore nutrizionista ospitato in tv. Ma se quelle domande le si guarda un po' più da vicino, come fa Michael Pollan in questo suo documentato saggio, forse il primo sull'argomento a non prendere alcun partito, se non quello dell'ironia e del buon senso, le risposte appaiono meno scontate. Che legga insieme a noi le strepitose biografie del defunto pollo "biologico" riportate sulla confezione di petti del medesimo, o attraversi le lande grigie e fangose del Midwest, dove milioni di bovini nutriti a mais e antibiotici vivono la loro breve esistenza fra immensi stagni di liquame, Pollan arriva immancabilmente a conclusioni di volta in volta raccapriccianti o paradossali. Il problema, che Pollan descrive con rigore ed estrema chiarezza, è che trovarsi al vertice della catena alimentare - cioè poter mangiare, a differenza delle altre specie, pressoché tutto - offre all''homo sapiens' numerosi vantaggi, ma lo espone anche a quasi infinite possibilità di manipolazione. Per condurre una vita meno insana, dunque, l'onnivoro ha bisogno di sapere, sui propri appetiti e sui propri meccanismi adattivi, almeno quanto ne sanno gli strateghi dell'industria alimentare. In altre parole, ha bisogno di un libro come questo.

Recensione

Michael Pollan è un giornalista, corrispondente del New York Times e professore di giornalismo alla Berkley University, ma questo libro non è solamente un’inchiesta giornalistica, è un vero e proprio viaggio alle radici del nostro essere. Il dilemma dell’onnivoro è sostanzialmente la scelta che l’uomo, in quanto animale in grado di mangiare praticamente tutto (esclusa l’erba) deve compiere e compie quotidianamente per scegliere come e di cosa alimentarsi. La domanda che però ciascuno di noi si trova di fronte in un mondo industrializzato non è più solamente “cosa mangiare”, ma “da dove proviene ciò che mangiamo”? Pollan effettua in prima persona questo viaggio a ritroso nella catena alimentare, basandosi sui quattro percorsi che il cibo può compiere per giungere fino alla nostra tavola.

In primis il modello più diffuso, quello della catena alimentare industrializzata, basata sulla coltivazione e l’allevamento intensivo e monocolturale, alla base della quale regna sovrano il mais con tutte le sue migliaia di derivati (sarete stupiti, o almeno io lo sono stato molto, di scoprire che in pratica in ogni alimento conservato, surgelato o contenuto in qualsiasi tipo di contenitore vi è una larga parte di derivati del mais). Come è possibile che un hamburger al cliente costi meno di un dollaro (o meno di un euro in Europa), quando alle sue spalle c’è un animale che deve essere nutrito ed allevato, un processo di trasformazione dello stesso animale, un sistema di distribuzione della merce e un processo di vendita? Come è possibile fare rientrare tutti questi passaggi in un prezzo finale tanto ridotto? È il sistema industriale che punta al consumo di grandi quantità di merci e di energia per la produzione, che abbassa sempre più i prezzi finali al consumatore ma non tiene in alcun conto i costi ambientali, sanitari ed energetici che ne derivano.

Esiste un'alternativa a questo modello oggi dominante, sicuramente negli Stati Uniti, ma sempre più anche qui da noi, dove prodotti pronti e surgelati stanno sempre più conquistando spazi nelle cucine delle famiglie? Pollan ripercorre il viaggio della produzione biologica per scoprire che l’idealizzazione che ne abbiamo è in realtà largamente effimera. In realtà il biologico si sta muovendo sempre più su logiche di mercato per arrivare alla grande distribuzione e al grande pubblico. Quali compromessi comporta questo percorso? I vantaggi sono reali o c’è un rischio di omologazione in una logica industriale che ne vanifica i benefici?

Il terzo percorso riguarda il modello di produzione pastorale e agricolo. Schiettamente naturale, rivolto a mercati di scala locale e alla piccola distribuzione. Basato sulla biodiversità, sulla conoscenza diretta tra produttore e consumatore e sulla trasparenza del processo produttivo e distributivo della merce. È un modello estendibile su scala maggiore di quanto non sia oggi o è destinato a rimanere un sistema di nicchia per i pochi che hanno voglia di “chiamarsi fuori” da un sistema industriale (non necessariamente i più ricchi)? Un sistema radicale e fortemente basato su convinzioni politiche e sociali può effettivamente essere un sistema di mercato e quali vantaggi porta al consumatore che è costretto a spendere sensibilmente di più per il prodotto finito? Il prezzo finale, però, va calcolato solo sulla merce o considerando anche il risparmio che questo sistema produce sull’ambiente, sulla salute pubblica e sul consumo di energia?

