Ma la crisi provocata dalla venuta del "libero" Giacinto coinvolge anche lui. E la soluzione verrà non dal complesso dei fatti ma da quello della coscienza. Alla base dei libri di Grazia Deledda c'è sempre l'urto tra il vecchio e il nuovo, tra l'avanzante civiltà moderna e la sopravvivenza dell'antico mondo pre-borghese. La legge dei padri, le consuetudini e i tabù di un tempo sono ancora saldamente inseriti negli animi: perciò chi li contravviene si sente tutto pervaso di orrore per la colpa che sa di commettere e alla quale non può né vuole resistere.
Come nei grandi romanzieri russi, così nella Deledda il peccato rappresenta una prova che impegnando tutte le energie morali dell'uomo ne esalta al più alto grado l'umanità.
Recensione
Come tre figure arcaiche riemerse dalle nebbie cimmerie di un tempo che non c'è più, ancestrali e archetipiche, quasi come tre Parche, così emergono col loro sguardo severo le tre dame Pintor, Ruth, Ester e Noemi, nella narrazione di Grazia Deledda. La trama e lo stile ricordano una situazione della periferia regionale italiana, la Sardegna di inizio '900, che da tempo ha perso in buona parte il suo carattere di luogo isolato e distante dalla modernità, ma nel 1913, anno di pubblicazione del romanzo di Deledda, i cambiamenti sociali che segnano l'Italia della Belle Époque dovevano apparire in netto contrasto con il resto del territorio nazionale.
Per molti aspetti il contesto è assimilabile - da un punto di vista dell'analisi sociale - alle tematiche verghiane del Ciclo dei Vinti: il tentativo di cambiamento e di inserimento in un tessuto sociale che non viene riconosciuto come proprio, per quanto profondamente legato alla tradizione, comporta sempre un pagamento in termini di dolore e sofferenza. La famiglia di nobili decaduti, i Pintor, nella persona delle tre sorelle legate da un vincolo indecifrabile, riuscirà a liberarsi dal peso della propria maledizione genetica solo accettando la pur dolorosa consapevolezza che il mondo, da cui provengono e nel quale erano figure socialmente rilevanti, sta velocemente scomparendo.
Tutto il dipanarsi della trama si sviluppa attraverso la disposizione empatica del "servo" Efix, elemento residuale di un mondo feudale al tramonto, fedele per scelta alle sue "dame", anche quando sa benissimo che non resta loro più nulla dell'antico lignaggio. Quasi come uno spirito del focolare, Efix veglia sul poderetto, unico rimasto del patrimonio terriero un tempo fiorente, di cui conosce ogni angolo e ogni pianta, rinuncia al proprio compenso e soffre per la rovina della dimora delle sue signore, con le balaustre di legno marcite e le finestre senza vetri. Visto il ruolo che aveva ricoperto nella fuga della quarta sorella, Lia, dalle grinfie del "padre-padrone", e il delitto di cui s'era macchiato, Efix sogna il riscatto sociale, prima con l'arrivo del nipote Giacinto, poi con la proposta di matrimonio di don Predu a Noemi, la più giovane e bella delle sorelle.
Se le speranze riposte in Giacinto si rivelano infondate perché invece di prodigarsi per ricostruire il buon nome dei Pintor, il ragazzo, cresciuto al di fuori di quella civiltà contadina, non riuscirà a far altro che contribuire ad affossare la famiglia, provocando anzi con il dispiacere della truffa la morte di Ruth, dall'altro lato la sua vergogna diventerà il motore di un meccanismo di espiazione, oltre che per se stesso, tanto per Efix, che potrà fare ammenda con il suo pellegrinaggio da mendico delle proprie colpe, per poi tornare al podere ormai non più delle dame Pintor, quanto per le due sorelle rimaste: sarà per la scelta di Giacinto di sposare la giovane Grixenda, di famiglia umile, che Noemi capirà che l'unica prospettiva che resta, per sé e la propria famiglia, è il matrimonio di convenienza, rinunciando alle pretese di nobiltà.
Per tutti dunque la storia famigliare e quella personale si intrecciano trovando il bandolo della matassa nell'esperienza catartica della sofferenza e della rinuncia come unica occasione di progresso.
E in tutta la vicenda un ruolo fondamentale è giocato dal panorama agreste in cui queste passioni sono ambientate. A differenza del mondo verista la natura di Deledda sembra, in una visione dolentemente panteista, partecipe e solidale con gli esseri umani: le montagne sempre identiche proteggono con la loro ombra la casa avita dei Pintor, sempre più cadente; i campi e i pascoli risuonano in sintonia coi racconti biblici del vagabondo cieco, i piccoli oggetti e le suppellettili sono compagni di vita per Efix: le pentole, le brocche, gli attrezzi, dai quali prenderà congedo, quasi fossero vivi di una vita propria e silente, in procinto di partire per l'ultima volta per la casa delle dame. Da dove parte, lì la storia ritorna alla conclusione, che nella morte di Efix vede lo svanire di un mondo, fatto di un impasto di vincoli sociali, relazioni e leggi indiscutibili.
Commovente nel sottofondo, in cui si percepiscono i legami atavici dell'autrice con le realtà che dipinge in un affresco vivido, quasi acquarellato, si sentono nella prosa di Grazia Deledda il respiro che spinge verso la novità e la modernità e nello stesso tempo la sapienza stilistica che permette di tratteggiare con pochi elementi i volti di personaggi tipici come l'usuraia Kallina, la comare Pottoi, le serve di casa, il giovane garzone Zuannantoni. Un tuffo coinvolgente tra gli echi e le immagini di un mondo contadino e popolare, di cui restano solo ormai ricordi intessuti di storia, rende il romanzo della scrittrice sarda ancora attuale, anche per un lettore del XXI secolo, e ne fa un classico, eterno come la fedeltà di Efix alle tre dame, che si spegne solo dinanzi alla morte.
Dettagli del libro
- Titolo: Canne al vento
- Autore: Grazia Deledda
- Editore: Garzanti
- Data di Pubblicazione: 2006
- Collana: I grandi libri
- ISBN-13: 9788811585510
- Pagine: XXVIII-215
- Prezzo: Brossura - 7,40 €
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