Angelo Ricci è nato nel 1964 a Novara. Vive tra il Piemonte e la Lombardia, in Lomellina. Dopo gli studi a Pavia e inseguendo la sua forte passione letteraria, affianca al lavoro di avvocato quello di operatore culturale.
E’ tra i fondatori dei premi letterari Tracce di Territorio e Tracce di Territorio – Pubblicare la Storia.
Di se stesso scrive:
Mi piacciono le città di confine.
Mi piacciono le zone di frontiera.
Quando scrivo, scelgo sempre di ambientare le mie storie in luoghi indefiniti.
E forse, proprio per questo, riconoscibili.
I territori lasciano in noi tracce idelebili.
E noi, a nostra volta, lasciamo tracce altrettanto indelebili nei territori che abitiamo.
Il libro:
Il romanzo ci porta a guardare scorci di vita di amici intenti nei loro “affari”, nei pensieri di una ragazza accusata di complicità in un reato terroristico, nell’ossessività di un ragazzo ventenne, obeso che ha appena perso la madre, nei dialoghi di due ragazze straniere e altro ancora attraverso una scrittura particolare. E’ l’avvicendarsi di storie personali che si toccano, si rilasciano e tornano ad intrecciarsi nella nebbia di una notte poco prima di Natale dei primi anni 2000.
Intervista:
La mia prima domanda riguarda indiscutibilmente il tipo di scrittura, a piccoli passi, con intermittenze tra il “dentro” ed il “fuori” del personaggio. E’ uno stile suo o dedicato solo a questo libro? E, di conseguenza, come mai ha scelto questa modalità?
Ogni essere umano trascina con sé il proprio passato. Anzi, il presente di ognuno di noi è il frutto del passato e porta al suo interno i germi del futuro. Proprio per questo, quando scrivo, mi piace contaminare il presente di ogni personaggio con rimandi al suo passato. È una struttura quasi cinematografica, una struttura turn over, che fa ricorso spesso alla tecnica del flashback. Anche il richiamo che faccio spesso a dialoghi apparentemente al di fuori della struttura temporale descritta in quel momento, ma che riportano alle esperienze del personaggio che sto descrivendo, risponde a questa esigenza: ognuno di noi, che piaccia o meno, vive del proprio passato e nel giudizio degli altri. Non è uno stile che ho utilizzato per questo romanzo. È proprio il mio stile.
Ma non è detto che possa subire mutazioni. Dipende dalla storia che voglio raccontare.
Ma non è detto che possa subire mutazioni. Dipende dalla storia che voglio raccontare.
Mi è piaciuta molto l’idea dei racconti che, apparentemente divisi tra loro, si toccano invece in qualche punto. E’ stata questa, un’esigenza dell’editore (è piuttosto risaputo infatti che i racconti sono molto meno vendibili dei romanzi e l’editore spesso chiede se, tra i racconti, c’è un filo conduttore) o della trama?
“Notte di nebbia in pianura” è nato così com’è. Volevo scrivere un romanzo a più voci, con situazioni apparentemente slegate ma unite da qualche cosa. Il mio scopo eraquello di creare un affresco della mia terra, che potesse però essere rappresentativo di qualunque altro luogo.
Come è nata l’idea del titolo? A me pare che c’entri con la trama proprio per quello svelare le situazioni ed i personaggi in modo lento, come se ci fosse nebbia appunto e si iniziasse a vedere di più, a capire di più, solo avvicinandosi. Oppure c’è un altro motivo?
Molti lettori mi hanno detto che, nella struttura del romanzo, la nebbia rappresenta un vero e proprio personaggio in più. La nebbia si muove come un deus ex machina, come un invisibile burattinaio, come un moloch che esige, alla fine, un tributo di sangue. Tributo di sangue banale e forse, proprio per questo, terribile nella sua normale quotidianità.
La realtà che ci vuole mostrare con questo libro è la sotto realtà che esiste di notte, quella nascosta e che spesso si finge di non vedere?
La notte ci spaventa. La notte rappresenta tutto ciò che non conosciamo. La notte è la negazione del giorno. Ma non dobbiamo dimenticare che tutto quello che accade di giorno ha le sue radici nella notte. Notte e giorno sono inscindibilmente legati e sono l’una lo specchio dell’altro. Come il bene e il male.