L’ultimo viaggio di Pollan lo porta alle radici del nostro essere. Al cibo procurato in prima persona tramite la caccia e la raccolta di frutti e funghi spontanei nei boschi. Interrogandosi profondamente sui dilemmi etici che ciò comporta, Pollan ci porta alle domande essenziali del nostro essere. Cosa vuol dire alimentarsi, quali sono i processi culturali e sociali che stanno alla base dell’alimentazione? Cosa è giusto mangiare, ed è veramente possibile porsi una domanda del genere? L’etica umana può essere applicata al mondo naturale e con che conseguenze?Queste poche righe potrebbero fare pensare ad un saggio filosofico, o ancor peggio ideologico, scritto con intento didattico e predicatorio, ma invece Pollan non cade in alcun momento in questo errore.

L’intero libro è scritto in maniere scorrevole e divertente, non annoia mai e anzi c’è sempre curiosità nello scoprire i viaggi del cibo che arriverà sulla nostra tavola. Che sia l’ambiente disumano degli allevamenti intensivi o il paradiso della fattoria della nostra immaginazione, Pollan non smette mai di interrogarsi, ma anche di interrogarci, sui benefici e i costi dei vari sistemi, trovando in ciascuno i pro e i contro. È un libro esaltante di grandissimo piacere nella lettura, non per niente di grande successo internazionale. Certamente ha una sua idea di fondo nella necessità di un’alternativa il più ampia possibile al modello dominante industriale e al recupero di un atteggiamento responsabile al consumo, ma che non cade mai nella facile ideologia o nella predica moralistica di chi si crede migliore di altri per le sue scelte.
È allo stesso tempo un’inchiesta giornalistica di altissimo valore, documentata da centinaia di citazioni e articoli e da un profondo studio e approfondimento degli argomenti. È però soprattutto un viaggio personale, portato avanti dall’autore in prima persona per alcuni anni, necessari per risalire alle varie catene alimentari e una profonda riflessione personale sull’atto di mangiare,. Un atto che noi diamo oggi per scontato, ma che ci riporta alla nostra più profonda essenza di essere umani animali e che ha conseguenze sempre più evidenti sull’intero sistema naturale, ambientale ed economico.Un saggio che a dispetto della mole di pagine (quasi 500) si divora in pochissimi giorni e che, almeno personalmente, è sicuramente tra i libri più interessanti e più intelligenti letti negli ultimi anni. Questo perché apre nuove visioni, prospetta riflessioni personali, analizza realtà che viviamo ogni giorno e non dà soluzioni precostituite e ideologiche, ma sviluppa il nostro impegno critico e la nostra libera scelta, come singoli individui all’interna di un panorama globalizzato e complesso in cui si inseriscono migliaia di fattori eterogenei.

Dettagli del libro

  • Titolo: Il dilemma dell'onnivoro
  • Titolo originale: The Omnivore's Dilemma
  • Autore: Michael Pollan
  • Traduttore: Luigi Civalleri
  • Editore: Adelphi
  • Data di Pubblicazione: 2008
  • Collana: La collana dei casi
  • ISBN-13: 9788845922886
  • Pagine: 487
  • Formato - Prezzo: Brossura - 28,00 Euro

