Recensione
La vita è retta dal caso e ben poco viene a collimare, ma quando troviamo lo stesso schema in letteratura ci sentiamo presi un po’ in giro.
Lucas Corso è un mercenario bibliofilo senza scrupoli: compra e vende con metodi poco ortodossi, indaga sulla storia dei libri, giudica vecchi incunaboli, si prostituisce al migliore offerente eseguendo per lui il lavoro sporco, e non esitando ad affidare ad altri quello ancor più sporco. Corso è privo di emozioni, quando non strettamente attinenti alla sfera dei libri antichi, e bravo a fingere come il migliore dei manipolatori; ha un unico amico –se di amicizia si può parlare-, il libraio dongiovanni Flavio La Ponte (italiano, inutile chiederlo: pare che i nostri uomini all’estero abbiano questa fama), nessuna compagna, nessun legame.
La storia, narrata da un personaggio interno onnisciente -Boris Balkan- inizia prima che Corso compaia in scena, e precisamente con la morte per impiccagione (suicidio od omicidio, difficile stabilirlo) di Enrique Taillefer, influente collezionista di libri antichi. Poco prima di morire, il riccone commissiona a Flavio La Ponte la vendita di un capitolo manoscritto dei Tre moschettieri, “Il vino d’Angiò”, ed è qui che Corso viene incaricato delle indagini dall’amico Flavio. Questo, tuttavia, non è l’unico filo conduttore del romanzo: poco dopo, Corso viene convocato da Varo Borja, collezionista senza scrupoli di libri sul diavolo, che lo ingaggia per provare l’autenticità del suo Le nove porte del regno delle ombre, volume in latino stampato nel XVII secolo e di cui esistono solo tre copie certificate. Aristide Torchia, lo stampatore, fu bruciato dall’Inquisizione insieme alle sue opere per aver dichiarato di essere stato ispirato dal Diavolo in persona. In fondo al volume, nove incisioni che richiamano i Tarocchi e la simbologia esoterica.
Tocca a Corso recarsi a Lisbona ad esaminare il volume della collezione Fargas –appartenente a un nobile in disgrazia- e poi a Parigi per giudicare quello della vedova Ungern, appassionata anch’essa del Diavolo e scrittrice di libri esoterici. Sulle sue tracce, tuttavia, c’è un misterioso figuro dai baffi neri con la faccia sfigurata da una cicatrice, che Corso soprannomina prontamente Rochefort per la sua somiglianza fisica con il mortale nemico di D’Artagnan. E sembra che il feuilleton di Dumas prenda vita, quando anche Milady fa la sua comparsa nella persona di Liana Lausauca, la vedova Taillefer, intenzionata a riprendersi “Il vino d’Angiò” a ogni costo.
L’intreccio, dunque, è già notevolmente complicato: Corso intuisce una connessione tra Dumas e le Nove Porte, e inizia a indagare in quella direzione. Il cardinale Richelieu, infatti, sembrava non essere esattamente estraneo al mondo esoterico. Ulteriori omicidi, inoltre, rischiano di coinvolgere il mercenario nella storia del libro del Diavolo più di quanto non gli aggradi. I personaggi, i luoghi e gli eventi dei Tre Moschettieri sembrano essersi materializzati nella realtà. Lo studio delle incisioni dei tre esemplari delle Nove Porte rivela risultati inaspettati. A complicare il tutto, una strana ragazza dai capelli biondi e corti sembra incrociare troppo spesso la strada di Corso, presentandosi con il nome di Irene Adler, la donna che beffò Sherlock Holmes in uno dei racconti di Conan Doyle. Arturo Pérez-Reverte non si accontenta di intrecciare tutti i fili della narrazione in uno: ed ecco che il finale del libro non è scontato, nemmeno per chi ha visto il film.
Per farla breve, è apprezzabile il tentativo di Pérez-Reverte di tentare un intreccio così macchinoso e contorto: l’autore, però, non ha tenuto conto del fatto che, quando si carica in questo modo il lettore di aspettative, qualunque sia la risoluzione prescelta quasi certamente non risulterà soddisfacente. ll club Dumas resta in bilico tra il thriller e il gotico, senza sbilanciarsi con troppa convinzione verso quest’ultimo nonostante lo promettesse fin dalle prime pagine, e accelerando inutilmente la narrazione nel finale.
Molto accurato, invece, lo stile dell’autore: superiore a molti suoi connazionali contemporanei, mi viene da suggerire malignamente che il romanzo non abbia venduto quanto L’ombra del vento perché troppo ostico per il lettore medio da spiaggia. Il paragone con quel romanzo in particolare risulta spontaneo, essendo in sostanza entrambi gialli che si muovono nel mondo dei libri. Al contrario di quella di Zafòn, asettica ed elementare, la prosa di Pérez-Reverte è ricca e i periodi sono ragionevolmente lunghi: indugia molto sulla terminologia specifica che riguarda manoscritti e incunaboli. Per di più, il romanzo è accompagnato dalle incisioni delle Nove Porte (di tutti e tre gli esemplari del libro) e dalle tabelle compilate dal protagonista durante i suoi studi sul campo.
Consigliato agli amanti dei thriller, agli appassionati del genere gotico, a chi apprezza Dumas (abbondano i riferimenti alla sua vita e alle sue opere), o semplicemente a chi adora i libri sui libri.
Giudizio:
+4stelle+Dettagli del libro
- Titolo: Il Club Dumas
- Titolo originale: El club Dumas
- Autore: Arturo Pérez-Reverte
- Traduttore: Ilide Carmignani
- Editore: Il Saggiatore Tascabili
- Data di Pubblicazione: 2009
- Collana: Narrativa
- ISBN-13: 9788856501483
- Pagine: 382
- Formato - Prezzo: Brossura - 9,50 Euro
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