Ha dei libri, degli autori preferiti e/o ispiratori nel suo essere scrittore?
Mi hanno sempre affascinato lo stile febbricitante di Dostoevskij, la sensualità dei personaggi di Nadine Gordimer, la follia di Thomas Pynchon, la fede complessa di Graham Greene, la lucidità di Dürrenmatt, la tragica freschezza di Beppe Fenoglio, il voyeurismo di De Lillo e tanti, tanti, troppi altri.
O, forse, troppo pochi.
Ha un altro libro nel cassetto? Ci può anticipare qualcosa?
C’è una silloge di racconti già finita da tempo. E altri progetti. Ma essendo io molto scaramantico, proprio per scaramanzia non dico altro.
Quanto il suo lavoro influisce sulla sua scrittura, sul suo immaginare storie e situazioni da tramutare in romanzo?
Meno di quanto mi aspetti e più di quanto creda. Chi scrive è un ladro che ruba sguardi, movenze, mezze voci e singole parole. Mi basta fare quattro passi per strada e vedere qualche viso o qualche postura per trovare materiale da trasferire in qualche storia. Il mio lavoro, paradossalmente influenza più il mio stile che le mie trame.
Qual è, a suo parere, il panorama letterario in questi tempi? Perché è difficile per gli scrittori esordienti pubblicare ed emergere? E’ più importante la trama ed il messaggio di un libro scritto o la fama dell’autore per avere successo in campo letterario?
Ho letto libri dall’intreccio interessantissimo, ma dallo stile così brutto che non conservo alcuna memoria della loro trama e libri dalla trama quasi inesistente, ma dallo stile così incisivo che ne ricordo ancora il ritmo. E tutto questo a prescindere dalla fama dell’autore. Il panorama letterario lo vedo molto vivace, grazie anche ai piccoli editori. Per gli esordienti è difficile pubblicare ed emergere? Purtroppo sì. E basterebbe come esempio la difficoltà ad apparire sugli scaffali delle librerie. Esistono molti “casi”letterari creati a tavolino, vere e proprie operazioni editoriali che riguardano anche alcuni esordienti. Ci sono infatti anche esordienti di serie A e esordienti di serie B. E anche questo a prescindere dalla reale capacità letteraria.
Tornando al libro “notte di nebbia in pianura” quanta ironia c’è nel romanzo? Riferita al Capitano dell’Arma ad esempio.
Sono sempre stato affascinato da certe figure letterariamente complesse. Una di queste è, ad esempio, la figura del collaborazionista o la figura del tutore dell’ordine che non crede più alla sua funzione. Il collaborazionista è una figura negativa che per tanti motivi può nascondere anche elementi positivi e il tutore dell’ordine è invece la figura positiva che può nascondere elementi negativi. Lavorare su questi personaggi permette di far scoppiare certe contraddizioni legate al rapporto fra il bene e il male.
Film come “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” o “Todo modo”
(entrambi diretti da Elio Petri e il secondo tratto dall’omonimo romanzo di Sciascia) esemplificano (o forse amplificano) la figura del tutore dell’ordine intesa come insieme di elementi contraddittori. Figura che si presta benissimo alla sua trattazione letteraria.
Il ragazzo al quale “pare di aver mangiato vetro” perché si sente trasparente mi pare una bellissima idea per la quale mi complimento davvero. E’ un modo di dire tipico o un suo personale modo di definire il sentirsi inutili, non visti e non ascoltati?
Credo si tratti di una espressione, forse di derivazione dialettale, tipica di certe zone dell’Italia settentrionale. Quando scrivo presto molta attenzione agli aspetti linguistici legati al dialetto o agli aspetti gergali legati ad un certo ambiente o ad una classe sociale. Mi sembra che, nel caso specifico, fosse funzionale al personaggio.
Un’ultima curiosità: il romanzo è ambientato in una notte poco prima di Natale. Come mai? Non bastava una notte di novembre per far immaginare comunque la nebbia oltre, naturalmente, alla bella descrizione che ne da di questa nel romanzo?
Il Natale è un simbolo di grande significato. Rappresenta il momento della attesa, del cambiamento, della ricerca di una pace che poi nei fatti non arriverà mai. Il Natale è anche il momento della scoperta della nostra grande e terribile solitudine. Di fronte al mistero di Dio, della vita e della morte siamo soli. Senza rimedio.
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