18 giugno 2009

Una passione sinistra - Chiara Gamberale

La vita di Nina e Bernardo è ispirata da grandi ideali di sinistra, quella di Giulio e Simonetta da principi concreti di destra. Due coppie, insomma, con aspirazioni diverse ed esistenze fra loro apparentemente inconciliabili: ma uno scherzo del destino le fa incontrare e rivela loro una sotterranea possibilità di contatto... Complice la Grande Storia, quella delle vicende politiche e sociali di un'Italia in piena fase di transizione, dalla caduta del Muro di Berlino al giorno esatto dell'ultima vittoria elettorale di Silvio Berlusconi, Chiara Gamberale racconta, con ironia e disincanto, la storia di un'attrazione che ha come suo insolito presupposto il disprezzo reciproco. Una passione che non dovrebbe esplodere eppure esplode, una passione scomoda, ambigua: sinistra. Senza presupposti romantici, ma romantica suo malgrado: di fatto capace di travolgere differenze ideologiche e culturali e di insinuarsi nelle certezze di personaggi che, per la prima volta, si trovano così di fronte a un dubbio. A fulminante dimostrazione di come, oggi più che mai, tutto quello che più rifiutiamo - su un piano personale che si fa immediatamente politico - in qualche modo ci riguarda. E forse ci assomiglia.

Recensione

Chi non ricorda l'inserto di Palombella rossa in cui quel gruppo di quarantenni sfioriti parlava di sé in maniera triste e trita? Ecco, quelle brutture sembrano essersi sdoganate anche per i trentenni. Di oggi. E Gamberale riesce, con la leggerezza del tocco, una scrittura fresca e puntuale, senza vecchi giovanilismi, a raccontarci tutto: in un centinaio di pagine c'è dentro davvero tanta materia.

Il Muro ("quel" muro), la nostra società italiana marcita, la politica finita nello sciacquone per calcolo, e le parole che sono importanti, sono importanti, sono importanti. Ogni capitoletto è punteggiato di estratti di discorsi pubblici di uomini politici (?) degli ultimi venti anni, come un contraltare, come il controcanto: leggeteli a voce alta, in qualche caso rabbrividendo. Cito, letteralmente: "Ma dov'è? Dov'è che abbiamo sbagliato secondo te?".

Infine, la sua grande efficacia sta proprio nella brevità, nel tratto fulmineo. Il fatto che fosse un "Corto di carta", uscito in edicola con un quotidiano, non può essere detrimento del libro o dell'autrice quanto piuttosto del sistema che cerca di tirar su ciccia da qualsiasi cosa e per più volte: si chiama, tecnicamente, "spremere il limone" oppure "mungere la vacca". Bello il librino. Brava Gamberale.

Dettagli del libro

  • Titolo: Una passione sinistra
  • Autore: Chiara Gamberale
  • Editore: Bompiani
  • Data di Pubblicazione: 2009
  • Collana: AsSaggi
  • ISBN-13: 9788845262162
  • Pagine: 106
  • Formato - Prezzo: Brossura - 9,50 Euro

17 giugno 2009

Intervista a Lara Manni, autrice del romanzo "Esbat"

Lara Manni ha trentadue anni e scrive fanfiction. Il suo blog è www.laramanni.wordpress.com


Il libro:

Ha cinquant'anni, disegna manga, è conosciuta con il nome di Sensei - maestra - e ha fan sparsi ovunque nel mondo. Inventa storie piene di buoni sentimenti ambientate in mondi fantastici, e da anni disegna La leggenda di Moeru, un manga di successo planetario di cui ora si sta accingendo a finire le ultime tavole. La Sensei è una donna superba che gestisce il proprio successo con orgoglio e sapienza: poche apparizioni pubbliche la avvolgono in un'aura di mistero e le permettono di non entrare in contatto coi propri lettori che disprezza profondamente. Una notte di luna piena, proprio mentre sta per mettere la parola fine al suo manga più celebre, riceve la visita di un ospite inatteso: è Hyoutsuki-sama, principe demoniaco antagonista di Moeru. La Sensei crede di essere impazzita, ma ben presto si convince che Hyoutsuki-sama è un'entità reale, che ha abitato per anni il mondo che ha creato e che ora ha attraversato per reclamare un finale diverso. La Sensei se ne innamorala l'amore con lui e gli propone un patto: un finale diverso in cambio di altri sei mesi in cui il demone verrà richiamato e sarà a sua disposizione per una notte al mese. Per far ciò è necessario eseguire un rito - Esbat - che richiede alla Sensei di sacrificare parti del proprio corpo. Dopo essersi tranciata alcune dita di una mano e di un piede, la Sensei decide di "sacrificare" i propri fan, che attira a casa con la promessa di un disegno autografo. 


