Alternando i toni dissacratori e ironici di sempre a un incedere più amaramente assorto, Silvia Ballestra ci consegna un romanzo rivelatore delle troppe rimozioni della nostra storia recente, ricordandoci che è allora che l’Italia, fra silenzi e superficialità, ha imboccato la strada del declino.
Recensione
Ci sono solo un paio di modi per raccontare un'epopea, sia pure di provincia quale questa: o la racconti da dentro ma allora devi essere Omero (o, al massimo, Tolstoj), oppure la guardi da lontano, da fuori, e la interpreti con distacco. Con la distanza della separazione.
Silvia Ballestra ha fatto così. Ha scelto poi l'architettura della suite: tre sono i movimenti (dispari: 1981, 1983 e 1985) che, raccontando se stessi, leggono a ritroso eventi precedenti. Cittadina marinara San Benedetto del Tronto (in acronimo, Sbt), nascosta in fondo alla carta della regione Marche, ormai quasi in odore di sud: una semi-terronia, sollucchero per leghisti di ritorno. Che invece le sue radici, ripiantumate dal romanzo di Ballestra, le ritrova tutte in una stagione di lotte politiche importantissime, di civismo diffuso, di solidarietà popolare autentica. Ancorché giovanile. Perché sono i giovani sanbenedettesi i veri motori della Storia romanzesca qui narrata. Sono gli anni Settanta che si dispiegano, a Sbt, partendo da un mito fondativo dolorosissimo e, per questo, indelebile: il naufragio del peschereccio "Rodi" il 23 dicembre 1970.
Un relitto rovesciato che affondava lentamente davanti alla costa della città. Tanto vicino che sembrava lo si potesse toccare. Nessuno ebbe il coraggio di farlo e vi morirono (per imperizia dei mancati soccorsi? per avidità di chi avrebbe potuto fornire mezzi alternativi a quelli preposti? per disorganizzazione delle Autorità? Eccetera direi) dieci persone o, meglio, sette morti e tre dispersi, come in una guerra. A quella vergognosa vicenda (dei soccorsi inviati quasi una settimana dopo; la "scusa" fu il mare troppo grosso) la città si ribellò in massa: blocchi stradali e ferroviari, proteste della popolazione, barricate e falò per le strade. E quei giovani di cui dicevo, quelli politicizzati, quelli di sinistra (erano gli anni di Lotta Continua), si fecero carico delle grida di dolore, interpretarono il lutto della città intera, seppero trasformare il malcontento e la ribellione in agire politico: da quei giorni di lotta e dall'attività politica di base dei mesi successivi nacque il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del settore pesca, che in Italia non c'era ancora.
Da qui o, meglio, nei deliri lisergici del protagonista del primo movimento assistiamo a come, nel giro di pochi anni, l'eroina inonda San Benedetto (la città sarà, proporzionalmente, una delle capitali nazionali del flagello droga, al livello delle metropoli come Roma o Milano) spazzando via un'intera generazione (senza nemmeno Videla, senza voli della morte, bastavano siringhe piene della sostanza "giusta"), portandosi dietro buona parte di quella consapevolezza ed impegno politici, distruggendo un tessuto sociale assolutamente sano e che si reggeva su valori forti seppur tradizionali, arrivando infine alla perdita di ogni innocenza.
Quando la città diventa teatro del rapimento di Roberto Peci (fratello del primo pentito BR, Patrizio) e poi assiste, sgomenta ed impotente, al suo folle assassinio, l'innocenza scompare e si chiude un'epoca. Finisce un mondo. Il seguito, così come il romanzo tratteggia - secondo movimento 1983 -, sarà la fuga nel personale (che sarà pure politico, ma "solo" politico singolare, di individuo) con l'educazione sentimental-sessuale di Mari, quindicenne alle prese con i primi turbamenti, con le delusioni procurate dai maschietti, con la difficoltà di rapportarsi all'istituzione-famiglia, con il soccorso finale (o la resa) a quelle anime morte con una siringa nel braccio. Nel terzo atto entra in scena, celata come si deve dietro il filtro della "letteratura", l'autrice e la voce in prima persona declinata al "tu" si tinge di una certa malinconia o di un'amarezza che suona invece maturità.
E' l'età adulta, è la distanza, è quel distacco di cui parlavo all'inizio. Lo sguardo da lontano (Ballestra vive a Milano ormai da parecchi anni) che segna una cifra emotiva, prima ancora che stilistica: perché lo sguardo ha bisogno della messa a fuoco e la voce necessita di spazio per raggiungere il cuore del lettore. Per concupirne i ricordi. Alla fine, la Storia, questo romanzo, tocca le corde della memoria comune (quella del Paese e non del "paese") perché racconta qualcosa che è accaduta a Sbt e, in maniera più che identica, in ogni altro angolo d'Italia. Discoteche e "look parade", generazioni che si susseguono e che, della precedente, sembrano conservare il peggio o il nulla o chissà. Così coltiviamo indignazione, malinconia, partecipazione, incazzatura, dolore. Poi disimpegno, solitudine, vacuità.
Gli anni Ottanta ormai sono lontani, si sono portati via tutto, come una piena. Che però è un vuoto. Profondo, infinito. Definitivo. Ma, come Ballestra, non siamo tristi: "tempo un paio d'anni e vieni via pure tu", si dice nel finale. Siamo venuti via. Scappando. E lontani.
Dettagli del libro
- Titolo: I giorni della Rotonda
- Autore: Silvia Ballestra
- Editore: Rizzoli
- Data di Pubblicazione: 2009
- Collana: La Scala
- ISBN-13: 978-88-17-03660-3
- Pagine: 376
- Formato - Prezzo: Rilegato, sovraccoperta - Euro 18,50
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