Intervista:

1. Intanto ciao, Lara, e grazie per la tua disponibilità.
Grazie a te! Senza i lettori, cosa sarebbe mai un libro?

2. Volevo iniziare porgendoti i miei complimenti per il tuo primo traguardo: già passare dall’Erika Fanfictions Page alla Feltrinelli non è esattamente da tutti. Puoi raccontarci com’è andata?

Così: un lettore della fan fiction ha passato il link a una persona che lavora nell'editoria e che si è interessata della storia sia presso un agente che presso la casa editrice. Poi ci ho lavorato molto: per passare dalla fan fiction al romanzo sono state necessarie cinque stesure, anche se la storia in sè non è cambiata moltissimo, in apparenza. E' stato un lavoro di linguaggio e di psicologia dei personaggi, soprattutto.

3. Una domanda un po’ banale: come ti è venuta l’idea per la tua storia?

Non è banale, anzi è divertente. L'idea è venuta chiacchierando via mail con un'amica e commentando un manga, uno dei molti che a metà della storia sterzano verso la chiave "e tutti divennero buoni e vissero felici e contenti". Le ho scritto: "immagini cosa accadrebbe se un personaggio entrasse dalla finestra e...?". Ecco.

4. Qual è il tuo personaggio preferito del romanzo? E quello che è stato più difficile delineare?

Forse la mia preferita è la Sensei. Perchè è un personaggio ambiguo, sicuramente negativo, sicuramente crudele, ma anche colmo di infelicità. E di potere. E di frustrazione. L'ho amata molto, mentre scrivevo, proprio per questo. Il più difficile è Yobai, senza dubbio. Perchè non volevo in nessun modo delineare il solito "cattivo": volevo che fosse plausibile, volevo che ci si potesse identificare in lui mantenendo contemporaneamente le dovute distanze. In assoluto, i personaggi non umani sono complessi: perchè assumere il punto di vista di un Demone, per me, significa pensare in un altro modo e agire in un altro modo. Anche parlare con un ritmo diverso. Vedere con altri occhi. Non è proprio facile, ecco.

5. C’è un personaggio in particolare in cui c’è molto di te?

In parte, Ivy. Molte delle cose che le accadono sono capitate anche a me. Il suo non voler essere un'eroina, ma trovarsi in una situazione ingovernabile, è qualcosa che sento mia. Ma c'è una parte della Sensei, anche, in me: in particolare, la famigerata vocina che richiama all'ordine. Anche se io me la immagino come un gatto fantasma.

6. Nel romanzo la protagonista opera alcuni rituali della religione wiccan. Posso chiederti qual è il tuo rapporto con questo movimento neopagano?

Molta curiosità. Ho letto diversi testi di magia fin da quando ero adolescente, e conosco alcuni wiccan. Mi incuriosiscono quasi tutte le figure che ho citato: Crowley, per esempio. Però non sono una pagana praticante: la Wicca è stata solo uno spunto, non ho mai pensato di riportarne fedelmente il pensiero o i riti.

7. Spostando il discorso da Esbat alla sua autrice… qual è il tuo rapporto con la scrittura?

Centrale. Insomma, negli ultimi due anni non ho fatto altro che scrivere, tutti i giorni. E quando non scrivevo, editavo. In questo momento sono un po' smarrita, ma continuo a prendere appunti sui miei taccuini. Non si sa mai...

8. Quali sono gli autori o le opere a cui devi qualche tributo per il tuo libro?

Uno su tutti: Stephen King. Come si sarà capito, una mia passione totale. A King ho reso omaggio esplicitamente, citando Misery (e anche Carrie, nel nome dato ad un personaggio). Quel che gli devo è tantissimo: soprattutto, ho fatto mia l'idea di scrivere un horror che non sia fatto solo di "effetti speciali", ma dove il sovrannaturale si innesta nella vita di tutti i giorni...

9. Mm…qualche piccola anticipazione sul secondo romanzo della trilogia? Si sa già qualcosa su una sua futura pubblicazione?

Veramente no. Io ho scritto i tre libri ma ancora non esiste una contrattualizzazione per Sopdet e Tanit. Posso dire che sono tre storie collegate ma autonome. E che nella terza si spiegheranno molte cose che accadono in Esbat. Incrociamo le dita.

Allora tanti auguri, Lara. Grazie per la disponibilità!

Intervista di Sakura87



 

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